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La seconda chance di Claudio Scajola

La seconda chance di Claudio Scajola

In quelle ore la sede di Via Dell’Umiltà assisteva ad una delle più dure faide interne al partito. Forza Italia era lacerata dopo la dura sconfitta subita alle amministrative di pochi giorni prima. Il coordinatore nazionale del partito, Sandro Bondi, ed il suo vice Fabrizio Cicchitto, finiscono sotto il tiro dell’indice accusatore del collega Claudio Scajola, predecessore di Bondi alla guida del partito e nominato di fresco Ministro per l’Attuazione del Programma dopo la sua estromissione avvenuta 2 anni prima in seguito alle sue dichiarazioni su Marco Biagi.

Potrebbe essere storia di oggi. Era invece il 6 luglio 2004.

Nelle stesse ore l’architetto Angelo Zampolini, il factotum del collega costruttore Diego Anemone, entra per conto di quest’ultimo nella sede del ministero retto da Scajola stesso, a Via della Mercede, a due passi da Palazzo Chigi. Con lui, in una sala riunioni, il ministro stesso, Barbara e Beatrice Papa, proprietarie di un appartamento da 180 metri quadri a Via del Fagutale, con vista sul Colosseo e sul Parco di Traiano, il notaio Gianluca Napoleone, alcuni funzionari di banca (tra i quali Luca Trentini, allora direttore di una delle filiali Deutsch Bank di Roma) e 80 assegni per l’ammontare complessivo di 900 mila euro.

Il numero degli assegni non è casuale: è il numero perfetto che consente una divisione equa del denaro tra le due sorelle Papa mantenendo un valore per ciascun foglietto della Deutsch Bank di Roma, agenzia 582, sempre inferiore alle 12 mila e 500 euro. Sopra questa soglia scatta l’obbligo di segnalazione da parte della banca emissaria degli assegni e i conseguenti controlli sui movimenti da parte della Guardia di Finanza.

Scopo della transazione: l’acquisto dell’appartamento in zona Colosseo da parte del Ministro Claudio Scajola per la cifra accordata di 1,7 milioni di euro. 610 mila euro vengono consegnati alle proprietarie grazie ad un mutuo sottoscritto dal ministro stesso presso il Banco di Napoli. Altri 200 vengono consegnati cash alle sorelle stesse alla sottoscrittura informale dell’accordo di vendita. Gli altri 900 mila arrivano dalle tasche dell’imprenditore Diego Anemone, lo stesso imprenditore sottoposto alla misura della custodia cautelare e sotto-indagine per lo scandalo-appalti per le forniture del G8 alla Maddalena.

L’atto di vendita attesta il tutto alla modica cifra di 610 mila euro: l’esatto ammontare pagato con regolare mutuo dal ministro. Appena 3 mila euro al metro quadro per un appartamento a 200 metri dal Colosseo.

Non si tratta di una verità giudiziaria, ma solo di una possibile versione dei fatti. Una versione confermata alla perfezione da quattro testimoni (le due sorelle Papa, Angelo Zampolini e Laid Ben Hidri Fathi, autista tutto-fare e uomo di fiducia della coppia Anemone-Balducci), dall’informativa della Guardia di Finanza [PDF] datata 1 aprile 2010, dai documenti in possesso dei pm di Perugia e dalle copie degli assegni incassati dalle sorelle Papa.

Dall’altra la strenua difesa e dichiarazione di innocenza del ministro Claudio Scajola. Lo stesso che il 24 aprile 2010 dichiarava: "Escludo categoricamente, quindi, che sia stata versata alcuna somma in mio favore per tale vicenda o per qualsiasi altra" e che ieri, invece, affermava: "Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata in parte pagata da altri senza saperne il motivo, il tornaconto e l’interesse, i miei legali eserciteranno le azioni necessarie per l’annullamento del contratto di compravendita".

Oramai di fronte agli occhi del dimissionario ministro delle attività produttive, Claudio Scajola, aleggia lo spauracchio di un avviso di garanzia e di un rinvio a giudizio per corruzione. Sotto la lente d’ingrandimento dei pm di Perugia (e dei colleghi della Procura di Roma, prossimi eredi degli incartamenti) le possibili ragioni di un "regalo" così consistente al Ministro di ieri e di oggi da parte di un costruttore molto legato ad alcuni esponenti dell’esecutivo e spesso assegnatario di appalti pubblici di origine ministeriale.

Ciò che oggi il ministro si trova a perdere è il semplice titolo di Ministro delle Attività Produttive all’interno dell’esecutivo Berlusconi IV. Il suo posto da deputato non sembra essere in discussione, così come la matematica certezza della conclusione di un eventuale processo a suo carico con la formula della prescrizione.

Il capo d’accusa del riciclaggio, che procrastinerebbe i termini di prescrizione di diversi anni rispetto al 2012, anno nel quale il ministro vedrebbe sospendere ogni possibile procedimento giudiziario a suo carico relativamente all’ipotetica accusa di corruzione, è di quasi impossibile contestazione; le probabilità di accertare la provenienza dei 900 mila da "fondi neri" e la consapevolezza di tali origini da parte del "beneficiario" di tale somma è di fatto nulla.

Allo stato attuale delle cose, Claudio Scajola resta stabile sul suo seggio di deputato della Repubblica e consapevole di una conclusione delle indagini in un’archiviazione per prescrizione nel peggiore dei casi. Nel caso migliore, rientrerà dal portone d’ingresso dopo essere uscito da quello di servizio (come lo stesso caso Scajola del 2002 insegna), riappropriandosi magari anche dell’incarico di ministro.

Sul ministro Raffaele Fitto vertono svariati capi d’accusa, due processi in corso e altrettante richieste d’arresto respinte dalla Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è sotto processo per corruzione relativamente alla vicenda Mills (processo che lo vede acclarato colpevole nella sentenza di condanna per David Mills e al tempo stesso beneficiario di una ineluttabile prescrizione oramai alle porte) e sotto indagine in altri ed il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Scajola può stare sereno. In questo governo una seconda chance non si nega a nessuno.

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