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La nuova bibbia dei “No-Global”

“I crimini delle multinazionali” è un libro che prende in esame la globalizzazione e lo sfruttamento della forza lavoro nei paesi meno sviluppati (Werner e Weiss, www.newtoncompton.com, 2010).

In questo libro si possono scoprire gli scheletri negli armadi e nelle banche di decine e decine di multinazionali: Shell, Siemens, Samsung, Nestlé, Mercedes, Nike, Eni, ecc. In Congo Klaus Werner si è spacciato per un uomo d’affari senza scrupoli per dimostrare il ruolo della Bayer nel finanziamento di una guerra che è costata la vita a più di cinque milioni di persone (il Paese è ricco di oro, diamanti, rame e coltan, un minerale che viene trasformato e utilizzato in computer e telefonini). Invece Hans Weiss ha recitato la parte di un importante manager per scoprire che in una clinica di Budapest sperimentavano farmaci proibiti in cambio di molto denaro. In molti casi le aziende farmaceutiche non seguono le regole etiche: “i risultati vengono falsificati, gli effetti collaterali taciuti. Ai pazienti in pericolo di vita non vengono somministrati farmaci efficaci” (p. 82).

In tutti questi anni, nonostante le gravi accuse, quasi tutte le multinazionali hanno tenuto un profilo molto basso e non hanno replicato alle accuse per non attirare troppa attenzione. Al massimo citano con falso orgoglio le somme che investono in progetti sociali e continuano ad evitare di pagare salari in grado di garantire una sopravvivenza dignitosa e perseverano nell’impedire la libertà sindacale e i controlli indipendenti.

L’aspetto peggiore di questo fenomeno si chiama sfruttamento minorile, che viene combattuto da molte organizzazioni internazionali, come www.ilo.org (cliccando in alto su “Regions” si trova la versione italiana sulla destra) e www.terredeshommes.it (si occupa di adozioni a distanza). Si può comprendere meglio la capillarità di questo fenomeno attraverso l’affermazione del sociologo britannico Kevin Bales: “Un morso su tre della nostra cioccolata ha il retrogusto della schiavitù” (I nuovi schiavi: la merce umana nell’economia globale, Feltrinelli, 2000).

Del resto nel Sud del mondo molti contadini stanno vivendo una nuova forma di schiavitù: “ai contadini viene vietato di riutilizzare le sementi, una pratica che da sempre fa parte dei loro diritti… Continuare a coltivare per conto proprio è considerato un reato, per il quale si può essere perseguiti, puniti e persino finire in prigione. Normali attività contadine vengono classificate come criminali. Così di profila la minaccia di una nuova forma di colonizzazione, nella quale non solo i contadini, ma l’intero paese, perdono i loro diritti” (Vandana Shiva, vincitrice del premio Nobel Alternativo).

A volte sono proprio le somme esorbitanti investite in immagine e pubblicità dei marchi a spingere a risparmiare nei costi di produzione. Purtroppo i messaggi pubblicitari hanno assunto il ruolo delle istituzioni ideologiche come le chiese e i partiti e immettono i consumatori in un mondo immaginario (Jeremy Rifkin). E se non si viene a conoscenza di quasi tutti questi misfatti il motivo è molto semplice: le televisioni, le radio e la stampa sopravvivono grazie agli investimenti pubblicitari fatti da tutte queste multinazionali e quindi devono far finta di non sentire e di non vedere nulla.

Purtroppo “I cinquecento più grandi gruppi industriali detengono un quarto del prodotto nazionale lordo mondiale e controllano il 70 per cento del commercio globale. Ma rappresentano soltanto lo 0,05 per cento della popolazione mondiale” (p. 15). E dopotutto, “se gli aiuti allo sviluppo ammontano globalmente ogni anno a circa 53 miliardi di dollari, si stima che i flussi di capitale dal Sud al Nord ammontino a quattro volte tanto. I cosiddetti paesi in via di sviluppo forniscono di fatto aiuti allo sviluppo per il Nord, cioè per i paesi industrializzati d’Occidente. Fermare questo processo sarebbe in sostanza molto più efficace e duraturo che sperare nell’azione benefica degli investitori multinazionali” (p. 32).

Per fortuna c’è anche qualche nota positiva: è stato creato il marchio di qualità “TransFair” (www.transfair.org, www.equo.it) che garantisce la provenienza ecologicamente e socialmente sostenibile (salari corretti e condizioni di lavoro controllate). Inoltre sta emergendo la sensibilità necessaria a concordare delle regole eque per il lavoro e la convivenza di tutti gli uomini a livello internazionale.

Nota – Segnalo alcuni siti utili ad approfondire molti dei temi trattati in questo libro: www.globalwitness.org, www.altrevoci.it, www.globalresearch.ca, www.festivalinternazionaledellavoro.it (Roma, 18-20 ottobre), www.rightlivelihood.org (The Right Livelihood Award è stato definito il premio Nobel Alternativo).

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