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La nuova legge sulle detenute madri: l’analisi delle Associazioni di Volontari e della politica

Il 1°dicembre, presso l'Università di Roma Tre si è svolto il convegno "La nuova legge sulle detenute madri: riflessioni critiche e proposte". Al tavolo per discutere della legge del 21 aprile 2011 l'Associazione Legale nel Sociale, Leda Colombini fondatrice di A Roma Insieme, la Senatrice Finocchiaro, l'Avvocato Massimi, la Dottoressa Gabriella Pedote Vice Direttore di Rebibbia Femminile...

Molti bambini e adolescenti italiani, stranieri e nomadi, vivono direttamente o indirettamente per un periodo della loro vita l'esperienza del carcere avendo un genitore o entrambi detenuti. Su una popolazione carceraria di circa 67.500 soggetti, le donne rappresentano il 4,15%. Di queste 53 con prole e 18 in stato di gravidanza. I bambini reclusi con le loro mamme sono circa 54 (Fonte: Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dati al 30 giugno 2011).

Tra tutti i bambini figli di detenuti, ve ne sono alcuni (al di sotto dei tre anni) detenuti insieme alla loro mamma all'interno di spazi che dovrebbero essere idonei e adeguati al loro sviluppo psicofisico, ma che spesso invece non lo sono affatto. Altri bambini affollano settimanalmente le sezioni preposte alla visita dei genitori/parenti detenuti e sono costretti ad attendere a lungo il momento del colloquio e a vivere il colloquio stesso in un ambiente spesso buio e disagevole.

Per discutere di civiltà, di diritti negati, di infanzia negata, il 1°dicembre è stato organizzato presso l'Università di Roma Tre un convegno per discutere della nuova legge del 21 aprile 2011, delle novità che apporta e per cercare di capire che strada è necessario intraprendere per impedire che i primi 1000 giorni di vita di innocenti vengano trascorsi in un carcere. A promuovere l'iniziativa l'Associazione Legale nel Sociale e l'Associazione A Roma Insieme, quest'ultima da 20 anni in prima linea in difesa dei bambini.

"Noi di Legale nel Sociale siamo fieri di aver partecipato alla organizzazione di questa iniziativa importante e carica di significati. Collaboriamo da tempo con una splendida associazione rappresentata dall'Avvocato Massimi, e con l'Onorevole Leda Colombini. E abbiamo lavorato affinché si possa dare un contributo alla applicazione di questa legge di recente applicazione: la legge 21 aprile 2011, n. 62".

L'evento, patrocinato dal Ministero della Giustizia, Regione Lazio, Roma Capitale e Provincia di Roma, ha rappresentato il primo di tre appuntamenti che si svolgeranno nel corso del prossimo anno a Milano e a Napoli sempre su questo tema. Ad aprire i lavori Marco Carlizzi, Presidente dell'Associazione Legale nel Sociale: "Abbiamo deciso di occuparci in questo convegno di minori in carcere perché il 21 aprile è stata approvata la legge sulle detenuti madri. Abbiamo poi conosciuto Leda Colombini e sono andato personalmente al mare in uno dei sabati di libertà organizzati dalla Associazione A Roma Insieme ormai dal 1994.

Sono andato con la mia famiglia. Una esperienza sconvolgente. In realtà la questione dei bambini in carcere riguarda "solo" 54 minori e le detenute madri sono pochissime. Ma ci ha spinto a trattare questo argomento la volontà di capire cosa succede ad un bambino che per i primi tre anni vive in carcere. E' un problema politico, giuridico, pratico e psicologico. Rimane un problema fondamentale perché non è accettabile che un solo bambino cresca in carcere".

Ad intervenire anche Leda Colombini, fondatrice e Presidente di A Roma Insieme, scomparsa io scorso 6 dicembre a causa di un malore che l'ha colpita nel carcere di Regina Coeli mentre svolgeva la sua consueta opera di volontariato: "A Roma Insieme è una associazione di volontariato che da 20 anni opera a Roma. All'inizio si discuteva delle difficoltà che c'erano a diffondere una rete di sostegno per le fasce deboli dell'area metropolitana romana.

Siamo nati come insieme di operatori e cooperative di organismi che operano nel sociale. Ora abbiamo incontrato anche gli avvocati, che servono anche loro. Tra le emarginazioni per le quali far qualcosa considerammo anche il carcere e i bambini e le madri in carcere. Rebibbia è il carcere con più donne d'Italia e sembra anche d'Europa: rappresenta quindi un problema grande. Abbiamo lavorato in questi anni ad un progetto perché nessun bambino varchi più la soglia di un carcere. Un carcere non può essere il luogo per la crescita di un bambino. Anche se la situazione non è così semplice.

