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La giornata della memoria, in un mondo senza memoria

L'anniversario per la giornata della memoria dovrebbe essere occasione per una riflessione più profonda su cosa sia stata la Shoà, il genocidio della popolazione ebraica in Europa da parte dei nazisti. Se non si vuole rendere questo 27 gennaio la solita giornata di celebrazioni fini a se stesse e di parole vuote, l'Europa dovrebbe fare i conti con la propria coscienza sporca.
 
Non solo perché il genocidio degli ebrei è stato portato avanti anche grazie alla collaborazione delle altre nazioni occupate (qui in Italia, per esempio, avevamo un campo di concentramento a Fossoli e un campo con forni alla Risiera di San Sabba).
 
Ma perché quanto abbiamo visto accadere, nelle democrazie europee nei confronti dei profughi siriani (e delle altre nazioni in guerra) ricorda molto da vicino quanto già visto negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Lo spunto per questa riflessione me lo ha dato l'intervista a Gad Lerner, domenica sera, quando ha presentato il film “Il figlio di Saul” a Che tempo che fa.
 
Le nazioni che chiudevano le porte agli ebrei in fuga, dalla Germania e dalle altre nazioni dell'est Europa. Che non volevano accettare i profughi al loro interno per il timore che accolti i primi, ne sarebbero arrivati altri. I governanti che temevano la reazione delle brave persone: ma come spendete soldi per gli ebrei in fuga, mentre ci sono tanti poveri cui pensare prima ..
 
Usa, Canada, Gran Bretagna e altri Paesi avrebbero potuto accogliere i rifugiati ebrei già alla fine degli anni Trenta, ma si rifiutarono. Nel 1938, alla conferenza sui rifugiati ebrei che si tenne a Evian-les-Bains, in Francia, parteciparono 32 Paesi. Nessuno, tranne la Repubblica Dominicana e la Bolivia, rivide le proprie quote d’immigrazione. Una colpa grave, accusa oggi il Centro Simon Wiesenthal, organizzazione ebraica internazionale per i diritti umani. Non solo: nel 1939, 900 ebrei, tra cui molti bambini, salparono da Amburgo sul transatlantico di lusso St Louis alla volta di Cuba, sperando di raggiungere così gli Stati Uniti. Giunti all’Havana, furono rispediti in Europa. Almeno 250 di loro sono morti nell’Olocausto [Dal Fatto quotidiano del 26 gennaio 2015].

 

 
 
Le grandi democrazie non seppero o non vollero vedere cosa succedeva agli ebrei: la perdita dei diritti civili, la perdita dei beni, la cacciata dalle loro case. Tutto questo è accaduto prima, prima della Seconda Guerra Mondiale, della soluzione finale e dello sterminio di Auschwitz Birkenau e degli altri campi.
L'eutanasia di stato, il considerare gli ultimi e gli indesiderati come un peso per la democrazia, un costo che non si poteva accettare.
E tutto questo sistema fu portato avanti non solo grazie ai sadici, ai violenti (che pure servivano nella catena dell'orrore): le leggi di Norimberga che diedero una base giuridica alla politica razziale della Germania nazista furono concepite da persone laureate. L'organizzazione dello sterminio e della “Soluzione finale” fu gestita da Adolf Eichmann, l'emblema della banalità del male (come lo definì nel suo saggio Hannah Arendt).
 

 

 
 
Vi ricorda qualcosa? Qualcosa che abbiamo visto anche di recente? Il filo spinato che separa i paesi.
I profughi respinti, concentrati, trattati come merce indesiderata.
L'Europa che si spacca di fronte all'emergenza (che essendo tale da mesi non si potrebbe più nemmeno chiamare così). L'Europa che arriva a requisire i beni ai profughi per ripagarsi dalle spese sostenute per l'accoglienza.
L'Europa che arriva a pagare dittatori (come Gheddafi o aspiranti tali come Erdogan) per occuparsi loro dei profughi siriani. Lontano dai nostri occhi perché noi democratici occidentali non vogliamo vederle quelle persone.
Dobbiamo preoccuparsi prima dei nostri cittadini, prima noi, prima gli italiani.
Come se la disoccupazione, il problema della casa, lo scivolamento verso il basso del ceto medio fossero colpa dei migranti ...
L'Europa che decide di sospendere Shengen di fronte agli sbarchi, alle persone che muoiono nel tentativo di attraversare quel braccio di mare che li separa dalla civiltà (dopo aver pagato i trafficanti di uomini per quel passaggio)
 
Non sto mettendo sullo stesso piano le due tragedie: per numero di vittime e per enormità del male, la Shoà è qualcosa di molto più vasto.
Le leggi razziali, i campi di concentramento, le deportazioni, l'organizzazione dei treni affinché i campi di sterminio potessero essere sempre riforniti di materiale umano, un'industria che si mise al servizio dello Stato nazista affinché si trovasse la soluzione migliore. Al problema della morte dell'ebreo.
 
Ma c'è anche un livello oltre al quale in pochi sono andati: il racconto dei Sonderkommando, gli ebrei che nei campi di sterminio avevano il compito di portare altri ebrei dentro le camere a gas.
Rassicurandoli. Dicendo loro che era una doccia per disinfettarli.
 
Il film di László Nemes (e prima ancora Tim Blake Nelson con “La zona grigia ”) porta lo spettatore dentro quell'orrore. La telecamera è perennemente piazzata dietro la testa del protagonista.
Entrerete con lui nella camera della morte, sentirete le persone gridare e premere sulle porte stagne delle camere a gas nell'estremo tentativo di sfuggire alla morte.
E, come il protagonista, vi abituerete a tutto questo. A questa “normalità” dell'orrore.
Perché anche questo è stato.
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