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La paga dei padroni: il capitalismo all’italiana

Nel libro “La paga dei padroni. Banchieri, manager, imprenditori. Come e quanto guadagnano” si fa la radiografia del potere economico finanziario italiano degli ultimi anni (www.chiarelettere.it).

Uno dei due autori è il giornalista Gianni Dragoni, che si è laureato in Giurisprudenza all’Università La Sapienza a Roma, lavora per Il Sole 24 Ore e ha vinto il Premiolino, l’importante premio di giornalismo milanese.

L’altro autore è Giorgio Meletti, che si è laureato in Storia all’Università di Pisa e lavora a Roma dove è responsabile della redazione economia del Tg La7. Con Luca De Biase (www.debiase.com) ha curato il libro “Bidone.com”, la storia della bolla internet all’italiana.

Partiamo dunque da alcuni dati. La Borsa nel 2007, ha perso circa l’8 per cento, gli stipendi dei manager sono saliti almeno del 17 per cento e le retribuzioni medie dei lavoratori non crescono e sono le più basse d’Europa.

L’aumento dei bonus e degli stipendi avviene quindi anche senza risultati. Basta obbedire alle regole delle grandi famiglie industriali e finanziarie. E a quelle della politica. Quindi i super stipendi sono la semplice manifestazione di un nuovo potere economico politico: in gran parte rappresentato dai manager delle società quotate in Borsa. Questi nuovi feudatari oligarchi possono guadagnare tranquillamente 400 volte di più di un loro dipendente.

Ma veniamo al problema delle Public Company, cioè delle aziende private con azionariato diffuso, che è quello di non avere un azionista di controllo e di avere il potere affidato direttamente ai dirigenti. “Il management finisce spesso per conquistare una tale autonomia da diventare padrone di fatto dell’azienda e da mettere a rischio il capitale dei soci con iniziative spericolate” come nel caso americano della Enron.

Così il guadagno a breve termine va ai manager e gli svantaggi a medio e lungo termine vanno agli azionisti, ai lavoratori e ai consumatori che non capiscono nulla dei giochetti gestionali manageriali e delle collusioni dei vari operatori delle Borse.

Perciò la realtà imprenditoriale italiana è la seguente: le sfide darwiniane sono rimaste un buon argomento per i convegni, ma nella pratica la concorrenza fa paura (e fa perdere soldi) e il potere economico è organizzato in una rete di complicate alleanze, grazie alle quali i benefici pattuiti vengono spartiti secondo rigide regole proporzionaliste.

Quasi ogni giorno l’Antitrust apre un’inchiesta su questo o quel cartello di imprese che si accordano per spremere meglio i consumatori. Tra le poche grandi aziende italiane sane c’è la multinazionale Luxottica che unisce una supervisione di tipo familiare ad una gestione manageriale attiva, moderna e oculata.

Riporto le parole di un vero Manager: “mi sono limitato a dire quello che penso e che molti dovrebbero già sapere. Quando si perdono 3 milioni di euro al giorno e uno pensa che sia colpa degli operai, vuol dire che ha saltato qualche ponte sulla sua strada” (Sergio Marchionne - Fiat). Non a caso Marchionne è un italiano vissuto e formato in Canada, ha lavorato molto in Nord America e ha conseguito tre lauree (filosofia, economia e giurisprudenza).

Comunque, per avere un paragone con l’attuale crisi etica, economica e finanziaria, ricordo che secondo Einstein la depressione economica del 1929 fu causata principalmente dal progresso tecnologico che, con l’aumento della produttività per ogni ora di lavoro, riduceva il fabbisogno dei lavoratori e quindi produceva una diminuzione della massa e del potere d’acquisto dei consumatori.

Del resto la principale regola morale che ci è stata lasciata da questo genio recitava: “Usate poco per voi stessi, ma date molto agli altri”. E disse anche questo: “Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”.

Da questo punto di vista almeno per quanto riguarda il mondo bancario italiano si è provato a fare qualcosa: il governatore della Banca d’Italia, Draghi, ha indicato regole molto più severe per le stock option bancarie, che non dovranno essere legate ai risultati raggiunti in un solo anno, ma a una catena di risultati pluriennali, in modo da sganciare i premi dalla logica artificiosa e da biscazziere del breve periodo.

E forse il vero problema di questa crisi economico - finanziaria non è tanto l’emorragia di posti di lavoro, ma gli scarsi investimenti fatti negli ultimi anni in ricerca e sviluppo che non permetteranno di creare un numero sufficiente di posti di lavoro nei prossimi 10 anni. Moltissimi manager hanno pensato di far carriera con speculazioni finanziarie a breve termine sulle azioni o sugli immobili, ma purtroppo i giochi finanziari sono a somma zero: i soldi vinti da parte vengono tolti ad un altro soggetto e non c’è vantaggio per la società nel suo complesso.

Quando invece cresce l’economia reale, i vantaggi si possono propagare a tutti i livelli. Dunque il rischio di questa malattia finanziaria è quello di durare troppo contagiando troppi soggetti economici sani: l’Aids finanziaria delle Banche commerciali inglesi, svizzere e americane potrebbe trasmettersi a troppe banche e imprese locali e internazionali.

Come affermato dall’economista Loretta Napoleoni forse c’è davvero da augurarsi il fallimento a breve termine delle banche commerciali più truffaldine prima che vengano contagiati tutti i continenti e prima che scoppi una bufera inflazionista globale (il 23 aprile dovrebbe uscire con Chiarelettere l’ultimo libro della Napoleoni dal titolo “La morsa”).

 

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