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La piazza della Cgil

Di Martino Iniziato

Sabato 25 ottobre sono stato alla manifestazione della Cgil contro il Jobs Act. Sono stato indeciso sino all’ultimo se partecipare o meno, ma alla fine mi sono convinto, anche solo per la straordinarietà dell’occasione di vedere una manifestazione sindacale sui temi del lavoro: evento che non avveniva da molto (troppo) tempo. Ero quindi curioso di vedere da vicino e capire chi ci sarebbe stato in piazza. E devo dire che da questo punto di vista la manifestazione di sabato è stata interessante.

Sgombriamo il campo da possibili equivoci. La grande maggioranza dei manifestanti era composta da ceto medio italiano impoverito dalla crisi, sceso in piazza per l’imponente mobilitazione generale messa in campo dalla Cgil sull’onda emotiva che da sempre, giustamente, i tentativi di riforma dell’articolo 18 e del mercato del lavoro suscitano in quella fetta di società italiana che ha vissuto la stagione dei diritti conquistati negli anni ’60-’70 del ’900.

Su questo, pochi dubbi, così come altra componente significativa, per non dire maggioritaria, è stata quella dei pensionati dello Spi, mobilitati in massa ed aiutati dalla gratuità della trasferta romana, di cui si è fatta carico quasi ovunque la Cgil stessa. Non che questo sia un problema, anzi, penso che favorire la partecipazione abbattendo i limiti economici sia giusto, quando possibile, ma è evidente che questo “droga” i dati della partecipazione.

Fin qui, come detto, tutto prevedibile. Ma sono altri gli aspetti che mi hanno colpito, osservando con attenzione le varie componenti della piazza. In primo luogo, i numeri delle delegazioni regionali. Veneto, Piemonte, ma soprattutto Calabria e Sicilia sono state le regioni con le delegazioni più consistenti. Ed infatti basta cercare qualche riscontro per verificare che dalla sola Vicenza sono partiti 29 pullman15 dal polesine, 40 dal Friuli. Mentre se scendiamo nelle regioni del sud, sono 130 i pullman che hanno ragiunto Roma dalla Calabria e dalla Sicilia si sono mossi due treni speciali e decine di pullman.

Come leggere questo dato? Francamente mi ha sorpreso vedere un sindacato ancora così radicato in queste regioni dove alle ultime elezioni il voto si è molto polarizzato tra Movimento 5 stelle, Lega, Forza Italia e solo in parte Pd. In particolare per il sud però, anche alla luce delle parole d’ordine degli spezzoni meridionali, il dato mi sembra evidenzi che le organizzazioni sindacali attecchiscono ancora in nome del connubio “lavoro-diritti-legalità”, tema molto forte al sud, ma troppo spesso dimenticato o affievolito al nord. Se la grande partecipazione dal sud Italia si potrebbe leggere anche alla luce dei meccanismi clientelari o parastatali di “welfare” che anche le organizzazioni sindacali alimentano, mi sembra molto più significativo sottolineare come questo sia indice di una “questione meridionale” più che mai urgente nell’Italia di oggi, che vede un nord asfittico, ma un sud ridotto ormai in condizioni economiche e sociali inimaginabili per noi “polentoni del nord”, che spesso non ci rendiamo colpevolmente conto delle differenze interne che attraversano ancora oggi il paese. Mi sembra importante sottolineare questo dato, perchè una partecipazione così ampia potrebbe spiegare un radicamento in quelle zone del sindacato, ultimo ed unico baluardo su cui fare affidamente per tanti lavoratori sfruttati a cui nessun partito o movimento politico da destra a sinistra od “oltre”, riesce a dare risposte.

In questo stesso solco mi sembra interessante leggere la partecipazione studentesca e quella dei migranti. Di studenti organizzati, a dir la verità, se ne sono visti pochi. Erano posizionati alla testa del corteo che ha mosso da Repubblica, ma non superavano il centinaio ed anche qui, tutti di provenienza meridionale. Il che conferma la crisi di partecipazione e di quadri dei collettivi studenteschi nel nord Italia, come si può facilmente constatare nei cortei milanesi di questi anni, per fare un esempio, così come conferma quanto detto prima rispetto al binomio “diritti-legalità”, tema alle volte snobbato al nord, ma ancora pregnante al sud, dove rimangono alcune piccole roccaforti dell’Uds, impegnate nelle attività di contrasto alle organizzazioni criminali ecc.

Molto più significativa, la componente migrante. Davvero tanti i lavoratori di origine straniera presenti, in particolare nelle file delle delegazioni Fiom, ad ulteriore dimostrazione che gli operai oggi sono un soggetto molto composito, in cui la componente migrante è numericamente significativa. Ciò che ci deve far registrare, a mio avviso, che ad oggi la Cgil è l’unico soggetto in grado di far muovere una componente migrante in maniera organizzata e sindacalizzata, al di là di alcuni altri piccoli ma significativi esempi, come ad esempio nel caso dei facchini dell’Ikea.

In ultimo, da notare mi è sembrata l’alta partecipazione, sciolta tra i vari spezzoni e sigle, di lavoratori “atipici”, precari veri e propri. Ciò che mi ha fatto comprendere come, seppur con un ritardo decennale, anche la Cgil stia iniziando a modificare il proprio linguaggio, aprendo ad un mondo del lavoro che colpevolmente ha contribuito a deregolamentare nei decenni scorsi e che successivamente e fino a poco tempo fa, si è rifiutata di capire, prima di alcune aperture di autocritica.

