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La coscienza spenta

Quante volte abbiamo sentito la seguente frase: bisogna essere sempre se stessi; quante volte abbiamo sentito dire: non mi lascio condizionare dagli altri e vado dritto per la mia strada; quante volte, nei momenti non proprio brillanti, qualcuno ha sussurrato alle nostre orecchie: non preoccuparti, è solo un periodo, ma vedrai che le cose presto cambieranno.

Queste frasi, insieme al vasto repertorio di luoghi comuni che quasi tutti conosciamo, sono ormai una specie di rifugio, in cui si cerca di rintanarsi o perché non si ha nulla da dire, o perché non si ha la capacità di ascoltare, o perché si vorrebbe indorare la pillola a chi sta meno bene, pur non sforzandosi di comprendere minimamente quelle che sono le problematiche altrui. La nostra è una società dal temperamento cinico e spietato, dove i tuoi problemi sono soltanto tuoi, e se qualcuno può cavalcarne l’onda per trarre vantaggio, lo fa senza ombra di dubbio. L’individualismo, l’egoismo, il sapere che a me va bene e a te va male, consolida i rapporti umani lungo una spirale di mero interesse, ove tutto diventa effimero quando l’interesse in gioco svanisce o si spegne. Non esiste nessun tipo di legame collaborativo, ove il sapere dell’uno avvantaggia l’altro, e la conoscenza dell’altro fortifica la coscienza dell’uno.

Si estende sempre più l’ombra dell’io sono e di te me ne frego. Questa disparità, riscontrabile sul fronte politico, economico, culturale, diventa drammaticamente preoccupante se si consolida, come purtroppo è avvenuto, sul fronte etico e del rispetto delle regole. Se quest’ultime sono un semplice orpello da aggirare o aspirare grazie ad una forte spinta elitaria ed immorale, chi non beneficia di questo soffio, cade inevitabilmente nella disperazione. Chi invece ne beneficia e potrebbe quindi aiutare anche altri a vivere più serenamente, ti sbatte la porta in faccia senza mezzi termini, magari con qualche parolina di circostanza che ancora di più carica l’amarezza di chi si sente sconfitto dopo aver animato se stesso in mille tentativi per sbarcare il lunario, e aver racimolato soltanto briciole di delusione. Si potrebbe obiettare a questa tesi affermando: ma perché bisogna necessariamente chiedere l’aiuto di qualcuno? Perché bisogna sperare sempre nella provvidenza divina e non concentrarsi su stessi e sulle proprie forze?

Purtroppo questo tipo di domanda, solitamente la pone in essere chi ha la pancia piena, mentre chi ha la pancia vuota, vorrebbe sperare nell’esatto contrario. La risposta alle domande trova conferma nel considerare l’uomo un animale sociale, il quale pur non essendo scevro da difetti, nel suo piccolo orizzonte irrazionale, deve necessariamente relazionarsi con gli altri. Relazionarsi non significa allargare feroci interscambi do ut des tra simili, bensì interagire con la propria sapienza e un pizzico di irragionevolezza, affinchè si possa vivere tutti serenamente. Potrebbe sembrare utopica una simile giustificazione, ma è la strada maestra per non fare della società una bomba ad orologeria, dove il malessere di pochi, che poi sono sempre di più, possa costituire un pericoloso detonatore anche per chi spudoratamente se la ride o scanza le disgrazie altrui. Se il successo di un paese si costruisce su una base di disvalori e i recettori di tali disvalori iniziano a maturare forte insofferenza, cosa si potrà mai attendere da una serie sempre più crescente di individui che sono quotidianamente in disaccordo con se stessi per via dell’insofferenza diffusa?

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