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La fine dell’egemonia americana

“America vs America” è l’ultimo saggio dello studioso Lucio Caracciolo (Laterza, Ebook e non, 2011).

"Nel mondo c'è abbastanza per i bisogni dell'uomo, non per la sua avidità". Gandhi 

 L’analisi geopolitica di Caracciolo non affronta le aspre vette dell’immaginazione e segue il filo logico della mirabile strategia del contenimento adottata dal presidente-generale Eisenhower, che evitò il terreno bellico e limitò l’espansionismo sovietico nel breve termine per farlo collassare nel lungo termine, grazie alla superiorità politica, economica, mediatica e culturale. Dopotutto anche il grande teorico prussiano Clausewitz affermò che ogni tipo di guerra, anche non sanguinaria, “è un atto di forza per costringere l’avversario a compiere la nostra volontà”.

Indubbiamente molte reazioni americane al terrorismo e alle nazioni ostili sono spropositate, mal applicate e finanziariamente e socialmente destabilizzanti a livello nazionale. Infatti “mentre la guerra al terrorismo dovrebbe diffondere la libertà nel mondo, in patria la limita”. Senza contare “l’autocensura diffusa tra i giornalisti”. Infatti sono sempre più rari i giornalisti come il Premio Pulitzer Chris Hedges (potete “partecipare” al suo intervento “Empire of Illusion” su YouTube).

Inoltre Barack Obama e i suoi consulenti dovrebbero sempre tenere presente che “i militari americani non sono soldati giocattolo da muovere su qualche scacchiera da gioco globale” (Colin Powell). Si tratta di vite umane e gli elevati costi finanziari di una guerra rappresentano un gioco d’azzardo molto costoso e il rischioso suicidio economico per molte nazioni, anche in caso di vittoria. Infatti si può stabilire quando iniziare una guerra, ma non si può mai sapere quando finirà e quanto costerà. E fare la guerra ai terroristi con i cacciabombardieri è come cercare di derattizzare con il lanciafiamme, anche se le trappole e i bocconi avvelenati si sono sempre dimostrati la tecnica migliore e più economica per eliminare le specie indesiderate e moleste. 

Nel 2010 gli Stati Uniti hanno avuto circa 713 miliardi di dollari di spesa militare, che rappresenta quasi l’intero ammontare di spesa di tutte le altre nazioni del pianeta. Nonostante questo fatto innegabile, gli americani si ostinano “freneticamente di evitare di riconoscere l’imperialismo che di fatto esercitano” (Reinhold Niebuhr, teologo e pensatore realista). E secondo uno studio commissionato dall’European Council on Foreign Relations, le classi dirigenti europee offrono solidarietà e si accontentano della sicurezza garantita dagli americani e non si rendono del tutto conto del preoccupante calo di interesse americano nei confronti dell’Unione Europea (Jeremy Shapiro, Nick Witney).

D’altra parte non ci sarà nessun vero progresso nelle relazioni internazionali finché la società darà “sempre maggiore importanza a ciò che nutre gli uomini rispetto a ciò che nutre la cultura” (Romain Gary, scrittore e diplomatico francese di origine ebreo-russa). Per questo motivo segnalo il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, che promuove il dialogo interculturale e gestisce la Cattedra del Mediterraneo (ha organizzato un ciclo di incontri che è iniziato mercoledì 14 marzo trattando il tema “L’Iran dopo le elezioni e la sfida nucleare”).

Comunque agli Stati Uniti “non succede finora un altro egemone, mentre si aprono spazi contendibili – veri e propri buchi neri geopolitici – che medie o grandi potenze regionali cercano di occupare. Il “mondo post-americano” non è cinese né multipolare” (Caracciolo) . Sicuramente il Brasile con tutte le materie prime che si ritrova, compreso il petrolio, sta recitando il ruolo di migliore attore non protagonista e rimane in attesa di ruoli più appaganti. L’India è invece frenata dalle ataviche problematiche culturali legate alle caste, che a mio parere potrebbero sfociare in conflitti religiosi e scontri politici cruenti “stile Libano”. Mentre sarà probabilmente la Corea del Sud il paese rivelazione del prossimo decennio, grazie ai notevoli investimenti nell’istruzione.

Purtroppo gli Stati Uniti e l’Europa sono ancora troppo dipendenti dal Medio Oriente per il petrolio e il gas, e dovrebbero valutare al più presto accordi commerciali più impegnativi con il Brasile, la Russia e altri paesi. Infatti l’aumento del prezzo del petrolio, derivante dagli accordi di cartello e dalle speculazioni, è uno dei principali motivi della depressione economica europea e occidentale.

La Russia si trova invece nella stessa situazione dell’Italia: una volta seppellite per sempre le attuali mummie politiche, sarà protagonista di molte trasformazioni sociali e tecnologiche, grazie alle nuove generazioni di studenti più o meno cosmopoliti. Naturalmente in caso di conflitto con la Cina, la Russia può risultare ancora una volta molto utile e determinante per gli Stati Uniti e per l’Europa, come lo fu durante la seconda guerra mondiale per battere la follia hitleriana.

Infatti il vero pericolo può derivare dal nazionalcomunismo capitalista cinese che probabilmente imploderà nei debiti e nei buchi neri dell’ignoranza e dell’anarchia finanziaria (“Chi controlla chi, lì?”). In questo caso i governanti cinesi potrebbero cercare di deviare l’attenzione scatenando un conflitto esterno, legato probabilmente alle contese sulle isole e sulle riserve energetiche del Mar Cinese Orientale e Meridionale. Inoltre la fame di energia cinese cresce a ritmi disumani e la bolla immobiliare cinese sembra molto vicina all’implosione (Emanuela Melchiorre, “La Finanza sul Web”).

In ogni caso l’America sarà l’attore principale della governance globale, cioè “l’unità fondamentale dello spirito umano, espressa nella consapevolezza globale, nella coscienza della comune umanità, nella preoccupazione per la Terra, e in un codice comune di norme fondamentali” (Ellen L. Frost). E la sicurezza nazionale degli americani dipenderà da un esercito molto preparato a difendere il cyberspazio e dagli investimenti nelle università: gli Stati Uniti sono il primo paese al mondo per numero di brevetti (e io non mi fiderei dei cinesi che frequentano le università americane).

Quindi tutto sommato, anche nel 2012, “il più grande pericolo del mondo sarebbe l’impotenza americana” (Romain Gary). In ultima analisi in caso di crisi finanziaria internazionale cinese o anglosassone, alcuni paesi come Israele, Italia, Francia, Polonia, Turchia, Corea del Sud e Norvegia risulteranno i più vantaggiosi per gli investimenti economici e finanziari, perché meno legati ai circuiti finanziari colpiti dalle grandi metastasi della finanza pokerizzata.

Lucio Caracciolo dirige la Rivista di geopolitica “Limes”. Scrive per “La Repubblica” e per il settimanale “L’Espresso”. Insegna Studi strategici all’Università Luiss di Roma.

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