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La voce della specie: la natura della cultura umana

“L’uomo diventerà migliore quando gli farete vedere com’è” (Anton Cechov). “Quando le persone sono libere di fare quello che vogliono, di solito si imitano” (Eric Hoffer).

Ho voluto iniziare la recensione di “Tabula Rasa” dello psicologo Steven Pinker con due aforismi folgoranti che esprimessero le ragioni e i sentimenti di questo libro (Mondadori, 2005). Tra le altre cose Pinker è considerato una delle cento persone più influenti della nostra società (dirige il Centro di neuroscienza cognitiva del Mit: www.web.mit.edu).

E siccome il sottotitolo del libro afferma: “Perché non è vero che gli uomini nascono tutti uguali”, bisogna subito chiarire che l’espressione fenotipica e comportamentale di un gene è sempre molto complessa: 1) la maggior parte degli effetti sono probabilistici (se un gemello monozigotico ha un tratto di personalità, c’è solo il 50 per cento di possibilità che lo condivida anche l’altro); 2) Quasi tutti gli effetti dei geni sono suscettibili di cambiare a seconda dell’ambiente in cui un organismo si è sviluppato e in cui vive (anche l’uovo o l’utero); 3) Moltissimi geni interagiscono con altri geni per esprimere una determina caratteristica di un organismi superiori e complessi come i mammiferi. Non siamo i piselli di Mendel e l’imprinting genomico derivante dai genitori è diverso nei due sessi. E forse si può anche affermare tranquillamente che non esiste un’unica natura umana: così come esistono persone con i capelli biondi, neri, rossi e castani con tutte le relative sfumature, esistono persone altruiste, buone, egoiste e cattive, con tutte le relative, milioni di sfumature. E “Non è stata ancora scoperta alcuna differenza che valga per tutti gli uomini nei confronti di tutte le donne e viceversa, per cui le generalizzazioni su un sesso saranno sempre sbagliate se applicate a ogni singolo individuo” (Pinker, p. 417). Tutti gli esseri umani hanno Dna diversi, perciò si potrebbe anche affermare che esistono in natura diversi pool genetici simili e altri differenti.

Inoltre l’idea romantica che il male sia sempre un prodotto della società ha legittimato la messa in libertà di pericolosi psicopatici che puntualmente, hanno ucciso persone innocenti” (p. 7). Moltissimi tra i peggiori “psicopatici danno segni di propensione al crimine già da bambini: fanno i prepotenti con i bambini, torturano animali, mentono sistematicamente e sono incapaci di comprensione e rimorso” (p. 68). Ed è vero che il buon senso ci suggerisce anche questo pensiero: per molte persone fare il criminale è molto meglio che lavorare. Non dimentichiamo poi le nostre origini: “Noi, rappresentanti attuali dei vincitori di tante successive scene di distruzione e di sangue, dobbiamo, nonostante tutte le virtù pacifiche che possediamo, portare in noi, pronti ad accendersi da un istante all’altro, i tratti sinistri e truci del carattere, in grazia del quale quei nostri progenitori poterono vivere passando attraverso tanti massacri, rovinando gli altri, restando essi intatti” (William James, p. 74).

Comunque per quanto riguarda le caratteristiche psicologiche delle persone, si è scoperto che si possono riassumere in cinque polarità principali di tratti della personalità (che ovviamente variano anche nella gradualità): introversi o estroversi, indifferenti o aperti alle nuove esperienze, amabili o polemici, coscienziosi o disordinati, nevrotici o stabili” (p. 68). Perciò “A variazioni superficiali fra una cultura e l’altra possono essere sottesi meccanismi mentali universali” (p. 52). La mente è un sistema formato da diversi moduli di elaborazione dell’informazione e dell’emozione (disposti in varie gerarchie in serie e in parallelo), che analizza e sintetizza i diversi insiemi di situazioni e di informazioni che raggiungono e stimolano il cervello (chimicamente ed elettricamente). I moduli servono a specializzare una singola area del cervello, come accade per i cinque sensi (vista, udito, tatto, gusto e olfatto), e la loro integrazione mentale serve a risolvere i tre problemi fondamentali relativi alla sopravvivenza: come trovare il cibo, come difendersi e come riprodursi. Il sistema nervoso è stato sviluppato nel corso delle infinite generazioni di cacciatori e raccoglitori che si sono succedute e hanno capito come far fruttare oggetti, animali, piante e altri esseri umani. Naturalmente anche i desideri, le idee, i pensieri, i valori, le convinzioni e i pregiudizi sono informazioni e sono strutturate in simboli. Sono queste cose a variare nelle diverse culture umane. “La cultura, insomma, è un insieme di innovazioni tecnologiche e sociali che la gente accumula per aiutarsi a vivere, non una congerie di ruoli e simboli sociali che, semplicemente, le piovono addosso” (p. 86). E i diversi destini delle società umane non dipendono dal caso o dalla razza, ma dalla creatività della popolazione e dall’impulso che spinge gli uomini a imitare le innovazioni altrui, insieme alla storia, alla geografia e all’ecologia (Jared Diamond, “Armi, acciaio e malattie”).

