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La guerra dei capi all’ombra della Tour Eiffel

 

Perdere non fa mai bene a nessuno. Ne sanno qualcosa dirigenti e militanti dell’UMP, il partito di Sarkozy che si è dilaniato per quasi due mesi nella «guerra dei capi», ovvero nel confronto drammatico che ha visto contrapporsi François Fillon a Jean-François Copé, per giungere proprio in questi giorni ad una ‘tregua armata’.

Infatti, proprio mentre era in pieno svolgimento la campagna delle primarie del PD, nella vicina Francia si stava consumando un altro testa a testa: quello per la guida dell’UMP, ora Union pour un Mouvement Populaire (Unione per un Movimento Popolare), già Union pour la Majorité Presidentielle (Unione per la Maggioranza Presidenziale), il partito della destra governativa (o repubblicana) francese. Il partito nacque nel 2002 dall’unione delle due storiche destre francesi, quella Gaullista (RPR) e quella cristiano-democratica (UDF), per sostenere la candidatura di Chirac (gaullista che aveva battuto contro tutti i pronostici Balladur sette anni prima) alla sua rielezione. Nei primi anni il partito era saldamente nelle mani di Juppé ma quando poi si dovette trovare un successore al presidente, Sarkozy, allora astro nascente della politica francese, se ne impossessò, usandolo come arma per sgombrare il campo della destra dai suoi concorrenti e lanciarsi verso la conquista dell’Eliseo – cosa che avvenne nel 2007. Negli anni della presidenza il partito fu lasciato nelle mani di fedeli sarkozysti ma non sarebbe stata, come precedentemente, la chiave di volta per la candidatura presidenziale seguente: alle elezioni del 2012 la destra si sarebbe presentata dietro il presidente eletto senza che questi avesse bisogno della legittimazione di leader del suo campo data dall’essere leader del partito. Il ruolo di capo del partito era così «marginale» (o la guerra tra i vari gruppi così difficile da sbrogliare) che la figura di «presidente» fu lasciata vacante nel quinquennio 2007-2012 e sostituita da quella di una segreteria prima e di un segretario generale poi.

Nel 2012, alla vigilia delle elezioni presidenziali, il posto di segretario generale era di Jean-François Copé mentre primo ministro del presidente uscente era François Fillon. All’indomani della sconfitta di Sarkozy, quindi, il partito, scosso da una sconfitta che, seppur prevedibile, non era ancora vissuta come una realtà da dirigenti e militanti, ha dovuto riorganizzarsi, o meglio i tanti esponenti, perduto il riferimento del «capo» vincente che accontentava un po’ tutti, hanno iniziato a posizionarsi. Si è deciso che veniva istituita nuovamente la figura del presidente del partito e che si sarebbe deciso con una consultazione degli iscritti chi dovesse assumere questa funzione. Funzione che diventerà nuovamente fondamentale quando nel 2017 la destra dovrà presentare il proprio candidato alle elezioni presidenziali. Si è così deciso di far votare gli iscritti, ma, a causa di regole per la presentazione della candidatura molto restrittive, solamente Fillon e Copé sono risultati candidati. Due personaggi centrali dell’epoca di Sarkozy, molto diversi tra loro come stile e come prospettiva politica.

François Fillon: è stato primo ministro di Sarkozy ininterrettomente dal 2007 al 2012, ovvero per tutta la durata del mandato presidenziale. Caso più unico che raro nella V Repubblica (solo Pompidou fu similmente longevo politicamente come primo ministro di un presidente) dove in genere il primo ministro è il «fusibile» della maggioranza e soprattutto del Presidente della Repubblica. Infatti tradizione vuole che quando il presidente si accorge che le sue politiche sono impopolari licenzia il primo ministro cui fa finta di addossare le responsabilità. Così fecero sia Mitterrand sia Chirac, e il loro «metodo» funzionò: furono rieletti presidenti pur avendo perso le elezioni legislative intermedie. Allora però il presidente durava sette anni (il cosiddetto settennato), mentre ora cinque (quinquennato), esattamente quanto dura una legislatura in Francia. Questo ha «messo in fase» presidenziali con legislative (che non si fanno però nello stesso giorno, ma una dopo l’altra, prima il presidente poi il parlamento, e il risultato non è indifferente rispetto all’ordine). Ma torniamo a Fillon. Grazie al grande attivismo di Sarkozy è riuscito a restare in sella come primo ministro per tutta la legislatura, portando avanti una politica gaullista tradizionale e cercando di risultare come il garante dei ‘valori repubblicani’, ovvero quelli di una destra nazionale ma non nazionalista, laica, liberale ma dove lo stato continua ad esercitare un potere diretto e indiretto importante.

