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La mafia uccide solo d’estate: un autentico capolavoro di ironia e intelligenza

È possibile risalire al passato per parlare del nostro presente attraverso un racconto atipico e graffiante del fenomeno malavitoso? Si, è possibile. Ci ha pensato, Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, grazie alla fiction “La mafia uccide solo d’estate”, andata in onda alcuni mesi fa su Rai1.

Prodotta da Rai Fiction e Wildside, la serie, diretta da Luca Ribuoli, Stefano Bises, Michele Astori e Michele Pellegrini, racconta le vicende della famiglia palermitana Giammaresi, capitanata dall’impiegato Lorenzo (Claudio Gioè) che, insieme a suo figlio Salvatore (Eduardo Buscetta), dotato di estrema intelligenza e di uno spiccato senso della giustizia, provano a dare delle risposte agli attacchi malavitosi.

Il giorno in cui viene ucciso il vicebrigadiere, Filadelfio Aparo, Lorenzo sfiora la macchina dei killer.

Da qui, il dilemma: testimoniare o no? «Mio papà aveva visto qualcosa: era un testimone: la cosa peggiore che ti poteva capitare a Palermo dopo la morte» riflette il piccolo Salvatore.

Oltre a Claudio Gioè, Anna Foglietta, nel ruolo di sua moglie, l’insegnante Pia, Francesco Scianna, Angela Curri, Valentina D'Agostino, Nino Frassica e Nicola Rignanese nei panni di Boris Giuliano.

È una fiction dal tono scanzonato e sentimentale, come quello di Pif, nato e cresciuto a Palermo, nel quartiere Libertà, di cui è ispiratore e voce narrante.

Lorenzo è un uomo pieno di dubbi e di forte morale, che si scontra con fenomeni di stampo malavitoso.

«Lorenzo è un marziano», afferma Claudio Gioè. A Lorenzo, invece, quando vede i killer, il coraggio di farsi avanti viene meno. «Non riesce a scendere al compromesso e, mi creda, non era da tutti in quegli anni», spiega Gioè.

«Già oggi, nel nostro Paese, non ci sono molta etica e moralità, si figuri a Palermo nel ’79. La parola “mafia” è stata pronunciata nel Parlamento per la prima volta nell’84, anche solo parlarne significava essere dei pazzi. La maggioranza dei palermitani era fatta da tanti Lorenzo Giammarresi, che dovevano scegliere se sopravvivere o rischiare», dice l’attore.

Nel film, il suo personaggio era molto diverso. Interpretava un giornalista militante che scriveva di mafia. «Francesco era simile al ruolo che avevo nei "Cento passi" e che penso abbia colpito Pif. Ha voluto portare sullo schermo un giornalista alla Peppino Impastato, che ha fatto un’opposizione alla mafia consapevole e coraggiosa. Lorenzo è un uomo comune».

L'attore, per calarsi nei panni del suo personaggio, si è ispirato «alle polaroid sbiadite di quegli anni che avevano i miei genitori. Anche solo rivedere un taglio di capelli, un vestito di un certo tipo mi ha restituito dei sapori che avevo vissuto da bambino».

Suo padre somiglia a Lorenzo. «Ho pensato a lui. È un uomo di buoni principi e all’antica. Per me è stato importante ritrarlo con onestà, ha fatto tanto per la famiglia».

Le cose sono iniziate a cambiare. «Ci siamo svegliati per la prima volta nel 1992, con le bombe a Borsellino. Avevo 16 anni, l’adolescenza è finita e abbiamo capito che era il momento di iniziare a lottare per estirpare la mafia anche a livello culturale».

La fiction è un autentico capolavoro di intelligenza e ironia, come afferma il Presidente del Senato, Pietro Grasso. «Pif sa raccontare il fenomeno con ironia, ma sulla base di una seria documentazione dei fatti. Ti lascia un messaggio, ti fa pensare».

 

 

 

 

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