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La lezione morale di Salvador Allende

11 settembre 1973 - 11 settembre 2013: 40 anni dal golpe militare in Cile. 

Sino al 1973 la Repubblica del Cile era considerata una delle più antiche e stabili democrazie del mondo. I cileni, orgogliosi, lo sottolineavano spesso.

Il 3 novembre 1970 Salvador Allende, leader socialista della coalizione Unidad Popolar (UP), venne eletto Presidente della Repubblica: rivoluzionario non violento, sottrasse il Cile al timore di un socialismo di stampo sovietico e al pericolo di una democrazia d’élite finanziarie.

“La storia non si ferma, né con la repressione, né con il crimine. (….) È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al popolo, apparterrà ai lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore” - Salvador Allende

Allende ne era profondamente consapevole. Lo era stato in vita, durante il suo Governo, e lo resterà la mattina del golpe militare, l’11 settembre 1973: durante il bombardamento del Palacio de La Moneda (sede del Presidente della Repubblica), durante l’assalto.

La storia è, però, nota a tutti.

La giunta militare, capitanata dal generale Augusto Pinochet, abolì i diritti civili, sciolse il congresso nazionale, proibì le attività sindacali, gli scioperi, la contrattazione collettiva. Fece torturare e uccidere migliaia di cileni: accademici, artisti, musicisti, professionisti, religiosi, studenti e operai. La “banalità del male” che non risparmiò, a suo tempo, neppure l’Europa.

2.279 tra vittime accertate e “desaparecidos”; 29.000 le persone arrestate e torturate. Tra quest’ultime l’ex Presidente Michelle Bachelet: la prima donna a essersi insediata alla Moneda; la prima sopravvissuta alle torture del regime di Augusto Pinochet a essere eletta.

Alla morte del dittatore, nel dicembre 2006, ella decide di non concedere i funerali di Stato: “In simili momenti un Presidente deve inviare segnali etici. Pinochet è rimasto impunito nei tribunali, ma l’impunità storica non potevamo concedergliela”.

Una storia recente quella della dittatura cilena, un’esperienza ancora vivida e dolorosa nei ricordi dei più. Una vicenda che fa parte di un passato che è ancora presente nelle persone che l’hanno vissuto, che scuote la coscienza civile e che, come avviene in Italia, condanna l’indifferenza dei più giovani.

In Cile ci chiamerebbero la generazione del “no estar ni ahì”, del “non esserci nemmeno”, della non appartenenza, del disimpegno.

“Ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento” - Salvador Allende

È di questa lezione morale che si deve discutere oggi, in Cile come in Italia. La storia ci insegna che, purtroppo, non è la democrazia a garantire la democrazia. Siamo noi a garantirla, nella consapevolezza che essere liberi è ben più faticoso che essere schiavi: è necessario vigilare con costanza ed esercitare con passione i principi fondanti la nostra società, poiché “l’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore”.

di Nadia Alessandra Benahmidou

 

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