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La situazione delle carceri...ma non è una cosa seria

Note a margine di “un carcere disumano”

Quando nei convegni gli operatori penitenziari hanno detto che le nostre carceri sono le più civili del terzo mondo hanno parlato come sovversivi ad una platea assente e distratta che li ha ignorati per anni. Ora che il Ministro Alfano ha scoperto che le carceri italiane hanno raggiunto un livello di disumanità da non ritorno i più ottimisti possono sperare che sta per cambiare qualcosa. In realtà il gioco delle parti continua con l’unica conseguenza che il carcere continua ad affondare.
 
L’unica cosa certa è che il carcere da anni non è più un tabù. La gente può dire alla propria coscienza: la società si interessa del carcere. In realtà se ne interessano in molti, quasi sempre solo a parole, così che le cose rimangono come sono ed i problemi restano solo sulle spalle di chi vive al di qua e al di là dei cancelli.
 
Per tanti il carcere è diventato una moda, una merce facilmente vendibile. Il filone-carcere stuzzica l’attenzione di intellettuali, pseudo esperti ed opinionisti, sempre pronti a presenziare a dibattiti, pontificando pur senza aver mai visto un carcere. Alzi la mano chi ha visto veri operatori penitenziari invitati ai dibattiti televisivi sul carcere.
 
Tanti altri, molti, contrabbandano per interesse alle problematiche del carcere quello che è solo un interesse privato, solleticato dai tanti euro dei Fondi Sociali Europei che consentono ai bene informati ed ancor meglio ai bene inseriti di presentare e vedersi approvare progetti fantasiosi, inimmaginabili, futuribili, vuoti contenitori dove il detenuto si limita a svolgere il ruolo di comparsa perché i protagonisti sono quelli che puntano all’obiettivo finale: il finanziamento del progetto da cui, come una grossa slot-machine, cadono a pioggia tanti soldini. 

Parliamoci chiaro: se ci si guarda intorno si vede che l’unica relazione che la società ha con il carcere, quella più spontanea e più sincera, è il rifiuto del carcere stesso, luogo di perdizione, enorme contenitore dove la società emargina “i cattivi” e li affida all’oblio. Tale emarginazione, nel tempo, non è stata solo psicologica ma anche fisica e logistica. Il carcere ha lasciato i centri urbani, dove ha vissuto per secoli in castelli e conventi, e si è trasferito nelle estreme periferie suburbane delle città, oltre gli stessi cimiteri, illuminato di notte come un enorme cattedrale nel deserto, isolato, spesso irraggiungibile fisicamente ed umanamente.
 
Ora si dà spazio alla improvvisa scoperta che ci sono 60.570 detenuti su 43.000 posti regolamentari. Si dice che è intollerabile che a Milano S. Vittore si dorma con il materasso a terra perché non c’è posto per le brandine e si ignora che con i materassi a terra si dorme da anni dappertutto, ad Ancona come a Pesaro, a nord come al sud. Quando sono arrivato a Cassino, nel 1981, nei cameroni della prima sezione c’erano letti a castello a 4 piani e cesso in un angolo per 12, scene da “Fuga di mezzanotte”. Oggi ci sono carceri dove i detenuti dormono nelle salette tempo libero, nelle salette ping pong, nei magazzini, in qualunque spazio disponibile e la mente ritorna a S. Vittore dove non molti anni fa li avevano dovuti mettere anche in ascensore.
 
Bene, dice il Ministro, costruiamo altre carceri, e lo dice ormai da mesi con disinvoltura, come se le carceri fossero dei campi profughi costruiti con i moduli prefabbricati messi su in pochi giorni dopo il terremoto del Belice o dell’Irpinia. Lo dice come se le carceri fossero organizzate come i Centri di Permanenza Temporanea, enormi recinti dove bivaccano centinaia e centinaia di extracomunitari accatastati come polli in batteria.
 
Sarebbe interessante se dai Provveditorati alle Opere pubbliche o dai competenti Uffici Dipartimentali si rendessero noti i dati sulle carceri ultimate ma non funzionali, sui reparti detentivi oggetto di restauri edilizi volutamente infiniti, per furbizia autoctona o per carenze finanziarie, sulle centinaia di posti letto rimasti inutilizzati dopo la dismissione delle case mandamentali.
 
Ma soprattutto sarebbe interessante sapere come pensa di risolvere il problema del personale, delle migliaia e migliaia di uomini che già oggi mancano all’appello e rendono impossibile la vita di chi lavora in carcere, una vita fatta di stress, di lunghe notti al freddo perché non ci sono i soldi per il riscaldamento, di riposi accumulati, di straordinari non pagati, di ferie spezzettate, di capitoli di spesa decapitati a tavolino senza rendersi conto dei disastrosi risvolti in periferia dove manca persino la carta igienica.
 
In uno stato di disagio generale per il Paese e per il mondo intero non si può pretendere evidentemente di più “per” il carcerario. Ma allora non si deve pretendere di più “dal” carcerario, non si devono esprimere giudizi che offendono l’impegno di chi ci lavora, bisogna avere il coraggio di intervenire sul codice per evitare che chi ha rubato una merendina da 12 euro alla Standa, per fame, sia condannato a tre mesi di carcere.
 
I nostri politici devono capire che il carcere è solo la stazione di arrivo di disagi, tensioni, ingiustizie, sperequazioni, povertà, crisi di valori che la società esterna non ha saputo o potuto risolvere. E nessuno può o deve ragionevolmente pensare di dare a quanti lavorano nel carcere una delega in bianco per risolvere da soli, senza mezzi, senza uomini , senza strutture e, perché no, senza alcun riconoscimento sociale e morale, le tensioni della società che nel carcere si riflettono e si amplificano.
 
Ma soprattutto nessuno può speculare sull’amarezza di quanti nel carcere, a diverso titolo, hanno abdicato ormai ad ogni riconoscimento e dignità professionale.

Commenti all'articolo

  • Di LUIGI MORSELLO (---.---.---.101) 19 marzo 2009 10:40

    Mi corre l’obbligo dei chiarire che l’autore dell’articolo non sono io LUIGI MORSELLO, ma il dr. Aldo Maturo, dirigente dell’amministrazione penitenziaria in pensione, nonchè avvocato praticante, mio amico personale, che mi ha autorizzato ad inserire l’articolo sul vostro sito, in nome e per conto suo.
    Mi sono iscritto e ho pasticciato, non essendo ancora molto pratico, ma il testo da me inviato indicava esattamente l’autore e la sua qualifica.
    Sarebbe opportuno che la redazione attribuisse esattamente la paternità del contributo, e cioè il DR. ALDO MATURO.
    Grazie.
    Luigi Morsello 

  • Di Paolo Praolini (---.---.---.204) 19 marzo 2009 22:32

    Purtroppo sembra che la priorità sia allargare le ville e non le carceri.
    Sarà per la prossima legislatura, forse.
    Comunque l’articolo è molto interessante!

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