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La nuova “verità” di Alì Ağca sull’attentato a Giovanni Paolo II

In un’autobiografia edita da Chiarelettere, l’ex terrorista turco cambia ancora versione sui mandanti del tentato omicidio del 13 maggio 1981, accusando questa volta Khomeyni.

Il 13 maggio 1981, Giovanni Paolo II, poco prima di tenere un’udienza generale coi fedeli, venne gravemente ferito in Piazza San Pietro, con due colpi di pistola, da Mehemet Alì Ağca, militante dei Lupi grigi, un’organizzazione nazifascista turca. L’attentatore, bloccato dal pronto intervento di suor Lucia Giudici, fu arrestato, processato per direttissima e condannato all’ergastolo. Nel 2000, dopo essersi pentito e aver ottenuto il perdono dallo stesso papa, l’ex terrorista venne graziato da Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente della Repubblica. Rientrato in Turchia, Ağca scontò altri dieci anni di detenzione per aver preso parte, nel 1979, all’omicidio di Abdi Ipecki, direttore del quotidiano turco Milliyet, di tendenze liberali.

Nel 1982 Ağca cominciò a collaborare con la magistratura italiana, dichiarando di essere stato assoldato dal Kds, il servizio segreto bulgaro, per eliminare il pontefice polacco, ritenuto pericoloso per il Cremlino e gli stati del blocco sovietico. Le indagini della magistratura italiana si concentrarono su Sergei Antonov, un impiegato della Balkan Bulgarian Airlines, che fu ritenuto l’organizzatore del tentato omicidio di Karol Wojtyla: la “pista bulgara”, tuttavia, si rivelò inconsistente e Antonov venne scagionato da ogni addebito. Tornato in libertà nel 2010, Ağca ha rilasciato un’intervista alla tv turca Trt, nella quale ha accusato il cardinale Agostino Casaroli – segretario di Stato della Santa Sede dal 1979 al 1990 – di essere stato il mandante occulto dell’attentato al papa (cfr. Alì Agca accusa: «Fu il Vaticano a organizzare l’attentato a Giovanni Paolo II», in www.blitzquotidiano.it).

A distanza di due anni, Ağca ha fornito una nuova versione dei fatti, pubblicando l’autobiografia Mi avevano promesso il Paradiso. La mia vita e la verità sull’attentato al papa (Chiarelettere, pp. 206, € 12,90). L’ex terrorista, all’inizio del libro, afferma di essersi convertito al cristianesimo e di aver rinnegato l’ideologia nazifascista, raccontando poi la sua infanzia, trascorsa miseramente a Yesiltepe. Nel 1973, mentre frequentava le scuole superiori a Malatya, egli entrò a far parte dei Lupi grigi, segnalandosi con una serie di atti terroristici e una rapina alla Banca centrale di Ankara. Nel 1980, Mehemet Alì si recò in Iran, convertendosi alla religione sciita, e fu addestrato militarmente da Mohsen Rezai, comandante dei pāsdāran (le guardie rivoluzionarie islamiche).

0000-Agca

Ağca sostiene di aver incontrato, il 13 maggio 1980, l’ayatollah Ruhollah Mosavi Khomeyni, che gli avrebbe ordinato di assassinare il pontefice romano: «Mehemet Alì, tu devi uccidere il papa nel nome di Allah. Tu devi uccidere il portavoce del diavolo in terra, il vicario di Satana in questo mondo». Compiuto il delitto, egli avrebbe dovuto immolarsi, ingerendo una capsula di cianuro, perché, morendo da martire, avrebbe guadagnato il paradiso musulmano. L’attentato, però, non andò come previsto e Ağca, una volta arrestato, modificò gradualmente le sue convinzioni politico-religiose, soprattutto in seguito alla visita che Wojtyla gli fece, nel carcere di Rebibbia, il 27 dicembre 1983. Quell’incontro fu determinante, perché – secondo l’autore – «bucò quasi impercettibilmente l’enorme massa di odio che avevo dentro».

Nel racconto di Ağca si possono cogliere varie incongruenze, che ne incrinano la credibilità: Khomeyni gli avrebbe fornito dettagliate informazioni, con ben dodici mesi di anticipo, sull’udienza generale del papa del 13 maggio 1981; il neofascista turco avrebbe girovagato per oltre un anno, sotto falso nome, tra Nord Africa, Asia ed Europa, pur essendo ricercato per omicidio e atti di terrorismo; a Roma, egli avrebbe agito da solo, ma non sarebbe poi riuscito a suicidarsi, perché, dopo aver dimenticato in albergo le capsule di cianuro, la sua pistola si sarebbe inceppata! Ağca, inoltre, riferisce che, per facilitare la sua missione omicida, ci sarebbe stata una stretta collaborazione tra i pāsdāran e i Lupi grigi: ciò appare improbabile, tenendo conto che le guardie rivoluzionarie khomeiniste sono fieramente ostili sia alla Turchia, sia agli Usa, mentre il gruppo neofascista turco ha fatto parte dell’organizzazione paramilitare Stay-behind, messa in piedi dalla Nato.

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Non mancano, nell’autobiografia, i riferimenti al rapimento di Emanuela Orlandi, scomparsa il 22 giugno 1983: a parere di Ağca, la ragazza servì da ostaggio per chiedere – vanamente – la sua liberazione. Nella parte conclusiva del libro, l’autore si lascia andare a elucubrazioni fantasiose sul “terzo mistero di Fatima”, il ritorno del Mahdi, lo scontro tra Islam e Occidente e la fine del mondo.

Pertanto, leggendo il libro, si ha la sensazione che la “pista iraniana” sia l’ennesima invenzione di Ağca: del resto, sia il governo iraniano, sia la Santa Sede si sono affrettati a smentire le sue affermazioni (cfr. L’ennesima verità di Alì Agca, in www.corriereitaliano.com).

 

Le immagini: la copertina di Mi avevano promesso il Paradiso; una foto di Alì Ağca (fonte: www.notizie.it); il luogo dove avvenne l’attentato del 13 maggio 1981.

 

Giuseppe Licandro

(LucidaMente, anno VIII, n. 86, febbraio 2013)

 

 

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