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La vera bestemmia è difendere il reato di blasfemia

Di Massimo Maiurana

Sebbene la mappa interattiva sul sito della campagna internazionale End Blasphemy Laws, tra i cui partner figura anche l’Uaar, al momento in cui scrivo non sia stata ancora aggiornata, l’Islanda è ufficialmente fra le nazioni che non puniscono la blasfemia. Non più. E l’Italia è dunque ufficialmente un ulteriore passo indietro nella classifica, peraltro insieme a nazioni pur importanti e progredite come la Germania, l’Austria, il Canada, oltre alle regioni francesi dell’Alsazia e della Lorena a agli Stati australiani di Tasmania, Queensland e Victoria. Ovviamente in coda alla classifica si trovano quegli Stati dove il diritto religioso e quello civile coincidono, col risultato che la pena prevista per il reato di blasfemia è quella di morte.

Le cose stanno per fortuna diversamente nel mondo occidentale, ma non certo grazie alle confessioni religiose. O almeno non sempre. Non possiamo di sicuro dimenticare le dure prese di posizione dei leader religiosi, ma anche dei politici di Alba Dorata, che in Grecia portarono a suo tempo all’arresto prima di tre attori per uno spettacolo teatrale ritenuto blasfemo, e poi di un blogger per vero e proprio “eccesso di satira” nei confronti di un monaco oggetto di culto fanatico. Al tempo stesso rileviamo, tuttavia, che in Islanda la stessa Chiesa Luterana, largamente maggioritaria nel paese, si è schierata per l’abolizione del reato di blasfemia dichiarando che “qualunque potere legislativo limiti in tal modo la libertà d’espressione, contrasta con il moderno orientamento nei confronti dei diritti umani e con il principio che la libertà d’espressione è una delle pietre miliari più importanti della democrazia. Per una società libera è fondamentale che la gente possa esprimersi senza timore di essere punita”.

L’unica nazione fra queste ultime in cui la pena di morte è prevista solo in parte è anche l’unica a non essere totalmente in mano all’Islam. La Nigeria, infatti, è una federazione la cui popolazione è quasi equamente divisa tra musulmani e cristiani, dove la sharia vige negli Stati musulmani del nord che sono in parte anche dei sultanati. Proprio in questa parte della Nigeria, precisamente a Kano, nove persone aderenti a una setta sufi sono state di recente condannate a morte per blasfemia, in quanto i sufi considerano le loro massime figure religiose superiori in rango al profeta Maometto, cosa che si riflette anche nei loro riti e nelle loro cerimonie. Come sovente accade in casi simili, i leader religiosi musulmani hanno potuto aizzare contro gli accusati i loro fedeli, scesi nelle strade per chiedere a gran voce la testa dei sufi. Una prova di forza convincente, al punto che la sentenza di condanna è stata emessa sommariamente e in modo opaco. Laddove nessuno può avere diritti in quanto essere umano, ma solo come membro di una comunità religiosa, può accadere questo e altro.

 

Per contro, cattolici e pentecostali si sono espressi in maniera diametralmente opposta. I primi partono dall’assunto che “per i fedeli, la religione e l’immagine di Dio sono aspetti importanti della loro esistenza, identità e dignità, e ciò dev’essere protetto dalla legge”. Partendo da queste premesse qualunque espressione ritenuta offensiva da chicchessia potrebbe essere punita per legge, il che è praticamente impossibile e infatti si chiede sostanzialmente di fare un’eccezione per motivi squisitamente confessionali. A conferma di ciò, non risulta che nessuno si sia mai sognato di dire qualcosa a proposito delle offese ricevute dai non credenti dalle più alte cariche ecclesiastiche e perfino dalle sacre scritture, a parte naturalmente gli stessi non credenti. I cattolici hanno anche aggiunto che “una libertà d’espressione illimitata, senza senso di responsabilità e limiti sociali naturali, può portare ad abusi psicologici da parte di individui o gruppi”. Eccolo là il tentativo di etichettare come “naturale” qualcosa che è semplicemente culturale, oltre che anacronistico.

Proprio da noi, in Italia, dove ancora la bestemmia e il vilipendio sono reati, le fortunatamente poche applicazioni di queste leggi fanno capire chiaramente che di mero reato d’espressione trattasi. Non si potrebbe spiegare diversamente, ad esempio, la multa comminata a un giovane “criminale” che, esasperato dal caldo e dalla coda in autostrada, ha inveito contro Dio urlando. Stessa cosa accaduta anche a una donna della provincia di La Spezia. Non risulta evidenza che a essersi offeso sia stato l’oggetto della bestemmia, dunque il vero offeso è il vigile a cui certo non era rivolta l’imprecazione.

E che dire dell’ordinanza anti-bestemmie di un solerte sindaco del padovano?La risposta la danno indirettamente i pentecostali, intendendo realmente il contrario, laddove hanno dichiarato che “l’abolizione dell’attuale legislazione sulla blasfemia equivale a una legalizzazione dell’odio”. No cari pentecostali, le leggi sulla blasfemia non prevengono l’odio ma lo fomentano, si torni all’inizio di questo articolo e in particolare alla condanna dei sufi. Il punto è che devono semmai essere puniti l’incitamento alla discriminazione e all’emarginazione. Devono essere tutelate le persone, non le divinità. Gli stessi pentecostali avevano aggiunto infatti che “l’attuale legislazione non vieta la libertà d’espressione o la critica alla religione, critica la parodia, l’ironia e l’incitamento al pregiudizio”. E in quale Stato di diritto la libertà di ironia e parodia vengono estrapolate dalla più ampia libertà d’espressione? Da nessuna parte, spero, e quindi la frase sopra contraddice clamorosamente quella precedente.

Sarebbe veramente ora di fare un passo avanti e di sbarazzarci anche noi di questi retaggi legislativi del passato, con buona pace dei bigotti che ancora li usano per rivendicare un privilegio. Il superamento delle leggi contro la blasfemia viene peraltro raccomandata dall’Onu, dall’Ocse e dal Consiglio d’Europa, non semplicemente dalle associazioni di atei. Non resta che da vedere quante altre nazioni ci supereranno mentre noi stiamo ancora qui a multare automobilisti iracondi.

 

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