La civiltà occidentale è la più autoriflessiva delle culture umane e anche l’antropologo Franz Boas non era un “relativista convinto che tutte le culture fossero equivalenti, né un empirista che credeva nella Tabula rasa [o del foglio bianco]. Riteneva la civiltà europea superiore alle culture tribali, ma pensava che tutti i popoli fossero in grado di giungervi. Non negava che potesse esistere una natura umana universale o che, all’interno di un gruppo etnico, potessero esserci differenze fra una persona e un’altra. La cosa importante, per lui, era l’idea che tutti i gruppi etnici fossero dotati delle medesime capacità mentali di base. Tuttavia… i suoi allievi finirono per dominare le scienze sociali in America, e ogni generazione superò la precedente in generalizzazioni” (p. 36).

Però siccome in ogni punto di vista c’è almeno una parte di verità è giusto riportare il pensiero di molti studiosi che riservano un peso e un ruolo speciale ai processi culturali: “L’uomo non ha natura; quello che ha è storia” (José Ortega Y Gasset); “La maggior parte degli individui si lasciano plasmare nella forma voluta dalla loro cultura perché sono, in partenza, straordinariamente malleabili” (Ruth Benedict); “L’uomo è proprio l’animale più disperatamente dipendente da simili meccanismi di controllo extragenetici ed extracorporei, come i programmi culturali, per dare ordine al suo comportamento” (Clifford Geertz); “La psicologia culturale è lo studio di come le tradizioni culturali e le pratiche sociali regolino, esprimano, trasformino e modifichino la psiche umana, dando come risultato, più che l’unità psichica del genere umano, differenze etniche nella mente, nell’io e nell’emotività” (Richard Shweder); “Ogni uomo, ovunque vada, è avvolto da una nube di convinzioni confortanti, che si muovono insieme a lui come moscerini in un giorno d’estate” (Bertrand Russell); “Nulla è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi. Eccetto l’intelletto stesso” (G. W. Leibniz); “Le circostanze fanno gli uomini non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze. La storia è una trasformazione continua della natura umana” (Karl Marx); La natura degli uomini è la stessa; sono i costumi che li differenziano” (Confucio).

Dunque “Siamo tutti spinti dagli stessi moventi, tutti ingannati dagli stessi errori, tutti animati dalla speranza, ostacolati dal pericolo, circuiti da desiderio e sedotti dal piacere” (Samuel Johnson), e l’unica cosa che conta veramente è che “Qualunque sia l’anello che si colpisce / Decimo o diecimillesimo, si spezza la catena della natura” (Alexander Pope). E “Le società umane hanno raggiunto livelli di estrema complessità… L’uomo moderno è un attore di molte parti che può essere spinto al suo limite dalle richieste dell’ambiente che cambiano costantemente” (E. O. Wilson, Sociobiologia: la nuova sintesi). Il dogma scientifico che vuole sezionare e separare cose inseparabili si deve arrendere di fronte alla dura e misteriosa realtà delle cose: “A seguire parola per parola una data ricetta di una torta, quello che viene fuori dal forno è una torta. Non si può, a quel punto, sbriciolarla nelle sue componenti e dire: questa briciola corrisponde alla prima parola della ricetta, quest’altra alla seconda ecc. A parte secondarie eccezioni come la ciliegia in cima, non c’è una relazione punto per punto fra parole della ricetta e “pezzetti” di torta. La relazione è fra tutta la ricetta e tutta la torta” (Richard Dawkins). Perciò l’ambiente è il forno dei geni e i cuochi sono i vostri genitori, i vostri politici e poi lo diventiamo noi quando scegliamo dove lavorare e vivere. Perciò “L’evoluzione è deterministica soprattutto per chi ancora non ne sa nulla” (Richard Alexander, biologo). E “A volte la cosa più egoista che un gene può fare è installare in un cervello motivazioni altruistiche, sinceramente, incondizionatamente, profondamente altruistiche” (Pinker, p. 236). Però la “natura è grossolanamente immorale e la selezione naturale può essere onestamente definita un processo per massimizzare l’egoismo” della specie (George Williams).

Il filosofo John Rawls nella sua famosa teoria della giustizia (1999), ha consigliato di far progettare e negoziare dei contratti sociali da persone che ignorano i talenti e lo status ereditato dalla nascita: in questo modo si mitigano i conflitti di interesse personali e di classe. A volte però si limitano le libertà e i talenti individuali e si manifesta così la dittatura della mediocrità, poiché non si diffonde la conoscenza sviluppata dai più dotati intellettualmente e moralmente (come è accaduto in Russia, a Cuba o in Italia). Ed è però indubbio che “Se la miseria dei poveri è causata non dalle leggi della natura, ma dalle nostre istituzioni, grande è il nostro peccato” (Darwin).

