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La riforma elettorale incartata. Quali sono i tempi per approvare la legge prima delle elezioni

 

Dopo l’ottimismo della settimana scorsa, che dava per fatto l’accordo fra partiti sulla legge elettorale, una nuova battuta d’arresto e le probabilità di una riforma prima del voto sono ridotte al lumicino. Per la verità, l’ottimismo dei giorni scorsi era del tutto immotivato: l’accordo sembrava fatto, salvo che per qualche dissenso su dettagli come l’entità del premio di maggioranza, se attribuirlo al singolo partito o alla coalizione, il voto di preferenza e i collegi uninominali. In pratica, tutto, esattamente come prima dell’estate. E così sono restate le cose.

Non ci metteremo il lutto per questa mancata “riforma” che si prospetta più indecente del “Porcellum” e va detto che le proposte del Pd erano ancora più oscene – da un punto di vista democratico - di quelle del Pdl e dell’Udc. Il Pd ha ereditato solo le cose peggiori del Pci, come, ad esempio la totale mancanza di laicità e la sostanziale incomprensione della democrazia pluralista: una cosa (come il premio di maggioranza o il maggioritario secco) è cattiva se serve agli altri, ma diventa improvvisamente buona se serve a se stesso.

La "legge truffa" era infinitamente più democratica e rispettosa del principio di rappresentatività, ma all’epoca il Pci condusse una battaglia memorabile in difesa della proporzionale (in silenzioso accordo con Msi e Pdium, va detto, ma la cosa non ci scandalizza affatto). Quando era Craxi a dire che si poteva sacrificare un po’ di principio democratico per assicurare la governabilità, mancò poco che il Pci lo linciasse in nome della più ideale delle democrazie (ai festival dell’”Unità” si serviva la “trippa alla Bettino”, ricordate?). Oggi, è il Pd a chiedere il massimo premio di maggioranza possibile, proporre quella bruttura elettorale che sono i collegi uninominali, sostenere l’innalzamento della clausola di sbarramento ecc. Non sarà perché sente odore di vittoria e si immagina beneficiario di questi meccanismi? Chissà, poi, se queste aspettative di vittoria saranno coronate da successo.

Chi scrive queste righe era ostilissimo alla proposta di riforma elettorale craxiana e resta ostile allo stesso modo a quelle attuali del Pd. Sulle questioni di principio ogni concessione tattica è opportunismo. Duole scriverlo, ma il Pd è un fattore di inquinamento della vita democratica di questo paese. Ma torniamo al problema del perché del nuovo (e forse definitivo) stallo della “riforma” elettorale. Al di là del problema dell’accordo di merito che manca, la questione è ingarbugliata sulla data delle elezioni.

Berlusconi le vorrebbe a tutti i costi a novembre, perché a dicembre c’è la sentenza sul caso Ruby e fare una campagna elettorale con una condanna da macrò (pappone, ndr) non è il massimo, per cui mette come condizione all’accordo sulla legge elettorale il voto anticipato. Anche Napolitano vuole votare a novembre, perché vuol essere in carica quando ci sarà da nominare il nuovo Presidente del Consiglio e pilotare, in questo modo, un Monti bis. Ma qui le cose sono complicatissime: si dà per scontato che l’ultima data utile per votare in autunno potrebbe essere il primo fine settimana di dicembre (2-3), dopo si va a marzo (3-4), perché è impensabile votare a febbraio, ma per votare il 3 marzo, il Presidente dovrebbe sciogliere le Camere al massimo entro 70 giorni prima, cioè il 23 dicembre. Quello che Napolitano non può fare, perché il 15 dicembre inizia il suo “semestre bianco” in cui non può sciogliere il Parlamento. E, peraltro, molti protesterebbero per una data invernale in cui fa ancora troppo freddo.

Dunque, se Napolitano vuole arrivare in carica alla formazione del nuovo governo, si deve votare nei primissimi di dicembre e questo significa sciogliere le camere al massimo 45 giorni prima, quindi entro il 15 ottobre. Ma, naturalmente, il Capo dello Stato non può indire le elezioni se il sistema elettorale non è perfettamente messo a punto. Perché le cose stiano così, occorre tener presente che è necessario un passaggio, per quanto rapidissimo, fra le due Camere, quindi la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e la vacatio legis di almeno 15 giorni, dopo di che, gli uffici del Ministero dell’Interno hanno bisogno di almeno 6 settimane per ridisegnare i nuovi collegi e circoscrizioni. Dunque, se già lunedì prossimo fosse trovato l’accordo e la nuova legge fosse approvata con un simulacro di dibattito, considerando che va votata articolo per articolo e poi nell’insieme, che possono esserci emendamenti ecc, sarebbe letteralmente impossibile approvarla in meno di una settimana per ciascuno dei due rami del Parlamento. Pertanto, prima del 15 settembre non se ne parla neppure nella più rosea delle ipotesi.

Mettendo al lavoro gli uffici del Ministero già durante la vacatio legis, i 42 giorni necessari –nell’ipotesi più rapida- al ridisegno delle circoscrizioni scadrebbero il 27 ottobre, troppo tardi per votare a novembre. Tirando le fila, le cose sono due: o si vota a novembre con questa legge elettorale e della riforma se ne riparla (forse) dopo le elezioni, oppure si cerca di fare la riforma (e non è detto che ci si riesca) e si vota in primavera. Ma, se si supera novembre il Pdl sarà ancora disposto a fare la riforma? Anche solo per ripicca, per il fatto di andare al voto dopo la (scontata) condanna di Berlusconi, non ci sarebbe da attendersi un atteggiamento diverso? E, soprattutto, siamo proprio così sicuri che in primavera gli orientamenti dell’elettorato restino ancora così favorevoli al centro sinistra?

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