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La saldatura familista tra la chiesa cattolica e il governo Meloni

La famiglia è tornata al centro del dibattito politico perché il governo ha deciso di fare delle campagne valoriali il punto più caratterizzante della sua azione di governo, scegliendo la famiglia cattolica come modello e cominciando una battaglia non solo contro tutte le altre, ma anche contro tutti gli altri (che non la pensano come loro). Raffaele Carcano affronta il tema sul numero 3/23 di Nessun Dogma

Nonostante la patina modernista precipitosamente attribuita a papa Bergoglio, in materia di famiglia la dottrina cattolica è sempre quella, in saecula saeculorum. Breve riassunto per chi ha (legittimamente) dimenticato il catechismo, o ha avuto la fortuna di non frequentarlo: i rapporti sessuali sono ammessi soltanto a fini riproduttivi, soltanto non protetti e soltanto all’interno del matrimonio, “naturalmente” etero e indissolubile, mentre la moglie è e deve restare in posizione subalterna e preferibilmente a casa, a tirar su i pargoli.

In poche parole, sono leciti esclusivamente quelli che nel 1930 Pio XI definì casti connubii. L’unica vaga novità successiva è stata l’approvazione di alcuni metodi contraccettivi “naturali” (peraltro poco efficaci), ma unicamente al fine dell’ottimizzazione delle nascite, non certo di una loro limitazione. L’interruzione di una gravidanza continua a essere sanzionata con la scomunica.

Non è un modello esattamente trendy, oggi. E non lo era nemmeno prima del cattolicesimo. Se è stato predominante per ben più di un millennio, è perché è stato imposto con la forza: il suo mancato rispetto è stato criminalizzato da sovrani devoti che hanno trasformato presunti peccati in concreti reati, dando inevitabilmente vita a una generalizzata ipocrisia praticata in ogni strato sociale – popolo, clero, aristocrazia, regnanti. Se le condanne sono sempre state numerose è anche perché, per gli esseri umani, applicare alla lettera il familismo cattolico è uno sforzo sovrumano. Ha ben poco di “naturale”: anzi, è totalmente contro natura.

Ma non ci sarebbe stata alcuna condanna, se non ci fosse stata una teologia a esigerlo e se non avesse preteso anche la pubblica demonizzazione dei peccatori. Se le condanne sono progressivamente venute meno (ma possono sempre essere reintrodotte) è grazie all’azione politica degli illuministi e dei loro nipotini, non certo per motu proprio ecclesiastico. Rimangono peraltro numerose libertà da conquistare ed è ancora diffusa la stigmatizzazione, soprattutto nei paesi più clericali. Il nostro, per esempio.

Forse non è più frequente come una volta l’uso della parola “zitella”, in compenso capita che una donna che vive da sola sia ancora considerata più facile. Se convive è comunque oggetto di mormorii e talvolta anche di vere e proprie discriminazioni, quando si mette alla ricerca di una casa in affitto. Se la coppia decide di sposarsi con rito civile avrà il suo bel daffare per trovare una data libera e uno spazio adeguato: anche se dal 2018 il matrimonio civile è maggioritario nel paese, i Comuni finanziano con il contagocce le sale dove celebrarli, continuando però a destinare copiosi fondi pubblici a chiese sempre meno frequentate.

Il modello familista cattolico invade anche la sfera della riproduzione consapevole. A scuola l’educazione sessuale è ovviamente inesistente (spingendo i ragazzi ad affidarsi a Pornhub), mentre la sterilizzazione è qualcosa di completamente ignoto all’intera cittadinanza. Se la contraccezione non è più esplicitamente disapprovata, è comunque sconsigliato parlarne, specialmente sulla tv pubblica.

Quella di emergenza viene paragonata all’aborto, fomentando i farmacisti a negarla a chi ne ha bisogno. L’aborto viene a sua volta costantemente demonizzato, non solo cercando in tutti i modi di impedirlo (definire i ginecologi «sicari» fa crescere l’obiezione e crea odissee per ottenerlo), ma anche trasmettendo la convinzione che una donna debba sentirsi traumatizzata, se vi ricorre. E se si azzarda a dire che non ne ha patito alcuna conseguenza viene immediatamente crocifissa, perché fa crollare tutta l’impalcatura iteologica.

