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La stagione delle Passioni tristi

Nella maggior parte degli studi epidemiologici negli ultimi tempi si e’ notato un aumento della frequenza dei disturbi del comportamento alimentare tra la popolazione femminile, ma ultimamente anche in quella maschile, in età adolescenziale. A seconda dei diversi studi la frequenza varia tra il 2 ed il 10%, e questo ha fatto si che si sia parli spesso, a proposito di anoressia e bulimia, di una "epidemia sociale moderna" e si siano fatte le ipotesi più disparate per giustificare questo sviluppo.

I DISTURBI DI CONDOTTA ALIMENTARE
Nella maggior parte degli studi epidemiologici negli ultimi tempi si e’ notato un aumento della frequenza dei disturbi del comportamento alimentare tra la popolazione femminile, ma ultimamente anche in quella maschile, in età adolescenziale. A seconda dei diversi studi la frequenza varia tra il 2 ed il 10%, e questo ha fatto si che si sia parli spesso, a proposito di anoressia e bulimia, di una "epidemia sociale moderna" e si siano fatte le ipotesi più disparate per giustificare questo sviluppo.

I disturbi alimentari sembrano essere la malattia della nostra epoca. I mezzi di comunicazione di massa presentano modelli di donne snelle e soddisfatte della loro vita, suggerendo che è più importante l’apparenza esterna dell’identità interna. Questi messaggi inducono le giovani a voler assomigliare ad ogni costo alle ragazze protagoniste della televisione e delle copertine dei giornali.

E’ chiaro che i ricercatori si sono dedicati allo studio della popolazione adolescenziale in quanto risulta maggiormente affetta da queste patologie ed e’ contemporaneamente la maggiormente influenzabile dalle mode e dagli atteggiamenti culturali dei mass media, sentendo su di se in modo pesante la pressione dei fortissimi condizionamenti pubblicitari che la pubblicità riversa su di loro.

I manuali diagnostici oggi in uso considerano come facente parte del quadro diagnostico dei disturbi alimentari due categorie di malattia caratterizzate da alterazioni del comportamento alimentare: anoressia nervosa e bulimia nervosa.
L’anoressia nervosa è caratterizzata dall’ostinata ricerca della magrezza in relazione al terrore di ingrassare. La paziente perde la capacità di valutare obiettivamente il suo aspetto e nonostante l’evidente calo ponderale, non si sente mai abbastanza magra. Vengono studiati molti trucchi per evitare di mangiare, per riuscire a saltare i pasti senza "dare nell’occhio", si pratica attività fisica fino all’esasperazione: dimagrire diventa l’unico interesse. Il peso si può ridurre fino al di sotto dell’60% del peso considerato normale in rapporto all’età e all’altezza. Nelle donne scompaiono le mestruazioni.

La bulimia, e alle volte l’anoressia, sono accomunate anche da una condizione di segretezza: una situazione permanente, in cui molti degli sforzi sono rivolti alla riservatezza, e alla protezione del loro sintomo. Come in una sorta di dipendenza, sia il rifiuto del cibo che l’assoluta ingordigia e tutti meccanismi compensativi utilizzati diventano i loro più potenti alleati così che le stesse persone affette da questi disturbi li custodiscono come tesori, anche perché spesso non riescono a vedere la loro vita futura e presente senza la presenza dei loro sintomi.

In contrapposizione, al meccanismo difensivo della patologia, vi è una società, come ho già detto, spesso non ben consapevole delle reali cause e risvolti di questi disturbi, che di conseguenza finisce per concentrare la sua attenzione solo sull’aspetto più evidente, in realtà mero sintomo di questo enorme disagio, e cioè il rapporto di queste persone con il cibo.

In questa situazione di non comprensione, l’ambiente che le circonda può a volte divenire, per le stesse, inquisitorio (“Hai mangiato tutto oggi!?!”) e stigmatizzante (“Sei solo una bambina capricciosa che si rifiuta di mangiare!").

I disturbi dell’alimentazione sono tra le patologie psichiatriche che, negli ultimi anni, hanno ricevuto maggiore attenzione da parte dei ricercatori che operano in campo della salute. Mentre un tempo esse erano diagnosticate piuttosto raramente, l’anoressia e la bulimia sono oggi comunemente diagnosticate e sono divenute nei paesi occidentali un’importante problema di salute pubblica. Entrambi i disturbi seguono un decorso cronico con frequenti ricadute e conducono spesso a complicanze di ordine medico portando a volte fino alla morte. La portata di questo problema di salute pubblica è sottolineato dal tasso di incidenza tra 1% e 2% dell’anoressia e della bulimia nervosa tra le adolescenti e le giovani donne, la popolazione a maggior rischio per lo sviluppo di tali disturbi. E’ dimostrato che negli ultimi decenni il tasso di incidenza dell’anoressia nervosa tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 24 anni è in continuo aumento; mentre sia bulimia che anoressia rimangono rari tra i ragazzi.


