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La religione che offende

Le festività natalizie si avvicinano e con esse, com’è purtroppo consuetudine, si alza il livello di attenzione verso tutte le iniziative di carattere più o meno religioso che vengono attuate negli spazi istituzionali, prime fra tutte le scuole pubbliche. Iniziative di una sola religione, ovviamente, ma perfino finanziate dagli enti pubblici a suon di migliaia di euro

Qualunque tentativo laicizzante viene immediatamente ripreso e stigmatizzato dai tradizionalisti di turno e la domanda ricorrente è: come può essere ritenuto offensivo? Chi può dirsi offeso dal presepe, piuttosto che dalla benedizione della scuola o dall’onnipresente crocifisso?

Le risposte sono abbastanza semplici. Non è nemmeno necessario sperticarsi in considerazioni filosofiche o teologiche per trovarle, basta leggere le dichiarazioni di tutte le parti per capire che l’offeso è solo il cattolicista. Quasi sempre solo lui. Ovviamente non dalla presenza del simbolo o dell’iniziativa confessionale bensì dalla sua assenza, ma pur sempre di sentimento di offesa trattasi. Al contrario, chi promuove attività neutrali dal punto di vista religioso, come di recente le insegnanti di una scuola dell’infanzia di Moie (AN), non lo fa quasi mai sulla base di una presunta offensività del sacro. Non è quella la ragione, nessuno è in genere offeso dalle altre religioni, nemmeno da quella di maggioranza, e qualora lo fosse probabilmente si assenterebbe dall’attività confessionale, ma ciononostante rimane sbagliato privilegiare una confessione rispetto alle altre concezioni del mondo. Se sostituiamo le concezioni del mondo con gli orientamenti politici, il privilegio di uno solo di questi a scapito di tutti gli altri è una dittatura.

È chiaro che invece per il partigiano della tradizione e della confessione le cose stanno in tutt’altro modo. Lui non solo è offeso dal mancato riconoscimento di quel privilegio, ma grida addirittura alla mancanza di rispetto per la sua cultura antica e radicata, quando non di vera e propria discriminazione verso chi esige che gli venga riconosciuto il primato. Tutti gli altri invece non devono ritenersi discriminati se costretti ad assistere alla celebrazione di un solo culto, o all’esposizione di un solo simbolo ovunque. Non si permettano. Anzi, gli tocca pure subire la reprimenda dei soliti personaggi politici che non aspettano altro che di poter amplificare la protesta, che magari è pure scarsamente partecipata ma acquisisce in tal modo una visibilità mediatica di prim’ordine. Oggi a Moie come ieri a Rozzano e in tanti altri posti. E se per caso un politico avesse l’ardire di prendere le parti della laicità, come ad esempio un Fioramonti sul crocifisso, ecco che subito diventa oggetto del fuoco incrociato e costretto a ridimensionare quanto affermato.

Gli argomenti opposti contro chiunque osi non assoggettarsi al culto dominante sono sempre i soliti. Oltre a sostenere che non può offendere nessuno, mentre come abbiamo già visto offende eccome quando non c’è, si aggiunge che è grazie alla cultura cattolica che siamo quello che siamo, il che sarebbe dimostrato dalla netta prevalenza dell’arte sacra (in sostanza il predomino storico legittimerebbe la sua continuazione, quindi se stesso), e che è sempre stato così. Oltre a ossimori vari come “la religione rappresenta anche chi non ci crede”, “è fonte di laicità” o “è una religione di pace” (con buona “pace” dei milioni di sterminati in suo nome). Gli identitaristi di destra non mancano poi di approfittarne anche per fomentare il disprezzo verso lo straniero, ritenuto vero responsabile della deriva laicista. Ma quando mai? Certo, è comodo prendersela con loro invece che con gli indigeni, ma gli immigrati sono poco più dell’8% dei residenti in Italia e oltre la metà di essi sono cristiani. Inoltre quel 4% di diversamente credenti non si sogna nemmeno di protestare per la mancanza di laicità, dato che il loro Paese di origine quasi sempre ha una religione di Stato. Eppure, a causa dell’attivismo razzista si insinua nella mente delle persone il tarlo che è tutta colpa degli stranieri: andassero a casa loro se non gli piacciono le nostre tradizioni! Casa loro però è qui.

La permalosità di una certa parte agguerrita dei credenti non è certo prerogativa dell’Italia. Da questo punto di vista non siamo di sicuro messi benissimo, come testimonia anche il recente rapporto di Humanists International sulla libertà di pensiero, ma all’estero c’è di molto peggio. Nei paesi islamici la manifestazione di dissenso si paga molto cara, come ben sanno i blogger bangladesi, egiziani, iraniani eccetera che troppo spesso rischiano la pelle per aver offeso il sentimento musulmano. Anche nel mondo induista non si scherza, al punto che un artista come Sujatro Ghosh è stato costretto a fuggire in Germania per scampare alle minacce di morte. E pensare che la sua intenzione, quando ha fotografato la donna con la testa di vacca, era protestare contro la condizione delle donne indiane, che pur umane godono di meno diritti delle bovine. Solo che le bovine sono venerate come animali sacri e gli integralisti non l’hanno presa bene. Si sono offesi, appunto.

Qualcuno obietta che alla fine si tratta di una semplice questione di simboli e di rappresentazioni tradizionali, tutto sommato innocua, quindi meglio evitare di offendere per nulla. In realtà è molto di più perché la permalosità non si limita affatto a faccende di costume. Dal punto di vista dell’integralista, qualunque pratica non corrispondente alla dottrina di riferimento è ritenuta offensiva. Qualunque spirito di autodeterminazione rischia di essere visto come un’offesa non solo verso il fedele ma verso la stessa divinità. Le minacce di morte a Ghosh o ai blogger dei paesi musulmani ne sono solo la manifestazione più estrema; da noi la reazione all’offesa si concretizza in genere nella pretesa di norme che impediscano qualunque pratica orientata alla tutela delle persone ma contraria a precetti sacri. Come accade sovente quando si parla di diritti riproduttivi o delle persone Lgbt. O come nel caso della Polonia, dove un disegno di legge contro l’educazione sessuale voluto dai clericali è stato approvato dal Parlamento. Dal canto suo l’Europarlamento ha perfino votato una risoluzione contro la legge polacca, ma non sempre le istituzioni e le corti continentali si schierano a favore della laicità, si veda a tal proposito il caso del crocifisso italiano. Non sia mai che si offendano i credenti.

Massimo Maiurana

 

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