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La civiltà dell’empatia, l’intimità di massa e l’economia da persone civili

"La civiltà dell’empatia" è un saggio di Jeremy Rifkin, uno dei pensatori sociali più polivalenti e originali della nostra epoca. Rifkin è consulente di molte istituzioni e governi (Mondadori, 2010).

La civiltà dell'empatia, l'intimità di massa e l'economia da persone civili

La tesi centrale dell’autore è molto condivisibile, ma l’esposizione è straripante: una specie di insalata russa di informazioni e riflessioni, o meglio un buffet multidisciplinare all’americana che riunisce temi religiosi, psicologici, antropologici, economici, ecologici e sociologici. Personalmente preferisco approcci più sintetici e circostanziati, ma può risultare utile ripassare il pensiero di alcuni dei principali studiosi del passato.

Comunque Rifkin afferma: “I miei nonni non erano in grado di esplorare i propri sentimenti e pensieri per analizzare l’influenza delle loro esperienze emotive e relazionali sul loro comportamento nei confronti degli altri e sulla percezione di sé. Non avevano nozione del concetto di “pulsione inconscia”, né di termini come transfert e proiezione”. Oggi, a cent’anni dalla nascita della psicologia, i giovani sono profondamente immersi nella coscienza terapeutica e perfettamente a proprio agio all’idea di occuparsi delle emozioni più intime, dei sentimenti più profondi e dei pensieri più reconditi, propri e altrui, entrando in contatto con essi e analizzandoli”.

Sicuramente tutto questo è stato possibile grazie ai nuovi modelli d’insegnamento. “Favorendo un atteggiamento non giudicante e la tolleranza verso il punto di vista altrui, le competenze empatiche abituano i giovani a pensare in termini di livelli di complessità e li spingono a vivere nell’ambito di realtà composite dove non ci sono risposte o formule semplici, ma solo una continua ricerca di significati condivisi e conoscenza comuni” (p. 17). Da oggi non è più sufficiente comprendere come accadono le cose, ma bisogna imparare a capire perché accadono certe cose.

Ma “Come si cresce un bambino empatico? Non insegnandogli o imponendogli di essere empatico, ma essendo empatici con il bambino. L’idea di relazione che il bambino si forma non può che fondarsi sulle relazioni delle quali ha avuto esperienza” (L. Alan Sroufe, University of Minnesota). Per fortuna i neuroni specchio del cervello umano simulano le emozioni positive e negative: siamo programmati per l’empatia e la socialità (Marco Iacoboni, neuroscienziato, University of California di Los Angeles). Le cose però non sono cosi semplici: Hoffman avverte che “il disagio empatico provocato dall’assunzione di ruolo centrata su se stessi può portare a ciò che egli chiama “deriva egoistica”: il rischio che, con l’intensificarsi della risposta empatica, l’esperienza diventi più autoreferenziale e quindi meno autenticamente empatica” (in “Empatia e sviluppo morale”).

La sensibilità empatica matura si sviluppa quando viene esercitata una buona disciplina delle regole ed il consumismo sfrenato di certo non aiuta a forgiare la personalità. In America troppe persone passano più tempo a fare acquisti, rispetto a quello che passano in mezzo agli amici. Inoltre anche un’educazione religiosa ascetica o fondamentalista può avere risvolti molto negativi: “Dall’odio per il corpo può difficilmente emergere l’affetto per un altro essere umano in carne e ossa” (Montaigne). Confucio espresse un concetto religioso simile attraverso questo domanda: “Se non hai imparato a servire l’uomo, come puoi servire lo spirito?”.

Così, avendo trovato il “fondamento biologico dell’evoluzione della cultura… ora sappiamo che i neuroni specchio assorbono direttamente la cultura, attraverso l’insegnamento che ogni generazione impartisce a quella successiva attraverso la condivisione sociale, l’imitazione e l’osservazione” (Patricia Greenfield, psicologa, University of California di Los Angeles). L’empatia è un’esperienza “quantistica”: “la si prova pensandola e la si pensa provandola” (p. 164). Dopotutto “Essere significa comunicare… Un individuo non ha un territorio sovrano interiore, ma è completamente e sempre sul confine; guardando dentro di sé, guarda negli occhi dell’altro e con gli occhi dell’altro” (Michail Bachtin, filosofo). Come affermato dall’attrice Meryl Streep, “Il grande dono dell’essere umano è il potere dell’empatia”.

E dopotutto l’empatia è favorita dalle forme di comunicazione via Web: il relativo anonimato concesso dal ciberspazio incoraggia gli individui a mettere in gioco molti aspetti del proprio sé e a sperimentare nuovi ruoli (Sherry Turkle). Le relazioni sono spesso più dirette e sincere, poiché si riescono a incontrare più persone con interessi comuni, con notevole risparmio di tempo, che poi viene impiegato negli scambi comunicativi collaborativi (non si perdono i tempi morti dei viaggi).

