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La storia di Gigione, il ricercatore scarsone

Si parla sempre di ricercatori validissimi costretti ad emigrare. Delle loro difficoltà, in un Paese che non li comprende. Ma esiste un numero considerevole di storie ben diverse. Storie di scarsoni, non raccomandati, che ottengono riconoscimento (e successo) grazie alla retorica dello "stato che umilia la ricerca" e dell'incapacità di giornalisti e persone comuni di rendersi conto del loro reale (scarso) valore. La statistica ha il compito di quantificare numericamente i casi, i media quello di raccontare entrambi i tipi di storie. Perché assolutamente non bisogna trasmettere alla gente comune un'immagine idealizzata della realtà. Ecco la storia di Gigione (nome di fantasia): non bravo, non raccomandato, emigrato e poi rientrato in Italia grazie alle offerte di gente comune affascinata dalla sua retorica ma non in grado di valutare le sue reali capacità. Il racconto, per ovvie ragioni, non può essere eccessivamente dettagliato.

Aveva scritto una lettera piena di seducenti parole a un personaggio sulla cresta dell'onda, Gigione. Nessun aggancio, nessuna raccomandazione: soltanto la storia giusta - e la retorica giusta - al momento giusto... ed è subito raccolta fondi: Gigione deve tornare in Italia. Era andato all'estero perché in Italia non c'era trippa per lui: altri molto più bravi (alcuni dei quali "figli di", ma tutti indiscutibilmente più bravi di lui) avevano la precedenza. Ma alla fine il qualunquismo ha pagato: Gigione è di nuovo in Italia. Ed è di nuovo in Italia perché si occupa di un'area di ricerca che tocca l'immaginario comune e perché ha saputo scegliere le parole giuste per raccontare un sogno affascinante agli occhi della gente, sebbene non supportato da reali capacità.

Ora Gigione insegna in un'università italiana e fa danni con la sua mediocrità. Le persone valide del suo settore lo sfottono un po', ma si guardano bene dal far sentire tutti insieme la loro voce e chiedere provvedimenti: "Tanto in giro c'è di peggio"... Ma quel che è certo è che Gigione è un esempio paradigmatico di cosa possa produrre un certo qualunquismo da strilloni applicato alla critica sociale. Ci sono alcuni, tra i ricercatori che sono tornati in Italia, che sarebbe stato molto meglio se fossero rimasti all'estero. Ma tanto la gente non sa, non può valutare e confonde i cialtroni con gli eroi. È la stessa gente che ritiene che Allevi sia un compositore di musica classica contemporanea, o Bocelli un grande cantante lirico.

I fondi per la ricerca sono importantissimi, ma sarebbe ora di dire basta alla solita retorica dei "cervelli in fuga". La retorica piace a certi baroni, che sono la parte marcia dell'Università italiana e non vogliono altro che più fondi per incrementare il loro potere. Vigliacchi sono tutti coloro che nel mondo universitario si sottomettono a questo sistema e che accettano che le regole non siano rispettate. Non farebbe male, al mondo universitario, l'abbandono di qualsiasi filosofia morale utilitarista in favore del kantiano imperativo categorico. Anche la più innocente delle bugie è sbagliata, punto. Anche il più innocente piccolo imbroglio è sbagliato, punto. Anche la più innocente azione pragmatica di politica accademica dettata dal buon senso è sbagliata, punto. Così come è sbagliata ogni forma di diplomazia o di "tatto" e anche la più insignificante eccezione al rigore autonomo dell'individuo compiuta in considerazione della realtà dei fatti di un contesto sociale. Per intenderci: "C'è Mario?", "No, non c'è" (quando invece c'è). Peccato mortale. Risposta giusta: "C'è ma non desidera parlarti". Rigore, rigore, rigore. E formalismo etico radicale. Solo così l'Italia che vale avrà l'autorevolezza e la dignità morale per sbugiardare e ridicolizzare i Beppe Grillo e i Gigione (ma anche i Di Pietro) di turno.

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