All'inizio pensavamo di risolvere il problema in pochi anni e invece abbiamo dovuto aspettare la legge della Finocchiaro del 2001: era la prima volta che il diritto del bambino a crescere come si dovrebbe crescere nella vita quotidiana ha fatto un salto. E' stata una legge di svolta ma non ha risolto tutti i problemi. E con la legge approvata ad aprile 2011 la situazione è peggiorata. Dalla legge Finocchiaro a quella di oggi sono passati 10 anni e a mutare sono stati anche i reati e la legislazione. Sono mutate molte cose. E il nodo è rappresentato proprio dal fatto che in carcere le madri presenti sono quasi tutte o rom o nomadi o extracomunitarie. E a questo punto abbiamo ricominciato a lavorare perché si riducessero i danni che la detenzione provoca sui bambini".

Asilo nido interno

"Non ci deve essere un asilo nido interno - ha spiegato l'Onorevole Colombini -. I bambini devono andare al nido esterno come gli altri bambini. A Roma sono 15 anni che i bambini di Rebibbia vanno negli asilo nido esterni. Fatto importantissimo anche per le madri. Inoltre ci siamo adoperati affinché i bambini in questi 3 anni potessero avere una formazione corretta: ciò che si costruisce in quegli anni è determinante per il futuro. Così abbiamo introdotto i sabati di libertà: l'uscita dei bambini tutti i sabati.

Dal 1994 abbiamo registrato 972 uscite. Fondamentale è l'impegno continuativo perché altrimenti nei bambini, soprattutto così piccoli, si rischia una regressione. La continuità è un valore per ottenere dei risultati. La parola bambino non si può in alcun modo legare alla parola carcere: è un ossimoro, una contraddizione in termini. Se poi, a questo disagio, si unisce quello del sovraffollamento della carceri, che subiscono anche i bambini, la vita diventa un inferno".

Ma torniamo alla legge: "Solo con la Finocchiaro è stato inserito l'istituto della detenzione anche per le mamme con reati gravi al di fuori delle carceri. Ma qui la cosa si complica. Per dare un senso al non senso che è il carcere cerchiamo di avere almeno i parametri della civiltà. Abbiamo 18 anni di esperienza sulle spalle e potrei scrivere un libro di quelli che sono gli effetti del carcere sui primi tre anni di vita dei bambini: sul piano relazionale, ambientale, sociale, cognitivo. Basta pensare che le mamme ci dicono che il sabato i bambini si svegliano alle 6, solo il sabato perché hanno interiorizzato che quel giorno si va fuori, all'aperto, si gioca, c'è una vita normale".


Il distacco: "Il primo distacco dalla madre è sempre un dramma: se arrivi a 3 anni senza nessuna preparazione, il momento della separazione è qualcosa che non auguro a nessuno. Ma se voi cominciate ad un anno, quando noi li prendiamo, a compiere il primo distacco, cosa che avviene con persone molto disponibili, diventa tutto più semplice. E questo grazie anche ai volontari che noi selezioniamo sul campo".

Per cosa si batte l'Associazione?

"L'Associazione si è battuta perché il legislatore andasse oltre la legge 40 del 2001, quella della Finocchio. E abbiamo cominciato già nel 2005 presentando un testo per cambiare la legge. La prima volta si è sciolta al camera, poi siamo tornati a presentare un nuovo testo, fino alla terza volta, quando ci hanno ascoltati, a noi e alle Associazioni tutte che operano in carcere. E la Camera ha licenziato un testo votato quasi all'unanimità, fatta salva l'astensione dei Radicali".

La legge però non risolve il problema.

"Il primo problema che ci viene posto dalle madri e dai magistrati riguarda il fatto che è estesa la permanenza dei bambini fino ai 6 anni di età. Il rischio è che se si danno interpretazioni restrittive e non si tiene conto dei canoni della civiltà si farebbero dei passi indietro. Perché l'idea è di tenere madri e figli insieme fino ai 6 anni, ma al di fuori del carcere, fatta eccezione per le recidive. Dal momento che in questo momento le madri sono quasi tutte recidive, significa che i bambini staranno in carcere con le madri fino ai 6 anni di età. E a questo si aggiungono altri nodi che riguardano la salute del bambino e la possibilità delle madri di accompagnarli in ospedale e l'espulsione delle madri straniere una volta finita la pena".

Nel corso dell'incontro è intervenuta il Vice Direttore del Carcere di Rebibbia Femminile, la Dottoressa Gabriella Pedote.

"La legge non ha cambiato le cose: è frammentaria e settoriale e genera dubbi interpretativi. Le cose, poi, non sono cambiate da un punto di vista numerico perché nessuna mamma ha beneficiato di quanto previsto dalla legge neanche per quanto riguarda le visite in ospedale. Anche se i ricoveri non sono così frequenti, a differenza di quanto si possa pensare, quando questi si verificano, destano tanto sconforto nelle mamme ed anche tanta preoccupazione. Si tratta sempre di casi che devono essere affrontati con molta attenzione e profondità da parte di tutti. Le mamme si aspettavano molto di più da questa legge, si erano illuse che la loro vita sarebbe cambiata".

