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La recessione italiana

In “Recessione Italia” il giornalista Federico Fubini analizza i peggiori risultati economici della storia italiana (Laterza, 2014, anche in formato ebook,132 pagine, euro 5,90).

I cittadini italiani ancora non si rendono conto che questo è il peggiore periodo della storia italiana, a partire dalla laboriosa e sanguinosa nascita del Regno d’Italia pilotata dall’intelligenza di Camillo Benso, conte di Cavour, che morì proprio nel 1861, dopo avere realizzato il grande sogno della sua vita.

Infatti nel periodo "2008-2013, il prodotto interno lordo dell’Italia è caduto del 9 per cento in termini reali. Più di quanto sia successo a Spagna, Portogallo o Irlanda" (paesi che hanno richiesto l’assistenza finanziaria alla comunità internazionale). Un evento simile "si registrò in Italia fra il 1917 e il 1921, quando all’industria pesante vennero meno le commesse legate allo sforzo bellico e si verificò una crisi bancaria". Se oggi reagiamo meglio alla perdita dei posti di lavoro è solo grazie ai risparmi familiari accumulati dagli anni Sessanta. Ma la pace sociale ha i giorni contati.

Comunque il calo del prodotto interno lordo precede la nascita dell’euro. In realtà "L’erosione sempre maggiore dei tassi di crescita è una costante che attraversa ogni stagione: quella dei deficit in aumento fino a oltre il 12 per cento del prodotto interno lordo, tanto quella delle fasi di risanamento" che impongono grandi sacrifici con l’aumento delle tasse e i vari tagli alle spese. Però la cattiva gestione nazionale del passaggio alla nuova moneta con i grandi rincari di molti beni e servizi ha aggravato la situazione (in molti casi i prezzi sono raddoppiati).

Inoltre bisogna sottolineare che "sono rari i paesi al mondo a essere cresciuti poco come l’Italia. Sono posti come Haiti o lo Zimbabwe. Alcuni sono paesi devastati da livelli estremi di malgoverno, da dittature di tiranni egotici, dalla guerra o da sciagure naturali di proporzioni immani”. Quindi esiste una coalizione di privilegiati politici italiani che ha portato avanti un saccheggio economico nei confronti dei cittadini italiani, tramite le leggi per aumentare i privilegi, le tasse e molte tariffe.

Nell’ultimo anno si sono persi mezzo milione di posti di lavoro e "la disoccupazione ha depresso i salari in Italia, in taluni casi al livello del Sud-Est asiatico". Secondo Fubini l’Italia sta vivendo un momento molto critico e il corporativismo burocratico, politico, industriale e sindacale dovrà essere ridimensionato, in un modo o in un altro, per riuscire a garantire la stabilità nazionale.

Forse finirà l’epoca dei contratti di lavoro nazionali e si arriverà ai contratti locali o regionali. Confindustria dovrà rivedere il suo ruolo politico troppo invadente e i sindacati dovranno ridurre le entrate derivanti dal prelievo della “quota di servizio” dello 0,2 per cento, che non compare nella busta paga e che ricade sui "dieci milioni di italiani coperti da un contratto nazionale di lavoro" (quindi viene applicata anche ai lavoratori che non si sono mai iscritti a nessun sindacato).

D’altra parte le sabbie immobili del Sud Italia, gestite dalla classe dirigente peggiore d’Europa sono evitate anche dai turisti stranieri, come dimostra uno studio dell’università austriaca di Salisburgo: dall’analisi dei roaming telefonici emerge che ben l’85 per cento dei turisti stranieri si limita a visitare l’Italia fino a Roma (la Sardegna e la Puglia sono le regioni del Sud meno evitate).

D’altra parte la banda larga italiana copre solo il 21 per cento del territorio e siamo in ultima posizione in classifica, essendo stati superati anche dalla Grecia, dove la banda larga è presente nel 28 per cento del territorio. La pigrizia tecnologica dovrebbe essere punita. Le paure economiche e fiscali dovrebbero essere indirizzate verso la sete di giustizia: trascurare i più poveri non è giusto, non è politicamente accettabile e non è utile dal punto di vista economico (Amartya Sen).

Anche un ritardato mentale potrebbe governare un paese affamando tutti i cittadini che non riescono a trovare lavoro, perché la crisi economica e l’evoluzione tecnologica hanno eliminato centinaia di migliaia di posti di lavoro, creandone poche migliaia. In Italia non viviamo in mezzo alla savana o a una foresta vergine e per procurarsi il cibo per sopravvivere le persone che non possono attingere al risparmio familiare sono costrette a fare lavori illegali, a truffare o a rubare. Quindi il reddito minimo sarà una tappa fondamentale della rifondazione economica italiana.

Purtroppo gli italiani sono abituati soffrire e la violenza burocratica italiana è sintomatica di una classe dirigente impreparata, arrivista e ipocrita. Naturalmente "Non può esserci una crescita illimitata in mondo limitato” (Jacques Ellul), e non può esserci crescita in un paese dove la classe dirigente ha strutturato una mente che funziona a razionalità limitata.

In definitiva "il fisco in Italia premia le rendite e i fattori che non incentivano alcun investimento produttivo, e sanziona invece chi vuole rischiare, investire, produrre e creare posti di lavoro". E nonostante tutto qualche speranza imprenditoriale c’è ancora: il Made in Italy è il secondo marchio più conosciuto al mondo, dopo quello della Coca Cola. Ma quando impareremo a ridurre la gigantesca concorrenza delle cattive imitazioni?.

Federico Fubini ha collaborato con il “Corriere della Sera” e dal 2013 scrive per “la Repubblica”. Fa parte del comitato scientifico della rivista “Limes”. Nel 2012 ha pubblicato “Noi siamo la rivoluzione” (Mondadori, vincitore del Premio Estense).

Nota internazionalista - Alla classe dirigente tedesca e americana dedico questa riflessione: "Quando vinci i tuoi nemici, devi ancora ottenere un’altra vittoria, quella contro te stesso e il tuo orgoglio" (pensatore di un'altra zona dell’universo).

Nota democratica - "La vitalità della democrazia dipende dalla conoscenza popolare di questioni complesse" (Sam McClure, giornalista all’epoca di Theodore Roosevelt). E "Non pretendete l’impossibile dalla democrazia; non mettete però limiti al suo futuro" (Paolo Costa, in La democrazia e i suoi dilemmi, Charles Taylor, 2014).

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