La messa al bando della macellazione rituale in Polonia e le rituali proteste di Israele
In Polonia non è più legale la macellazione rituale, caratteristica dell’ebraismo e dell’islam. La Corte Costituzionale ha stabilito a gennaio che le pratiche kosher e halal rappresentano una violazione dei diritti non in linea con gli standard, anche europei, sull’abbattimento degli animali.
La Camera (Sejm) ha di recente bocciato con 222 contro 178 voti una legge, proposta dal governo, per salvaguardare queste pratiche religiose. Dal 1997 esiste una normativa che impone lo stordimento prima della macellazione, ma dal 2004 era concessa l’eccezione per musulmani ed ebrei. Nel 2011 gli animalisti avevano presentato ricorso contro la legge, da cui è scaturita la sentenza del supremo tribunale.
Sul tema si dibatte in questo e in altri paesi, come l’Olanda, dove si era proposto di introdurre il bando, poi rientrato, e la Gran Bretagna. A favore del divieto una parte crescente dell’opinione pubblica, per l’accresciuta sensibilità animalista. La macellazione rituale (schechitah per gli ebrei e dhabiha per gli islamici) necessita infatti, sulla base di antiche credenze religiose, che l’animale sia cosciente, che venga sgozzato e che si proceda al dissanguamento al fine di purificarne la carne e poterla quindi consumare, senza lo stordimento o altre pratiche diffuse negli allevamenti moderni.
Fortissima è l’opposizione della componente più ortodossa della comunità ebraica che, come in altre occasioni, ha paragonato il bando alle leggi antisemite introdotte dai nazisti. Gli ebrei più liberali sono invece più propensi ad accettare il no alla macellazione rituale. Le reazioni sono state diverse ma in Polonia ha protestato non tanto l’esigua comunità ebraica, quanto la lobby dei produttori di carne, che con l’apertura dei mercati della Turchia da qualche anno ha visto crescere un settore specializzato proprio nell’esportazione di halal.
Non è da escludere che sulla decisione possa aver inciso l’identitarismo cattolico, in un paese che storicamente fa i conti con l’antisemitismo e dove la comunità ebraica è stata decimata dai nazisti (si pensi solo alla tragica e disperata rivolta del ghetto di Varsavia). Ma gli ammonimenti del governo israeliano ricordano quelli dell’Iran o delle autorità della Città del Vaticano. Tutte realtà che si stracciano le vesti quando altri stati vogliono mettere il becco nelle loro decisioni. Uno Stato non dovrebbe entrare nel merito di quello che fanno altri stati, in particolare sui temi etici. Perché così facendo si mostra per quello è: uno Stato etico, che promuove e difende una particolare concezione del mondo, discriminando tutti quei cittadini che la pensano diversamente.
L’attuale governo israeliano non gode del sostegno dei partiti religiosi. Se ne ricordi, se possibile. Anche lo stato d’Israele ha però espresso la sua opposizione al bando in Polonia, e ne è nato un caso diplomatico. L’attuale premier e ministro degli esteri israeliano, Benjamin Netanyahu, ha rilasciato un duro comunicato che definisce il bando “totalmente inaccettabile”, una “decisione che colpisce gravemente il processo di ricostituzione della vita ebraica in Polonia”, invitando il Parlamento a “riconsiderare” la decisione. Il primo ministro polacco, Donald Tusk, ha parlato di reazione “inappropriata” e sono stati convocati i rispettivi ambasciatori.
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