La situazione al nido di Rebibbia.

"Voglio parlare di alcuni casi che in realtà sono quelli più emblematici. In primo luogo il problema dell'articolo 4 bis, quello sui reati ostativi. Al nido, su 16 mamme, ne abbiamo una che è detenuta per un reato ostativo. Questa mamma in teoria non potrà beneficiare della possibilità di essere accolta da un istituto a custodia attenuata perché la legge lo nega. Ed è un punto dolente e delicato. Mi rendo conto della legge, ma il legislatore ha dovuto contemperare il dritto all'infanzia cercando di attenuare le conseguenze della carcerazione sui bambini, ma nello stesso tempo deve rispondere a dei dettami, sollevando la società civile dagli allarmi sociali che la delinquenza può suscitare.

Chi critica questa legge sostiene che non si può considerare il criterio dell'essere madre come un modo per sottrarsi alla certezza della pena. Può essere criticato ciò che dico ma è un problema fondamentale. Non possiamo dimenticare che dei reati sono stati commessi, perché si potrebbero creare discriminanti tra chi è madre e chi non lo è. Nello stesso tempo la colpa della madre potrebbe generare dei bambini di serie a e di serie b. Ancor prima nella introduzione della legge e della sua applicazione c'è stata la richiesta da parte delle mamme di visitare i bambini ricoverati secondo l'articolo 30 dell'Ordinamento penitenziario, una forma farraginosa che spesso faceva giungere alla madre il permesso di far visita al bambino quando il bambino era già tornato in carcere. La vicinanza della madre è necessaria perché non la si può limitare solo a casi complessi o particolarmente gravi".

Lei lavora a Rebibbia da 10 anni: quali difficoltà?

"Da circa 10 anni svolgo la mia attività a Rebibbia. Ci sono delle difficoltà, delle imperfezioni, delle situazioni che devono essere salvaguardate maggiormente. Ma si fa il possibile in una condivisione di equipe per garantire una detenzione assolutamente positiva. Nel corso di questi anni ho visto cambiare le detenute nomadi: la maggior parte di quelle presenti nel nido è rom. E sono molto cambiate anche forse un po' per merito del carcere. Io l'ho visto in questi anni come una occasione data a queste donne che provengono da situazioni di profondo disagio che possono attuare la propria genitorialità in modo diverso rispetto a ciò che fanno all'esterno.

Ho visto che queste donne sono migliorate. Sono di meno i casi in cui le mamme non hanno cura dei loro bambini. Sono tante le mamme che spontaneamente decidono di mandare li bambini al nido esterno. Si confrontano con gli operatori dei nidi esterni che raccontano loro cosa fanno i bambini al di fuori del carcere. Ci sarà anche un incontro prima di Natale. Certo è un problema molto grande e che viviamo ogni giorno quello del rapporto tra madre e bimbi. Molti dicono che in un nido come il nostro può essere considerato una piccola ICAM (Istituto a Custodia Attenutata per le Madri Detenute).

Ma l'attenzione delle ICAM è superiore. Il nostro reparto nido ha la difficoltà di essere inserito in una struttura penitenziaria per donne molto grande dove le proposte sono dirette alle detenute che vivono nei reparti più grandi. Le attività dedicate alle mamme del nido, a mio parere sono residuali. La presenza di operatori nelle ICAM garantisce una cura maggiore rispetto a quella che riusciamo ad effettuare noi. anche perché la nostra attenzione si è sempre rivolta in maniera particolare ai bambini. Spero che presto si aprano delle ICAM anche nella regione Lazio".

Ad intervenire anche la Senatrice Anna Finocchiaro.

"Ricordo che prima del 2001 siamo andati a verificare in carcere la situazione, a vedere la realtà. Poi è nata Rebibbia Femminile ed è stato presentato il testo di legge. Poi io sono diventata Presidente della Commissione Giustizia e quindi la legge fu approvata. Gli aspetti deteriori di questa discussione registrati nel 2001 si sono aggravati nel 2011. Quando abbiamo introdotto il tema della discussione nella Commissione Giustizia, la reazione è stata una reazione segnata da alcuni elementi secondo noi fuorvianti.