Alle donne che non hanno figli non è facilmente accordata la parola sull’argomento («che ne sanno loro?»), e quelle che osano schiettamente affermare che si tratta di una loro libera scelta sono colpevolizzate, perché viene considerato un rifiuto contro natura di un impulso “universale” com’è ritenuto quello materno. Secondo l’Istat, una donna su venti non vuole diventare madre – ma probabilmente sarebbero molte di più, in assenza di condizionamento sociale. E non risulta che si sentano in colpa: sono semmai i loro genitori, specialmente se zelanti, a provare talvolta vergogna per aver avuto una figlia non conformista.

Si pretende che la madre sia una madre perfetta, anche se è spesso lasciata sola già al momento del ritorno a casa, magari dopo un parto eccessivamente doloroso per le terapie disponibili oggi. È quindi tabù sentirsi un po’ depressa o lamentarsi di aver avuto figli: come li alleverà, altrimenti? L’incomprensione diventa poi totale assenza di pietà quando si tratta di commentare i casi, per fortuna non numerosi, di coloro che sono talmente esasperate da arrivare all’infanticidio.

Non è un caso se, ancora oggi, c’è un diffuso fastidio nei confronti dei (relativamente pochi) uomini che prendono il congedo di paternità: chi li deride chiamandoli “mammi” li vuole accusare di scarsa virilità, ma sta pure implicitamente insinuando che le loro partner non stanno facendo quanto è loro “dovere”. Tante madri, per non cadere nel tritacarne, finiscono quindi per farsi esclusivo carico della prole e lasciano controvoglia l’occupazione – talvolta per sempre. Le donne italiane lavorano e guadagnano meno rispetto alla media europea (e al sud è una catastrofe), ma la Chiesa non sembra molto impegnata a cambiare lo status quo.

La stessa Chiesa, incoerentemente (almeno per menti laiche), pone però freni enormi a chi i figli li desidera, ma non li può avere. Sabota infatti apertamente sia l’accesso alla fecondazione artificiale, sia alla gestazione per altri. La concentrazione di agenzie cattoliche per l’adozione dissuade inoltre tante coppie non cattoliche anche soltanto dal provarci. Senza contare i single e le coppie non sposate, a cui l’accesso è interdetto, e ovviamente gay e lesbiche, discriminati in misura ancora maggiore. Del resto, per la dottrina, queste non sono considerate famiglie. E non lo saranno probabilmente mai.

E vogliamo parlare di chi cerca di separarsi e poi divorziare? Deve tuttora affrontare tempi lunghissimi (che la riforma Cartabia non accorcerà più di tanto), nonostante il separato non divorziato continui a mantenere gli stessi diritti ereditari del coniuge. Né vanno dimenticate le numerose sentenze che sono state giudicate “creative”: comunque la si pensi, il dato di fatto è che tanti italiani e tante italiane hanno la sensazione che istituzioni, leggi e tribunali non li tutelino a sufficienza. Avere bambini, pensano molti, è una scelta costosa e rischiosa.

Tutto ciò ci colloca lontano dagli standard europei: in particolare, in Italia nascono meno neonati (siamo al minimo storico) e si lascia molto tardi la casa dove si è cresciuti. Se i genitori spesso eccedono per bimbocentrismo, i figli sono frequentemente accusati di mammismo.

E poiché la famiglia stile Mulino Bianco(fiore) esiste solo nella pubblicità, i tribunali sono inondati di cause. Il familismo cattolico, dati alla mano, si rivela un autentico fallimento non solo per lo stato (sedicente) laico, ma anche per gli obiettivi che si pone la Chiesa. Perlomeno quelli ufficiali. Perché se si guarda all’esigenza di mantenere la posizione di privilegio nella società, occorre riconoscere che rimane straordinariamente efficace.

Per fortuna l’Italia, fuori dal parlamento, è sempre più differente. Il modello di famiglia tradizionale è già oggi estremamente minoritario, e persino chi si dichiara cattolico lo osserva ormai raramente: benché legittimo quando viene scelto consapevolmente, non ha nessuna possibilità di ridiventare predominante, se non con l’ascesa politica da parte di epigoni nostrani dei talebani.