Questa situazione sembra così essere il frutto di una visione distorta di sé e da relazioni complesse, invischiate, indifferenziate e torbide, nelle quali il loro linguaggio ha preso voce per poi però perderla rapidamente lasciando spazio al sintomo più energico, più definitorio, meno equivocabile, espressione del proprio disagio e della propria scelta di esistere nella non-esistenza.

Con questo bagaglio di dolore, sorta di stimmate moderna, queste pazienti – al di là del loro rifiuto e della loro protesta scarnificata, della loro rivolta e sfida mortale – , nel loro incontro con operatori psichiatrici attenti e sensibili, pronti ad accoglierle e ad ascoltarle, esprimono con i loro sintomi la loro disperata richiesta di aiuto.
Esse, attraverso modalità e semantiche narrative, in questo loro primo incontro con gli operatori psichiatrici, nell’iniziale incerta nuova offerta di sé a questi sconosciuti interlocutori incontrati, non per caso, sulla strada del loro percorso esistenziale e di cura, già si sono inconsciamente incamminate con il loro passo incerto in un viaggio di ritorno alla conversazione e al racconto su di sé e su gli altri personaggi significativi della loro esistenza, della loro vita.

Un dono prezioso come può esserlo ogni tentativo di comunicare le proprie sofferenze, i propri sordi sentimenti e vissuti di dolore, e che come tale vuole, esige – anzi pretende – la nostra massima attenzione e considerazione affinché questo gesto simbolico fragilissimo di apertura non si richiuda subito a coprire definitivamente il vuoto di un buco nero, di un abisso, che spesso e purtroppo non lascia scampo.

Da tutto ciò emerge prepotentemente l’importanza delle relazioni (soprattutto quelle famigliari) come organizzatori emotivi, da una parte, e la considerazione delle emozioni come derivato/precipitato delle relazioni stesse, dall’altra.
Ma anche, in questa fase, la centralità dell’analisi della produzione linguistica come modalità per individuare le “stanze mentali”, gli “universi di senso” che questi soggetti investono nel corso della produzione discorsiva stessa così avviata in un rapporto psicoterapeutico e di cura.

Viviamo infatti di un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava “Le passioni tristi”: un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta a racchiuderci in noi stessi, a vivere il mondo come una minaccia, e al quale bisogna rispondere “armando” i nostri figli!

E però, in tal modo, togliendo loro lo spazio e il tempo del possibile, del sogno, degli scenari futuribili aperti sul tutto e sul niente gravido di senso, gettandoli e proiettandoli così in una iper-realtà opaca ed appiattita, diffusa e pervasiva, grigia e, nella sua cruda brutalità, ovvia e contro la quale non vi è nessuna possibilità di redenzione, di riscatto, o fuga, se non appunto nei nuovi sintomi del dis-essere.
I problemi dei giovani sono allora il segno tangibile di una crisi profonda della cultura contemporanea fondata sulla promessa di un futuro tecnologico e consumistico come redenzione laica. Promessa purtroppo mantenuta nella sua componente disumanizzante ed alienante.

Si continua in tal modo ad educarli come se questa crisi non esistesse, come se tutto ciò fosse la norma, rientrasse nell’auspicabile e desiderabile condivisione dell’ “essere” che è in realtà invece un dis-essere serpeggiante ed intrusivo.
Ma la fede nel progresso illimitato è stata oramai sostituita da un futuro cupo, plumbeo, un futuro dalle false e logore certezze che identificano la libertà con il dominio di sé, dell’ambiente, degli altri. Dove tutto deve servire a qualcosa in una dimensione utilitaristica e cosificante, strumentalizzante ogni situazione, relazione, idea, persona, sentimento.

Una realtà avvilente, unidimensionale, riduttiva e predatoria che annulla, nella sua brutale e scandalosa ipocrisia di fondo, ogni profonda e sentita possibilità di essere, di dare senso al proprio destino, e poter così finalmente aspirare a divenire i protagonisti della propria parabola esistenziale ponendo in tal modo fine – almeno sul piano soggettivo e individuale – a quella che purtroppo continua ancora ad essere la stagione, l’epoca, dominata e posta sotto il sigillo delle Passioni Tristi.

Andrea Mazzoleni, Socioterapeuta

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