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 Home page > Tribuna Libera > La richiesta di assistenza al suicidio

La richiesta di assistenza al suicidio

 
Un altro spinoso caso, quello del suicidio assistito di Pietro D’Amico, avvenuto in circostanze non chiare in Svizzera, riapre il dibattito sulla necessità di una più puntuale regolamentazione della questione. Non solo in Svizzera, ma anche in Italia. Lo scorso aprile D’Amico, con una lunga carriera di magistrato prolungatasi fino al 2010, si è recato da solo in macchina a Basilea, dove presso una clinica ha avuto luogo il suicidio assistito. Tutto ciò all’insaputa della famiglia, che ne è venuta a conoscenza solo dopo la sua scomparsa.
 
Si è creduto che a D’Amico, già colpito da profonda depressione, fosse stata diagnosticata una malattia incurabile e per questo avesse scelto l’eutanasia. Ma l’autopsia ha rivelato che non c’erano patologie. L’uomo aveva infatti mostrato certificati medici secondo cui sarebbe stato malato terminale: e sulla base di queste diagnosi i medici lo hanno assistito nel suicidio. L’avvocato Michele Roccisano, legale della vedova Tina Russo, ora chiede che si stabiliscano le responsabilità per la diagnosi errata dei medici in Italia e per il comportamento dei dottori svizzeri. In precedenza D’Amico aveva tentato più volte di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera, ma non gli era stato concesso perché non aveva documentazione medica che lo giustificasse.
 
Alcune settimane fa un caso in parte analogo è stato giudicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Un’anziana donna svizzera aveva ripetutamente chiesto l’eutanasia sebbene non soffrisse di malattie terminali, ma i medici si erano rifiutati e i tribunali del suo paese avevano respinto l’istanza. La questione era quindi finita alla Cedu, che ha fatto notare come la legge svizzera non precisi nel dettaglio i casi in cui ammette il suicidio assistito, chiedendo maggiore chiarezza.
 
 
La vicenda conferma che sarebbero opportune non solo regole chiare, ma anche una gestione “pubblica” e trasparente di questo tema complesso, nel rispetto della volontà di autodeterminazione dei singoli. Mario Giordano, su Il Giornale, ha scritto ieri di “perdita dell’umanità”. Ma cosa c’è di più umano di non voler soffrire inutilmente?
 
La questione va affrontata: bisogna mettere da parte le ipocrisie, i dogmi, le accuse di disumanità e di assassinio, ma anche impedire che possano esserci abusi. Occorre anche mettere in campo tutti gli accorgimenti per evitare errori. Possibilmente individuando un percorso legislativo che riconosca le diverse esigenze delle persone coinvolte, come la campagna sul fine-vita, il testamento biologico e l’eutanasia promossa anche dall’Uaar per avere finalmente una legge senza tabù pure in Italia.
 
Ma soprattutto che rispetti chi fortemente soffre, anche se non fisicamente, e non trova altre soluzioni che chiedere aiuto per farla finita.
 
 
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