• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > La democrazia delle minoranze

La democrazia delle minoranze

La regola democristiana del compromesso a tutti i costi ha imbevuto nel profondo il nostro Paese, ma questo non rappresenta l’essenza della democrazia ed è oggi un ostacolo serio al cambiamento. 

Strano Paese il nostro, non c’è che dire. Per decenni abbiamo cavalcato la politica del non decidere, abbiamo democristianamente trovato il compromesso al ribasso, abbiamo coniato perfino neologismi per rappresentarci. Sul “facciamo le cose all’italiana” abbiamo piagnucolato e riempito pagine e pagine di giornali coltivando l’invidia più profonda per i politici stranieri capaci di fare le cose concretamente, perché, si sa, l’erba del vicino è sempre più verde. Attorno a “complottismo” e “inciucio” abbiamo perfino costruito partiti e movimenti politici. E, adesso che qualcuno decide, ecco la nuova lamentazione, il nuovo tormentone sociale: “E’ un regime”. Lo ripetono come un mantra le minoranze, interne ed esterne al PD, per la riforma elettorale e la legge di stabilità, lo ripetono i professori e gli alunni per la riforma della scuola e lo ripeteranno ad libitum tutti coloro che verranno toccati da qualsivoglia cambiamento.

Perché la verità è che dopo decenni di comodo gattopardismo ci siamo fossilizzati, non abbiamo imparato affatto la vera essenza del cambiamento democratico. Qualunque modifica o riforma venga messa in atto sarà pertanto osteggiata e respinta da quelle minoranze non avvezze a rinunciare al loro consueto contentino. Perché la maturità democratica passa innanzitutto dall’accettare che un’idea possa non essere accolta dalla maggioranza e quindi respinta. Ed è ancora quella stessa maturità democratica ad imporre di mettere da parte gli interessi personali che quell’idea sottintende, un passaggio evidentemente ancora troppo difficile per il fragile tessuto del nostro Paese, dove si preferisce piuttosto la gazzarra polemica ad un civile e concreto dibattito e dove il bene comune viene molto, ma molto dopo quello soggettivo o di corporazione.

E da questo vizietto purtroppo nessuno è esente, anzi a dirla tutta pare sia piuttosto una gara fra le parti sociali a sgomitare con maggior forza per preservare lo status quo. Mi domando quanti anni dovremo ancora aspettare perché concetti come responsabilità, confronto, meritocrazia, bene comune prendano il posto di schiamazzi e populismo; non per me, certo, ma almeno per i nostri figli.

 

Claudio Donini

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità