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La “don’t ask don’t tell” viola il quinto emendamento

Il giudice Virginia Phillips del distretto di Riverside in California, ha stabilito che la discussa don’t ask don’t tell (non chiedere, non dire), la legge che consente a gay e lesbiche di arruolarsi nell’esercito americano a patto che tengano segreta la propria omosessualità, non potrà più essere applicata perché viola il quinto emendamento della Costituzione.

La Phillips, accogliendo la richiesta di un gruppo di attivisti per i diritti civili che si battono per i diritti dai gay, ha sentenziato che l’esercito deve «immediatamente sospendere e interrompere qualsiasi indagine, espulsione, o provvedimento che possa essere stato preso applicando la norma del don’t ask, don’t tell». La sentenza, emanata il 13 ottobre scorso, completa di fatto una precedente sentenza dello stesso giudice – non ancora emanata – che dichiarava incostituzionale la don’t ask, don’t tell perché violava il quinto emendamento il quale dice:

Nessuno sarà tenuto a rispondere di un reato che comporti la pena capitale, o comunque infamante, se non per denuncia o accusa fatta da una grande giuria, a meno che il reato non sia compiuto da individui appartenenti alle forze di terra o di mare, o alla milizia, quando questa si trovi in servizio attivo, in tempo di guerra o di pericolo pubblico; né alcuno potrà essere sottoposto due volte, per un medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la vita o la sua integrità fisica; né potrà essere obbligato, in una qualsiasi causa penale, a deporre contro se medesimo, ne potrà essere privato della vita, della libertà o della proprietà, se non in seguito a regolare procedimento legale (without two process of law); e nessuna proprietà potrà essere destinata a un uso pubblico, senza un giusto indennizzo”.

Naturalmente il Dipartimento di Stato americano potrà fare ricorso entro sessanta giorni impugnando la sentenza.

Non è la prima volta che la politica americana cerca di smuovere, senza finora riuscirvi, la don’t ask, don’t tell. A fine settembre il Senato ha dovuto rimandare il dibattito perché si era venuto a creare un problema di voti mancanti, per cui la legge non sarebbe stata abolita ma addirittura rafforzata perché, dato l’ostruzionismo dei Repubblicani, si chiedeva al Senato di rimandare il voto finale dopo aver ricevuto il rapporto del Pentagono sugli effettivi benefici alle truppe in guerra dopo l’abolizione della don’t ask, don’t tell. Per cui si era deciso di rimandare la votazione ai primi di dicembre. I vertici militari e politici americani – il capo di stato maggiore Mullen e il ministro della difesa Gates - si erano già dichiarati favorevoli all’abolizione della legge, quindi il passaggio da semplice proposta a legge definitiva sembrava abbastanza scontato. Ma non si pensava al conservatorismo smisurato dei Repubblicani, per questo è servita una sentenza di un giudice federale per dichiarare la don’t ask, don’t tell incostituzionale.

Dal 1993, anno in cui è entrata in vigore, la don’t ask, don’t tell ha allontanato circa 12mila persone dall’esercito, e spesso, come dicono gli attivisti per i diritti umani, è stata usata solamente per allontanare persone indesiderate. Il giudice Phillips ha voluto considerare nella sentenza i diritti dei militari, non tanto come omosessuali, ma come persone a cui mancavano i diritti fondamentali dichiarati nel quinto emendamento: «Inoltre, la legge non prevede nessun rimedio adeguato per prevenire le continue violazioni dei diritti dei membri dell’esercito e nessuna misura per compensare tali violazioni subite».

Lo scorso 25 settembre un’altra sentenza di una corte federale aveva ordinato di reintegrare nell’aviazione americana il maggiore Margaret Witt, espulsa nel 2006 dopo che l’ex marito della sua compagna aveva informato le autorità militari del suo orientamento sessuale.

Aaron Belkin – direttore all’UCLA del Palm, centro di ricerca sulle minoranze sessuali nelle forze armate - si auspica la fine del divieto dichiarando che un eventuale appello del Dipartimento di Giustizia potrebbe richiedere cinque anni, dovrebbe essere quindi il Congresso a muoversi più in fretta rendendo meno controverso il caso.

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