Cosa ci dice la manifestazione del 25 ottobre?

Non ho “i galloni” per permettermi di fare commenti sugli scenari futuri. Mi vorrei limitare però ad alcune constatazioni che possano magari essere utili per un dibattito.

- Piaccia o non piaccia, questa manifestazione è stato il primo grande appuntamento di critica al governo Renzi. Debole? Troppo moderato nei toni e personalistico invece che politico, in alcuni passaggi del discorso della Camusso? Vero, ma intanto per il sempre più arrogante presidente del consiglio un campanello che il renzismo non dilaga ovunque. Ritengo che buona parte dei presenti fossero elettori Pd delusi o spaventati dalle politiche renziane, che sarebbero disposti a rivotare Renzi domani mattina, ma qui si apre il grande calderone dell’assenza della politica, evidentissima in questi giorni ed al corteo, al di là dello stucchevole, noioso ed improduttivo gioco delle parti della minoranza Pd presente al corteo piuttosto che di Sel, della lista Tsipras o del M5s, di cui alla manifestazione non si è vista una bandiera che fosse una (per quanto invece a mio modesto avviso in piazza ci fosse una fetta di elettorato grillino, soprattutto nelle delegazioni venete tra cui non mancavano cartelli e slogan con toni “antipolitici” o “anti-casta”).

- Per la prima volta dopo anni, ed in maniera certamente tardiva e debole, abbiamo però assistito al tentativo di mettere in campo una manifestazione ricompositiva del mondo del lavoro, dal lavoro dipendente al mondo articolato e complesso della precarietà, che provi ad uscire dal conflitto intergenerazionale che invece Renzi fomenta in continuazione per tenere diviso il fronte del mondo del lavoro. Un segnale importante che potrebbe essere un interessante trampolino di lancio per lo sciopero sociale che si terrà il prossimo 14 novembre (anche se ovviamente già sappiamo che la Cgil non aprirà mai a queste piattaforme, per cui non ci resta che sperare nello sciopero generale…);

- Di sicuro non c’è da aspettarsi grandi mosse radicali dalla Cgil, che con questa manifestazione ha sostanzialmente “marcato il punto”. Ma la battaglia, paradossalmente, è già decisiva e si inserisce in quella guerra ai corpi intermedi che Renzi (ma non solo) sta conducendo e di cui ha parlato molto bene nei giorni scorsi su “Il Foglio” Claudio Cerasa, sottolineando come “per Renzi, per la sua storia, il suo governo, il suo modo di intendere il partito, il suo tentativo di portare avanti in modo spietato la politica della lotta ai corpi intermedi (concetto ripetuto a lungo durante la direzione del Pd, “Viviamo un tempo nel quale anche gli strumenti mediatici e tecnologici ci impongono la disintermediazione, e non possiamo non notare che i corpi intermedi hanno quei vizi che noi rimproveriamo alla politica”), il suo essere al centro di una guerra tra mondi che esiste a prescindere dall’esistenza del presidente del Consiglio, non ci poteva essere occasione migliore, quest’anno, che organizzare la Leopolda (25 ottobre) nello stesso giorno in cui si ritroveranno in piazza i manifestanti della Cgil.

Il tema, a mio modo di vedere è questo: la Cgil, come tantissimi altri soggetti della “sinistra” italiana e non solo, ha commesso in questi decenni errori gravissimi, colpevoli e fatto scelte per cui è davvero difficile, soprattutto per un giovane precario, pensare di comprenderne oggi le mobilitazioni. Ma è altrettanto vero che, scomparsi partiti e movimenti organizzati e capillari, resta l’ultimo soggetto in grado di mantenere una struttura organizzata nei luoghi di lavoro, dove, fino a prova contraria, resta il cuore della conflittualità e delle mobilitazioni per i diritti. Spazzata via anche la Cgil, e pare evidente che il progetto Renziano sia molto prossimo a quello di blairiana memoria, come evidenziato anche dalle dichiarazioni di ieri sarà molto difficile arginare o combattere battaglie per i diritti e la dignità del lavoro, rompendo gli argini verso quell’arretramento culturale di stampo neoliberista di cui spesso anche Aldo Giannuli ha parlato nei suoi articoli. Insomma, pur nella consapevolezza dei limiti e degli errori, mi sembra che contrariamente a quanto sostengono alcuni commentatori più radicali a sinistra, il nemico, politicamente parlando, non sia la Cgil, ma il governo Renzi, come ha sottolineato anche Aldo, alcuni giorni fa, nel suo articolo sull’articolo 18.

Non ho preso la tessera della Cgil dopo la manifestazioni di sabato, ma mi è stata utile per comprendere che ciò che alle volte può sembrare poco utile o ormai decaduto, può nascondere un radicamento ed una capacità di mobilitazione molto più significativi di quanto immaginiamo e questo, in un periodo di reazione come quello contemporaneo, penso continui ad essere utile. Il prof. Sapelli, docente di storia economica presso l’Università deli studi di Milano, soleva dire che nei paesi civili finchè c’è un sindacato funzionante c’è speranza. In questo caso, mi sento di dargli ragione, nella speranza che la Cgil prosegua nella strada intrapresa e “faccia il sindacato”, con tutto ciò che ne consegue.

Martino Iniziato
@martinoiniziato

Foto: Sinistra Ecologia Libertà, Flickr.

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