Che però sembra proprio quanto sta accadendo da settembre, dopo la vittoria elettorale della coalizione di destra trainata dalla sua componente più estrema. Il governo che ha espresso, in spregio del buon senso e della logica, pensa che per risolvere tanti dei problemi sul tappeto occorre amplificare la loro causa, iniettando cioè ulteriori dosi dell’usurata teologia cattolica nella già provata società italiana. Se all’opposizione si batteva contro l’estensione dei diritti laici, sostenendo che vi fossero «cose più importanti di cui occuparsi», la destra al potere mostra un furore ideologico che fa pensare che, per i suoi esponenti, la principale urgenza sia proprio negarli.

La Lega ha persino presentato un disegno di legge per incentivare le nozze cattoliche, con l’intento di far capire a tutti che quelle celebrate fuori dalla parrocchia vanno considerate di serie B (anche se in questo modo ha fatto capire a tanti quanto costino e quanto siano in calo i matrimoni in chiesa). Uscendo dall’ambito folkloristico, a essere stigmatizzati sono soprattutto i gay, dalla battaglia per negare loro le adozioni (anche quelle già riconosciute) alla guerra contro la gestazione per altri (ancor più squallida, visto che, tra chi la sceglie, le coppie omosessuali sono una minoranza).

La pasdaran della destra cattolica è Eugenia Maria Roccella, ex femminista radicale convertitasi al cattolicesimo più intransigente (anche a costo di negare le evidenze) e ora ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità. Un suo slogan frequente è «l’aborto non è un diritto». Nonostante Giorgia Meloni si sia impegnata a non toccare la legge 194, i membri del suo partito hanno fatto fioccare le proposte di legge a favore della “vita nascente” e, a livello locale, i contributi alle donne che vi rinunciano.

Un’enfasi sproporzionata è infatti posta sul natalismo, che Roccella declina nell’intenzione di «favorire la libertà di fare figli» – che non risulta sia mai stata vietata. È stato già proposto di incentivare le gravidanze e di tassare più i single dei genitori (in piena continuità con la tassa sul celibato di fascista memoria). Ovviamente, poiché i maggiori tassi demografici si riscontrano tra le famiglie immigrate, negare loro diritti e contributi ne è l’inevitabile corollario. È per questo motivo che a destra viene agitato lo spauracchio della «sostituzione etnica» e si demonizzano con ogni mezzo gli stranieri, anche a costo di lasciarli morire in mare.

Questo è forse l’unico punto di attrito con il Vaticano. Che corre però sottotraccia, quasi invisibile, come il fatto che al vertice della maggioranza ci siano leader familisti con famiglie “amorali” (ipocriti come una non piccola parte del loro elettorato). In fondo, la linea politica del governo non è diversa da quella che l’estrema destra attua già da anni in Polonia, in Ungheria e negli stati Usa a guida repubblicana riscuotendo il sostegno organico della Chiesa, che gradisce l’impegno contro la “sostituzione religiosa” e apprezza che la sua agenda morale sia tradotta in pratica sic et simpliciter.

A riprova, il quotidiano dei vescovi Avvenire assicura ampio spazio a tutte le iniziative etiche dell’esecutivo. Purtroppo l’opposizione, incantata da papa Bergoglio, finge di non vedere questa saldatura, che peraltro si allarga ai fondamentalisti protestanti. La loro dottrina sui temi familiari è identica a quella cattolica, e per farla tradurre in legge elargiscono somme persino superiori.

Una politica basata sulle evidenze dovrebbe invece attuare strategie laiche e razionali, che da un lato abbiano sempre ben presente la realtà economica, sociale e ambientale, e dall’altro assicurino ai cittadini la necessaria serenità (finanziaria e legale) che consenta di effettuare scelte di vita libere e consapevoli. Non che sia facile riuscirci. Ma è impossibile farcela seguendo il pensiero unico cattolico, come sta facendo il governo Meloni. Usando maniere sempre più forti.

Raffaele Carcano


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