Jean-François Copé: esponente di spicco dell’UMP, sindaco di Meaux, un centro di medie dimensioni non lontano da Parigi, che costituisce la sua forza elettorale, già più volte ministro di Raffarin e Villepin (nelle presidenze Chirac), inizia la legislatura 2007-2012 come presidente del gruppo parlamentare dell’UMP (è quindi il ‘capo’, come dicono i francesi, dei deputati che appoggiano Sarkozy e il governo guidato da Fillon) e nel 2010 è eletto segretario generale dell’UMP. Guida quindi il partito alle elezioni per scegliere il nuovo presidente nel novembre del 2012. La differenza politica con Fillon è in una visione della destra più netta, decomplessata come dice lui stesso, e questo significa senza le tradizionali remore (almeno di facciata) nei riguardi del Fronte Nazionale dei Le Pen. Quando alle legislative l’UMP ha bisogno di chiedere i voti degli elettori frontisti, i deputati a lui vicini non esitano a farlo, rompendo la tradizione repubblicana che vede i gaullisti distinti e lontani (almeno formalmente, anche se poi chiaramente molti simpatizzanti della destra estrema al ballottaggio si sono spesso rivolti verso la destra repubblicana). Questa differenza sulla visione della destra è chiaramente annunciata quando Copé, nell’agosto 2012, dichiara ufficialmente che si candiderà alla presidenza del partito.

E veniamo alle ‘drammatiche’ elezioni di novembre, dove lo scontro è subito al primo turno tra Fillon e Copé. Scontro che già dalla sera stessa dello scrutinio non sembra dover finire : Copé è dichiarato solo l’indomani vincitore (quando la sera ognuno si proclamava vincitore) con il 50.03% dei voti (ovvero con una manciata di voti di differenza). Il risultato è contestato da Fillon e dopo una settimana di riconteggi, di sezioni dichiarate ‘non valide’, è ancora Copé dichiarato vincitore, questa volta con il 50.28% dei voti. Ma Fillon e i suoi continuano a rifiutare di riconoscere l’elezione di Copé. A nulla vale il tentativo di Juppé di trovare un accordo e ancora più goffo (e altrettanto inutile) è il mezzo tentativo di Sarkozy, che essendo membro della Corte Costituzionale in qualità di ex Presidente della Repubblica non può entrare direttamente negli affari dei partiti (lo ha fatto indirettamente e solo questo gli valse un mezzo richiamo dal presidente della Corte). La situazione sembra sul punto di rompersi quando i ‘fillonisti’ arrivano a fare un secondo gruppo parlamentare, il ‘Rassemblement-UMP’ (tra l’altro più numeroso del gruppo dei lealisti, grazie all’astuzia di Fillon nella composizione delle candidature). Il tempo passa senza che una soluzione possa sembrare possibile, e intanto i tanti esponenti ‘non schierati’ iniziano a rivestire un ruolo sempre più importante e visibile. Finché poco prima delle vacanze di Natale la soluzione: si rivoterà nel 2013 con un nuovo statuto e viene sciolto il gruppo parlamentare dissidente.

Hollande così, a quasi un anno dall’elezione può godere di due situazioni favorevoli : l’assenza di elezioni intermedie che se dovessero punire il partito socialista rischierebbero di creare un blocco nell’azione di governo, e l’assenza di un’opposizione con un leader riconosciuto. Un anno che però passerà in fretta e il governo dovrà approfittare di questa congiuntura astrale per esplicitare meglio le riforme iniziate e, soprattutto, vincere le timidezze e riprendersi il ruolo di motore economico e sociale.

Articolo originale su iMille

Questo articolo è stato pubblicato qui

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