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La marcia sulla scuola

Sembra proprio non esserci limite ai modi con cui un’ideologia religiosa può essere introdotta in un ambiente come quello scolastico che, almeno in teoria, dovrebbe essere scevro da condizionamenti di parte e mirare piuttosto a formare individui consapevoli. E parlando di ambienti scolastici mi riferisco specificamente a quelli della scuola pubblica, di tutti. Quell’istituzione da cui dovrebbero venire fuori persone con opinioni proprie, maturate sì sulla base di un insegnamento che si vorrebbe quanto più possibile a 360 gradi ma non imposte in modo più o meno subdolo. E invece, purtroppo, ci rendiamo conto che di fronte al culto dominante le difese si abbassano, la scuola diventa permeabile all’ideologia di parte e sempre più impermeabile al principio del rispetto di tutti. E al principio della laicità delle istituzioni da cui il rispetto discende.

Quanto accaduto recentemente in una scuola cesenaticense, precisamente il plesso “2 agosto 1849” del Primo Circolo Didattico di Cesenatico, è solo un episodio significativo della degradazione della scuola in senso confessionale. Stiamo parlando di una scuola che, a detta degli utenti che ci hanno riportato la loro testimonianza, non assolve nemmeno all’obbligo di fornire un insegnamento alternativo all’ora di religione cattolica, venendo quindi meno ai suoi compiti istituzionali prima ancora che a quelli didattici. Una scuola nel cui Consiglio di Circolo è presente la moglie del sindaco ciellino di Cesenatico Roberto Buda. Evidentemente non sono le leggi dello Stato a ispirare primariamente questo istituto ma altro. Il caso in questione riguarda uno spettacolo teatrale preparato in un progetto di laboratorio didattico e rappresentato in occasione della festa di chiusura d’anno. No, non dell’anno solare, festeggiato generalmente a suon di rappresentazioni e canti natalizi a carattere prevalentemente religioso, ma dell’anno scolastico.

Il titolo dello spettacolo è “La marcia dei giganti” e lo stesso si compone di quattro distinte parti in cui i giganti in questione sono quelli della storia, della scienza, dello spettacolo e… della religione cattolica! Proprio così, dopo aver proposto e rappresentato figure storiche, scientifiche e culturali, non necessariamente reali ma anche di fantasia, come è nel caso di Ulisse in ambito storico, si dedica un quarto dello spettacolo a una visione religiosa che tra l’altro pertiene a una materia facoltativa. Un’intera parte utilizzata di fatto per la propaganda di idee religiose che stigmatizzano comportamenti contrari alla dottrina cattolica, celebrando personaggi come Padre Pio, Paolo di Tarso, Don Bosco. I giganti della Chiesa si producono in una vera e propria “marcia sulla scuola”, è proprio il caso di dirlo. Il testo della sceneggiatura è scaricabile dal sito dell’Uaar.

recita-bambini

Già dall’inizio risulta chiarissimo dove si vuole andare a parare perché a essere preso di mira è, guarda caso, proprio l’ateismo. Protagonisti della scena e dell’intera parte due giovani, di cui una non battezzata che per questo rivendica il diritto di fare quello che le pare, di esagerare e poi lasciarsi andare, e soprattutto di mandare tutti a quel paese. Il non credente diventa quindi non una persona che interpreta il mondo in modo diverso da un credente, come semplicemente è, ma una persona che rifiuta le regole e si pone al di fuori della società. Come se le regole della dottrina fossero le uniche possibili. La sedicente religione di pace ha così di fatto individuato il nemico e come tale lo dipinge incitando all’emarginazione. Il tutto in una scuola dello Stato. A corollario, una scena in cui l’eroe Padre Pio scaccia e sconfigge, con l’aiuto degli angeli, il demone del male, mentre la ragazza continua a dichiarare di non credere al diavolo. A questo punto il demone stesso dichiara che gli è molto più facile tentare chi, in nome di una presunta libertà (sic!), nega la sua esistenza. Non c’è che dire, tutto molto educativo. Soprattutto l’aggettivo “egoista” usato dal demone nei confronti della ragazza infedele.

Andando avanti entra in scena un pellegrino errante che continua a stigmatizzare l’ateismo, dicendo “chi non è con noi bestemmia il vero Dio”, e introduce angeli che a loro volta introducono gli eroi di tutti i giorni che con il loro sacrificio hanno illuminato le vie che portano al cielo. Eroi che portano ciascuno la loro croce, proprio in senso fisico, tra cui si distingue una ragazza madre, incinta, che fissa i bambini mai nati. La lotta contro l’aborto, un diritto riconosciuto dalla legge e sancito da un referendum popolare, entra dunque in modo dirompente e discutibile nell’ambiente infantile di una scuola primaria, peraltro usando espressioni tendenziose come “bambini mai nati”. Tutto ciò è semplicemente sconvolgente, siamo in presenza di un abuso di istituzioni pubbliche a scopo di proselitismo. Non poteva mancare a questo punto sul palco l’ingresso della famiglia felice per antonomasia, quella composta da padre madre e figlia che ha superato brillantemente le difficoltà della vita rimanendo unita, mentre evidentemente le coppie che si separano sono semplicemente state incapaci ed egoiste. La ragazza manifesta a questo punto i suoi dubbi sul senso che finora aveva dato alla vita e dichiara di sentirsi prigioniera di se stessa. Una suora (Teresa di Lisieux) la conforta immediatamente mettendola in guardia dalla povertà spirituale persino più importante di quella materiale. “La gente non crede più in Dio”, le dice sdegnata a più riprese.

L’ultimo personaggio ad apparire in scena, Don Bosco, fornisce ai ragazzi protagonisti del racconto la ricetta della santità: allegria, studio, preghiera. Eppure non risulta che questa ricetta sia stata cucinata spesso dal fondatore dei Salesiani, piuttosto Bosco ha sempre dispensato odio e anatemi. Odio verso qualunque concezione del mondo diversa da quella cattolica, con tanto di roghi di libri e bibbie protestanti in piazza, e maledizioni con allegate minacce di morte come quelle nei confronti dei Savoia. Ma ovviamente queste cose non si dicono ai bambini, a loro conviene dipingere Bosco come un educatore buono e compassionevole e parlare loro invece di aborti, divorzi, ateismo scellerato. Il tutto culminante in un gran finale sulla ritrovata fede e annessa intonazione del “Gloria in excelsis Deo”.

Non sembra proprio che quel crocifisso dietro la cattedra sia un “simbolo passivo”, come ebbe a definirlo la Grand Chambre della Cedu. È più che mai attivo insieme alle due ore di indottrinamento cattolico, che pur essendo teoricamente materia facoltativa diventa di fatto semi obbligatoria essendo inserita nel normale orario delle materie curriculari, costringendo chi non intende seguirla a combattere per vedersi riconosciuto il diritto di fare altro.

Un binomio che già da solo sarebbe ampiamente descrittivo del carattere confessionale della scuola statale ma che purtroppo pone le basi per ulteriori clericalismi, come quelli messi in atto sfruttando la rete degli insegnanti di religione, scelti dal vescovo e pagati da tutti. Come gli atti di culto a scuola, o con le scuole. E le iniziative culturali come questa di Cesenatico, che ci si aspetterebbe di trovare dalle suorine ma non certo in una scuola statale.

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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