Purtroppo la natura umana è centrata sull’autoinganno, che “è una delle più profonde radici della conflittualità e della follia umana. Esso implica che le facoltà che dovrebbero permetterci di regolare le nostre divergenze, cercare le verità e discuterne razionalmente, sono mal calibrate, di modo che ognuno si ritiene più saggio, abile e nobile di quanto realmente è. Ognuno, in una disputa, può sinceramente credere che la logica e l’evidenza sono dalla sua parte e che l’avversario non capisce niente, è disonesto o entrambe le cose. L’autoinganno è una delle ragioni per cui, paradossalmente, il senso morale può fare spesso più male che bene” (Pinker, p. 327).  

Occorre poi dire che la natura umana ha ricevuto negli ultimi due secoli, quattro grosse batoste: la prima è rappresentata dalla scoperta che il sole e l’universo non girano intorno a noi, la seconda deriva dalla teoria darwiniana e dalla “nostra misera discendenza scimmiesca”; la terza è la vergognosa constatazione che la violenza e le guerre per l’allargamento del territorio hanno interessato tutti i popoli e tutta la storia umana fino a oggi, e la quarta è il fatto che l’uomo può fare ciò che vuole, ma non può desiderare quello che vuole (i geni e l’inconscio sono i veri decisori).

Che ne sarà quindi dell’amore, della volontà e della coscienza nel loro viaggio nel terzo millennio?

Impossibile rispondere a questa domanda, ma di certo l’esistenza materiale umana è limitata dalle idee, non dalle cose (Paul Romer, economista, www.chartercities.org): “la nostra natura è uno spazio sconfinato, lungo il quale l’intelligenza si muove senza mai raggiungere un punto fermo” (Wallace Stevens, poeta). Purtroppo però, anche “Chiunque abbia familiarità con il mondo universitario sa che esso alimenta culti ideologici inclini al dogma e restii alla critica” molto simili ai sistemi teologici religiosi (Pinker, p. 418).

Comunque dalle varie ricerche emergono tre leggi ben definite delle relazioni tra natura e cultura. “Prima legge: ogni tratto comportamentale umano è ereditabile. Seconda legge: l’effetto di crescere nella stessa famiglia è minore dell’effetto dei geni. Terza legge: gli effetti dei geni o della famiglia non rendono conto di buona parte della variazione nei tratti comportamentali umani complessi (Eric Turkheimer). Quindi ogni cervello cerca di scegliersi gli stimoli ambientali in base alle proprie predisposizioni. E ciò spiega perché i fratelli e le sorelle all’interno di tutte le famiglie siano sempre molto diversi. Inoltre, a seconda della classe temporale di nascita, tutti i bambini e i giovani vivono mentalmente relazioni storicamente e socialmente diverse e hanno dei percorsi educativi differenziati a seconda dei diversi insiemi di gruppi di coetanei che frequentano.

Perciò come genitori “Forse non siamo responsabili del loro futuro, ma lo siamo certamente del loro presente” che possiamo rendere molto infelice (J. R. Harris, Non è colpa dei genitori, 2000). Dopotutto “davvero ci piacerebbe poter determinare a priori i carattere dei nostri figli, non godere mai delle imprevedibili doti e peculiarità di cui ognuno di essi arricchisce il mondo?” (Pinker, p. 488). E del resto l’idea “banale” di poter plasmare la psicologia dei propri figli è relativamente recente. Infatti una donna indiana degli anni cinquanta si espresse così: “Non conta quello che io desidero. È scritto nel suo destino”. Così molti misteri non moriranno mai… Infatti anche le ultime teorie di meccanica quantistica risultano molto contro-intuitive: la scienza quantistica è “quella misteriosa, sconcertante disciplina che nessuno di noi capisce davvero, ma che tutti sappiamo usare” (Murray Gell-Mann). Richard Feynman giunse persino a dire questo: “Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l’avete capita” (p. 295).

E chiudo in bellezza con una barzelletta psicologica: “Sapete cosa dice un comportamentista dopo aver fatto l’amore? Per te è stato bello, ma com’è stato per me?”.

 P. S. “Poiché i talenti sono per definizione rari, e possono trovare piena espressione solo in circostanze rare, è più facile giungere all’eguaglianza forzata abbassando chi sta in alto (e privando così tutti dei frutti del suo talento) che elevando chi sta in basso” (Pinker). E svalutare il presente è un modo indiretto per svalutare i propri rivali: “La competizione per la lode tende alla venerazione dell’antichità. Gli uomini, infatti, competono con i vivi, non con i morti” (T. Hobbes). Evviva la natura italiana…

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