Ai nostri giorni la mente cooperativa è molto utile per sviluppare le nuove tecnologie informatiche “peer to peer (da pari a pari). Infatti l’uomo collabora gratuitamente con gli altri per la pura gioia di contribuire al bene comune e “contribuendo al benessere del gruppo, l’individuo si mette nella migliore condizione per promuovere il proprio interesse particolare (p. 492). Don Tapscott e Anthony D. Williams hanno sfruttato questo potenziale collaborativo per sviluppare delle nuove vaste procedure di calcolo distribuito (in “Wikinomics 2.0: la collaborazione di massa che sta cambiando il mondo”, 2010). Inoltre, oggigiorno il tasso d’innovazione è così alto che “l’idea di detenere un brevetto su un processo o un prodotto per la durata di vent’anni è bizzarra e antiquata, quando il ciclo di vita del prodotto spesso si esaurisce nell’arco di pochi anni” (p. 495).

Indubbiamente c’è stato e ci sarà un allargamento del sentimento di empatia nei confronti di uomini, animali e piante. Quindi nei prossimi anni gli interessi economici e le forze delle gerarchie pubbliche e private avranno sempre una minore influenza sociale e personale. Infatti “i mercati e i governi sono un’estensione della cultura, non viceversa. Sono sempre stati e sempre saranno istituzioni secondarie, non primarie negli affari dell’umanità, perché è la cultura a creare il bacino empatico di socialità che permette alle persone di impegnarsi con fiducia le une con le altre nel mercato o nella sfera pubblica… Se, un tempo, i giovani idealisti cercavano spazio all’interno dei partiti politici, oggi più probabilmente si rivolgono alle organizzazioni della società civile”, in cerca di un ambiente umano più sano, informativo e formativo.

L’intimità di massa sarà molto utile per creare un’economia a misura di persone civili: l’economia è troppo importante perché se ne occupino soltanto i banchieri, i finanzieri e i soliti economisti burocrati o biscazzieri. “Molto dipenderà dalla capacità di accelerare la nuova, Terza rivoluzione industriale, cioè una forma di capitalismo distribuito fondato sulla nostra natura collaborativa, motivato dal senso del bene comune ed espresso dal nuovo sogno di qualità della vita e di sostenibilità planetaria” (p. 546). Del resto si è già ridotto il concetto di proprietà conosciuto fino ad oggi e la proprietà ha già iniziato a segmentarsi nel tempo: “le nuove modalità di scambio si chiamano abbonamento, affiliazione, noleggio, multiproprietà, locazione finanziaria, accordo di licenza.

Sul versante dell’ecologia l’umanità non se la passa troppo bene, però probabilmente verremo presto soccorsi dalla tecnologia. Ad esempio a Peccioli, vicino a Pisa è già in funzione un “Dissociatore Molecolare”, che con procedimenti termo-chimici è in grado di ricavare carburante gassoso dai rifiuti urbani. Finalmente ci siamo resi conto che “ognuno di noi è un re su un campo di cadaveri” (Elias Canetti) e che l’eccessivo consumo di risorse sta uccidendo la biosfera. I circa 7 miliardi di esseri umani sono solo l’1 per cento della biomassa presente sulla superficie della terra, ma consuma ben “il 24 per cento della produzione primaria netta della terra, cioè la quantità netta di energia solare convertita in biomassa attraverso la fotosintesi” (p. 26). Per fare un esempio non troppo banale si può dire che “per sostentare un uomo per un anno, servono 300 trote, che consumano 90.000 rane, che consumano 27 milioni di cavallette, che sopravvivono con 1000 tonnellate d’erba” (G.T. Miller).

In conclusione riporto il pensiero di Darwin: “un uomo che rischia la vita per salvare uno sconosciuto da un incendio, si identifica nel suo istinto più umano: la solidarietà personale”. Questo succede perché il salvatore sente immediatamente come propria la lotta della vittima per la sopravvivenza. Io non so quante persone oggi sarebbero disposte a rischiare la vita. Purtroppo la società occidentale è stata resa più egoista dagli economisti turbo-capitalisti. E questa economia del 2010 è sempre più decrepita, perché con l’allungamento della vita, i monopolisti, i miliardari, i politici, gli stronzi, i criminali e i vari ritardati culturali muoiono sempre più tardi, e si verifica una sovrapposizione e sovraesposizione generazionale di crani ripieni di gelatina nervosa e di simboli monetari e di potere.

P. S. Segnalo un grande evento riguardante la ricerca scientifica europea: www.esof2010.org (Torino, 2-7 luglio; sono previsti più di 500 relatori).

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