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La rivoluzione dell’Intelligence

Uno degli aspetti più significativi che hanno preparato ed accompagnato il processo di globalizzazione è stata la rivoluzione dell’intelligence iniziata a fine anni cinquanta e poi proseguita per mezzo secolo, sino a culminare nella teoria della guerra “asimmetrica”. Ma storici, sociologi e politologi sembrano non essersene quasi accorti, ritenendola una tematica periferica. Al contrario, si tratta di uno dei passaggi decisivi per capire la politica mondiale dal secondo dopo guerra ad oggi.

Le origini della svolta stanno nel dibattito sulla “guerra rivoluzionaria” –dottrina ufficiale della Nato- che si immaginava i sovietici stessero facendo all’Occidente. Fondamentali furono le elaborazioni del generale Andrè Beaufre, dello Stato Maggiore francese, che revisionò radicalmente gli studi strategici.

Il cuore delle sue teorie è nel concetto di strategia indiretta. L’autore parte dalla distinzione fra strategia diretta all’obiettivo e, che per sua natura, non può che avere carattere eminentemente militare e strategia indiretta, che punta ad un mutamento dei rapporti di forza attraverso il conseguimento di obiettivi collateral,i che mutino gradualmente i rapporti di forza prima di affrontare lo scontro decisivo.

Nota Beaufre, la comparsa degli armamenti atomici rendono impossibile il confronto diretto (quantomeno fra le grandi potenze), per il pericolo che questo sfoci in conflitto totalmente distruttivo.

Ma questo non annulla le tensioni esistenti e, di conseguenza, spinge a cercare forme di conflitto che aggirino il tabù nucleare.

Pertanto risulta utile la strategia indiretta che si esprime con forme di conflitto non militare (destabilizzazione politica, la guerra economica, ecc.) e forme di guerra non ortodossa come le guerriglie, gli attentati, i sabotaggi eccetera che, ovviamente, devono essere condotte in modo coperto per evitare di arrivare allo scontro diretto.

Questo, peraltro, dà luogo al paradosso della “omertà degli avversari”. Anche l’eventuale aggredito è interessato a non sboccare in un conflitto aperto, per cui l’eventuale ritorsione avverrà in forma parimenti coperta, con una reciproca azione di protezione della zona d’ombra. Ovviamente un conflitto del genere deve per forza avere il suo strumento operativo nei servizi di sicurezza, e pertanto, l’intelligence, da attività tattica, collaterale e servente, quale è in un conflitto aperto, diventa strategica, centrale e dominante nel conflitto coperto. Questo implicava anche la cura del “fronte interno”: occorreva avere il controllo del territorio, inteso come “disinfestazione” del fronte interno, dagli agenti avversari.

E’ questo il contesto teorico da cui prese le mosse la stagione della strategia della tensione.

Dopo il superamento di quella stagione le forme di azione dell’intelligence non tornarono più come prima, anzi, dopo una momentanea tregua, ripresero sempre più nella forma della strategia indiretta che, negli anni novanta, divenne la dottrina ufficiale dei servizi cinesi che può essere letta in Italiano nel libro “Guerra senza limiti” di Liang Qiao, Xiangsui Wang, pubblicato dalla Libreria editrice goriziana. Ma ormai non si tratta di una esclusiva di nessun paese, quanto di una pratica di tutti che si estende dalla destabilizzazione monetaria all’azione di influenza politica, dalla cyberwar allo spionaggio industriale, da forme di soft power all’appoggio a guerriglie e terrorismi eccetera.

Ormai i servizi di informazione e sicurezza, soprattutto nelle grandi potenze, non sono più una articolazione periferica del potere, ma il cuore dell’azione strategica: un mutamento negli equilibri di potere di cui occorrerà sempre più tenere conto.

Aldo Giannuli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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