Perché la legge fin dall'inizio è stata concepita non certo per un atteggiamento compassionevole verso le madri con bambini minori e neanche verso i bambini figli di detenute, ma sulla base di una laica e riformista attuazione del diritto ad una crescita equilibrata dei minori, siano essi figli di libere e di detenute. Il punto di vista dal quale guardare la questione era quello di come assicurare una crescita serena a quei bambini e non come trattare meno severamente quelle madri. Di più: non si stava mettendo in piedi una scappatoia nei confronti di quelle donne con figli minori, il modello non era Sofia loren che rimaneva incinta per nona andare in carcere.

Ma il punto è che il rapporto tra madre e figlio nei primi anni di vita richiede una fisiologica e meglio orientata crescita del bambino. Partire da questo era molto complicato perché incombeva la dottrina securitaria, già avvertita nelle Aule parlamentari nel 2001, nel 2011 viveva in tutta la sua potenza anche mediatica. E quindi tornare a parlare di carceri e minori nonostante si tentasse di tornare sul giusto binario era interferito. L'altra questione è che il provvedimento riguarda le donne madri che vanno trattate meglio.

E qualcuno allora diceva: allora anche i padri. Ma è scientificamente provato che nei primi anni di vita il rapporto madre figlio è determinante in una crescita equilibrata. Gli anni successivi al 2001 hanno portato molte discussioni. Ogni volta mi venivano alla mente e sulle labbra alcune domande: ma questi 50/60 bambini fanno tutta questa paura? Siamo sicuri che la vita di 50/60 bambini non valga la spesa? E poi ancora: ma siete davvero convinti che questa disciplina debba essere figlia di un approccio compassionevole?

Ma quando mai la libertà e il diritto devono far leva sulla compassione? La pena deve essere certa. Ovvio che nella determinazione del regime delle sanzioni entrano e devono entrare in bilanciamento esigenze diverse e anche contemplazione di diversi aspetti talvolta con temperamento di trattamenti che riguardano diritti diversi, altrimenti la sanzione rischia di essere inefficace. Esiste la necessità di un approccio complesso e su una questione come questa non è una questione che si può smazzate solo il giudice di sorveglianza.

In realtà dovrebbero essere coinvolte competenze diverse. E preziosa, lasciatemelo dire, è il sostegno dei volontari. Perché questo Paese, senza i volontari, si fermerebbe subito e verrebbero fuori i problemi peggiori. I volontari stanno dove c'è il fuoco, non dove c'è la brezza profumata, i volontari sono dove ci sono assenze, non solo fisiche, ma anche assenza di responsabilità".


Gli aspetti negativi della legge: "Questa legge - continua la Finocchiaro - ha degli aspetti negativi: andrebbe fortemente rimessa in sesto. Ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti per un fatto simbolico perché la maggioranza si era messa in testa che doveva essere approvata per l'8 marzo. Ma questo è l'errore teorico-culturale che ne è alla base e che si è rivelato di nuovo. Non è una legge per le mamme, ma per i bambini.

Penso che bisogna guardare avanti e non attardarsi sul passato. Bisogna provare a riprendere la discussione di questo tema in un quadro di evoluzione. Abbiamo cominciato nel 1986, poi la legge Simeoni-Saraceni del 1998 e poi la legge 40 del 2001 e poi quella del 2011. Quindi noi siamo dentro un processo evolutivo e abbiamo necessità di andare avanti, ricorrendo anche alle risorse. Le case protette si devono fare perché spesso sono una ipotesi migliore del domicilio. Perché il diritto ad una crescita equilibrata può trovare maggiore soddisfazione in una casa protetta piuttosto che in un campo rom.

Ed esistono delle condizioni delle donne rom che, inserite nel contesto della famiglia, della tribù rischiano di essere compresse. Insisto, poi, sulla laicità dell'intervento: per troppo tempo su temi del carcere noi siamo stati tirati per i capelli ad avere un approccio ideologizzato. E a me ha fatto un grande bene confrontarmi con il volontariato nel carcere perché loro vedono le cose come sono. E vederle cose è una lezione molto salutare. Così come lo è spesso per i magistrati che quando vedono con i loro occhi riescono ad introdurre elementi di valutazioni assai utili. Perché la sentenza non solo sia aderente alla legge ma anche utile in qualche modo".

Le donne: "La maggior parte sono extracomunitarie, rom. E qualcuno può pensare che ci sia una legge per donne in carcere con figli che risolva il problema della integrazione? Deve essere migliorata ma quando si tenta di usarla per gestire sia pure solo un pezzo di una questione così rilevante e ancora così "intonsa" anche solo da un punto di vista dell'approfondimento teorico. Quando si parla di carcere non è che si parla solo di carcere, ma si parla di quei problemi, disagi, soluzioni insolute, strumentalizzazioni, ideologizzazione di cui tropo spesso si nutre anche la politica tanto da diventare il luogo in cui esplodono le contraddizioni o forse il luogo in cui con chiarezza si vedono quanti debiti abbiamo di conoscenza e di soluzione di tanti seri problemi".

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