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Lampedusa: uno Tsunami di disperati

Si può immaginare di poter arginare con le espulsioni l’invasione di immigrati in Italia e in Europa quando, di sei miliardi e mezzo di abitanti sul pianeta, solo novecentosessanta milioni risiedono nei Paesi sviluppati? Uno studio delle Nazioni Unite ha fatto alcune proiezioni demografiche calcolando che, al ritmo di nascite attuali, nel 2050 la popolazione della Terra sarà di 8,9 miliardi di persone.

Riuscirà la Terra a sopportare un tale carico di vita, ad alimentare quasi nove miliardi di persone? Con l’attuale distribuzione delle risorse sul pianeta, sicuramente no, se è vero che oltre ottocento milioni di persone soffrono la fame più nera e tra questi ci sono duecento milioni di bambini. Non stanno meglio in quei trentadue Paesi dove due miliardi di abitanti hanno ogni giorno problemi di emergenza alimentare e un miliardo di loro non ha accesso all’acqua potabile.

È un dato impressionante ove si pensi che in Europa e negli Stati Uniti si spendono diciassette miliardi di euro per gli animali domestici e solo in Europa undici miliardi nel mercato dei gelati.

In India ci sono trentacinque città con più di un milione di abitanti e altre quarantacinque sono in Cina. Vivono in maggioranza alle soglie della povertà e della fame, con un totale di 204 e 164 milioni di persone denutrite. Una tale caratteristica le accomuna agli abitanti di alcuni Paesi del Medioriente e dell’Africa, dove in alcun regioni l’80% della popolazione ha gli stessi problemi di sopravvivenza quotidiana che si aggiungono alla mancanza di libertà, di diritti, di giustizia, di democrazia. Sono Paesi in cui l’unica prospettiva è morire per fame o morire per guerre volute da altri, dalle oligarchie del potere, delle armi e delle risorse naturali.

E allora questa gente può solo correre, correre senza meta verso il nord, verso il Mediterraneo, verso orizzonti che sperano migliori. E’ uno tsunami umano di dimensioni bibliche e noi pretendiamo di fermarlo barricandoci a Lampedusa o nelle nostre coste felici?

Come si può pensare di combattere con i decreti le masse che vivono in uno stato di degrado e di povertà assoluta, con ancora negli occhi il terrore delle loro terre devastate dalla fame, dalla guerra, dalla carestia, dai cadaveri dei loro cari, da una traversata che è stata l’ultima scommessa per la vita?

Secondo la Caritas sarebbero 192 milioni le persone che vagano in cerca di “un posto al sole”. Bisogna pensare che è ancora ben poca cosa rispetto a quelli che si metteranno in marcia quando la disperazione li farà scegliere tra partire o morire di fame a casa loro. In Europa questa invasione è iniziata da tempo e su circa 500 milioni di abitanti quasi 50 milioni sono cittadini stranieri, provenienti in buona parte dalla Russia, da altri Paesi dell’Est, dalla Turchia, dai Balcani, dall’Africa, dalla Cina, India, Sudamerica.

Noi, con la nostra posizione geografica protesa verso l’Africa, siamo uno dei Paesi europei con la più massiccia presenza di immigrati. Li accogliamo e li respingiamo a migliaia, anche se poi in realtà solo tre su dieci lasciano il Paese per puntare, dopo un gran giro, verso altri lidi. Il Sole 24 ore ha scritto che “L’irregolarità degli stranieri abita in tutta Italia ma fa più paura al Nord che assorbe, con il Centro, la maggioranza dei 650.000 irregolari, cifra di certo inferiore ai dati reali, per ovvi motivi e per la continua fluttualità degli stranieri”.

Ci sono italiani a cui questa situazione fa comodo perché utilizzano queste persone come manodopera a buon prezzo, non raramente a prezzo zero, sapendo che non possono rivendicare nulla perché sarebbero immediatamente espulsi.

È un problema maledettamente serio che va risolto con scelte politiche mirate, facendo confluire, ad esempio, in quei Paesi parte dei tanti miliardi utilizzati per motivi meno nobili e creare in loco condizioni di vita idonee a evitare queste migrazioni di interi popoli.

Il Vice Direttore Generale della FAO, Ghanem, ha previsto essere necessari interventi tampone per 30 miliardi di dollari l’anno. Nella logica mondiale dei numeri non è un’enormità visto che la guerra in Iraq pare sia costata solo agli Stati Uniti 2 trilioni di dollari, che tradotto in lire diventa uno scioglilingua, ma equivale più o meno a centoventiduemila dollari al minuto. Se si pensa che un miliardo e quattrocento milioni di persone vivono con meno di due dollari al giorno allora per ogni minuto in meno di guerra in Iraq si sarebbe potuto migliorare il vitto ad almeno 610.000 persone. E ciò avrebbe contribuito anche a ridurre l’inquinamento, visto che su quei campi di battaglia si è utilizzata ogni giorno tanta benzina quanta ne servirebbe per riempire i serbatoi di un milione 125 mila auto.

Non si può stare a guardare né ci si può illudere di risolvere il problema da soli senza una cooperazione internazionale, che non sia la solita passerella tv con immancabile foto ricordo dei Grandi della Terra. Abbiamo il diritto-dovere di proteggerci dalle orde di criminali che s’infiltrano tra questi disperati, ma non possiamo arginare con i decreti e le espulsioni un fenomeno che trova la sua origine nell’istinto di sopravvivenza di masse che esondano da terre lontane come un immenso tsunami, travolgendo steccati e culture, per dirigersi in maniera inarrestabile lì dove pensano di poter trovare semplicemente la vita.

 

Foto: Wikimedia

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