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La pillola contraccettiva ‘abusiva’ sospesa in Francia

La Francia ha sospeso per tre mesi la vendita della pillola Diane 35, prodotta dalla Bayer. Lo ha deciso l’Agence Nationale de Sécurité du Médicament, l’analogo della nostra Agenzia per il farmaco, ente che consente o meno la distribuzione dei medicinali dopo opportuni controlli. Il medicinale cura l’acne con un trattamento ormonale, ma viene ormai usato da almeno 25 anni come pillola contraccettiva per i suoi effetti sul ciclo mestruale, sebbene per questo scopo non abbia mai ottenuto alcuna autorizzazione per la messa sul mercato da parte dell’Ansm. Ma viene comunque generalmente prescritta dai medici anche come anticoncezionale di ‘terza generazione’.

Lo stop dell’autorità francese è motivato dal maggior rischio di trombosi venosa ed embolia polmonare. Un rischio bassissimo ma potenziale che già esiste, come sanno i medici e chi la utilizza con criterio, per le pillole anticoncezionali in genere, e che e più alto in quelle di terza e quarta generazione, a causa della possibilità di formare coaguli di sangue. Già dal 2005 in Canada ne viene scoraggiato l’uso come contraccettivo per questi motivi. Proprio in Francia l’Ansm ha richiesto dati all’azienda sull’efficacia contraccettiva della pillola, che questa però non ha fornito, essendo autorizzata solo la vendita per la cura anti-acne. È emerso da denunce delle interessate che dal 1987, anno di commercializzazione, si sono riscontrati in Francia 113 casi di trombosi venosa, altri 12 di trombosi alle arterie, con quattro decessi. Ogni anno in Francia vengono vendute milioni di pillole anticoncezionali.

Il ministro della Salute, Marisol Touraine, aveva annunciato nelle settimane scorse regole più stringenti per limitare la prescrizione delle pillole contraccettive di nuovissima generazione. E si era rivolta all’Unione Europea per questo. Proprio la Francia, paese laico e dove l’uso della pillola è molto diffuso, ha deciso quindi di indagare più a fondo per tutelare meglio le donne.

È importante infatti affrontare certe questioni, che riguardano la salute e i diritti delle donne, con un approccio razionale e scientifico. È bene che gli stati vigilino sui medicinali in commercio approntando tutti i controlli del caso e che basino eventuali messe al bando su dati concreti, e non su posizioni ideologiche o confessionali. E che anche i medici siano attenti nel prescrivere certi farmaci, informando correttamente, illustrandone le controindicazioni e monitorando l’uso che ne viene fatto. Sia gli stati sia i medici non devono d’altronde cedere alle pressioni delle case farmaceutiche, specie se ne va della salute dei cittadini.

Come ben sintetizzava il professor Carlo Flamigni scrivendo sulla fecondazione assistita, anche in questo caso “servono esperti, non devoti“. Perché sappiamo bene quanto notizie come la sospensione della Diane 35 possano venire prontamente strumentalizzate, in particolare dagli integralisti religiosi, per screditare la contraccezione per le donne. O sfruttate per diffondere allarmismi e paure e montare la retorica no-choice della “difesa” della vita. O, ancora, per suggerire che, in fondo le donne che fanno uso della pillola sotto sotto sono delle superficiali che si limitano ad ingurgitare pillole o delle poco di buono che non vogliono farsi problemi di coscienza. E che devono aspettarsi quindi un qualche effetto negativo per i loro comportamenti immorali: se non una punizione più o meno divina, quantomeno un malanno.

È opportuno invece che anche in Italia tutte le donne siano messe in condizione di poter scegliere come gestire consapevolmente la propria fertilità, salvaguardando la propria salute e senza vedere intaccati i propri diritti. E che notizie come questa non diventino la scusa per limitare ancora di più l’autodeterminazione femminile. Già così precaria in un paese come il nostro, dove è difficile far ricorso all’interruzione di gravidanza o alla contraccezione d’emergenza, vista la pervasiva presenza nella sanità pubblica di medici obiettori.

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