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“La Spagna va bene”

[Articolo pubblicato da Agenor sul sito A/simmetrie.org. Traduzione a cura di Serena Corti]

Nessuno in Spagna osa utilizzare in modo esplicito lo slogan con cui Aznar cercava di silenziare qualsiasi voce critica nel suo governo, proclamando che “la Spagna va bene”.

Tuttavia, questo è il messaggio che implicitamente si sta cercando di vendere in questi mesi di avvicinamento alla campagna per le elezioni generali di dicembre. Il dibattito sull’economia diventa più vivace, ma non più informato.

La Spagna è il paese in cui si parla meno del problema fondamentale dell’economia europea: l’unione monetaria, la sua instabilità, la sua inefficienza e la sua difficile sostenibilità. Sette anni dopo la caduta in recessione il paese non ha ancora recuperato il livello del PIL nel 2008.

Mai nella sua storia ha vissuto una recessione più lunga. Il paese che ha sofferto di più gli eccessi e le carenze di questo sistema monetario, è anche quello che sembra meno disposto a metterlo in discussione. E sarebbe sufficiente chiedersi il motivo per cui la Spagna ha subito e continua a subire, una perdita di ricchezza, di occupazione e di diritti maggiore rispetto ad altri paesi.

Da quando la moneta unica è stata istituita, eliminando il “rischio di cambio”, i flussi di capitale all’interno dell’unione monetaria sono saliti crescendo del 500% in sei anni. La maggior parte di questi flussi è andato alla Spagna. Sarebbe bello pensare che lo hanno fatto perché questo paese tanto meraviglioso, offriva le migliori opportunità di investimento.

Purtroppo, la “scienza triste”, ci spiega che questo era dovuto ai differenziali di inflazione che determinavano che lo stesso tasso di interesse nominale, fissato dalla BCE, si traducesse in minori tassi di interesse reali nei paesi con più alta inflazione, come la Spagna, e in maggiori tassi in paesi con un’inflazione più bassa, come la Germania. Ciò si è tradotto in un circolo vizioso di più capitali, più domanda, più inflazione, minori tassi di interesse reali, che a loro volta hanno attirato più capitale, etc.

Tutto questo tra l’indifferenza, o peggio ancora la compiacenza, delle autorità di regolamentazione nazionali e soprattutto europee. I primi elogiavano il fatto che “la Spagna va bene”, i secondi che era la prova che l’integrazione economica europea stava funzionando. Nessuno si era preoccupato che tali enormi squilibri nella bilancia dei pagamenti avrebbero potuto esplodere lasciando le economie in rovina.

Quando è arrivato il panico nei mercati finanziari dopo il fallimento di Lehman, il giocattolo europeo si è rotto e paesi come la Spagna si sono trovati improvvisamente con disavanzi correnti senza precedenti. Tutti quei capitali che entravano così massicciamente a sostegno di tale disavanzo delle partite correnti, hanno smesso di farlo.
Questo è in genere il momento in cui si verificano le crisi della bilancia dei pagamenti: il paese che ha accumulato un deficit commerciale perde la fonte esterna che lo ha sostenuto e ha urgente bisogno di recuperare competitività e di assorbire il deficit. Il paese che ha accumulato un surplus delle partite correnti, in cambio, non viene messo sotto pressione per assorbirlo il più velocemente possibile.

La ricetta standard in questi casi, quella che il FMI fornisce quasi sempre, prevede tagli fiscali, per moderare la domanda interna e la svalutazione della moneta per riguadagnare competitività esterna. Il problema per la Spagna è che, senza lasciare l’Unione monetaria, non aveva a disposizione la seconda misura.

E quindi, come si recupera rapidamente competitività relativa, persa in un decennio di differenziali d’inflazione, senza disporre dello strumento standard del tasso di cambio? Con la deflazione salariale. E questa è una decisione politica, anche se travestita di inevitabilità tecnica. In un primo momento, milioni di lavoratori vengono espulsi da quelle aree precedentemente sostenute dai capitali oggi mancanti. Questo di per sé aumenta la pressione sui lavoratori perché accettino salari più bassi. Se questo non è sufficiente, vengono introdotte dure riforme del diritto del lavoro per ridurre ulteriormente il costo del lavoro e ridurre la tutela giuridica dei lavoratori. I milioni di disoccupati là fuori che sono disposti a prendere il tuo posto, ti convinceranno ad accettare di essere pagato meno, lavorare di più, e con meno diritti.

In teoria, la spesa pubblica per la sicurezza sociale potrebbe svolgere un ruolo compensatorio, ma così non è stato. Si parla molto di ” austerità”, tuttavia, non è davvero corretto dire che negli ultimi anni i Governi spagnoli hanno praticato “austerità”, nel senso di una riduzione della spesa pubblica e di riduzione del deficit. E’ successo tutto il contrario. All’inizio della crisi la Spagna partiva da uno dei livelli più bassi di debito pubblico in tutto il mondo: il 35 % del PIL nel 2007. Da allora ha avuto un deficit medio annuo dell’8 % del PIL, un livello pressoché unico in tutta Europa, ben al di sopra del limite del 3% e di qualsiasi criterio che possa definire una politica di risanamento del bilancio.
La Spagna ha triplicato il livello del debito pubblico, ma questo non ha contribuito a ridurre la disoccupazione, tutt’altro: nello stesso periodo in cui il debito pubblico è triplicato, anche il tasso di disoccupazione è triplicato! A fronte di uno stimolo fiscale medio dell’8% negli ultimi otto anni una crescita media negativa (vale a dire recessione) nello stesso periodo è davvero raccapricciante.

Che questo anno l’economia torni a crescere, a fronte di uno stimolo fiscale di quelle dimensioni non è abbastanza per potersi considerare fuori dalla crisi. Se si guarda la situazione con un minimo di freddezza, si vede la storia di un fallimento macroeconomico.
Dal punto di vista di aggiustamento macroeconomico, in Spagna sono successe fondamentalmente due cose. In primo luogo, il debito pubblico ha sostituito l’enorme debito privato degli anni precedenti la crisi. Questa enorme quantità di spesa pubblica non è stata destinata all’economia reale, ma a tappare i buchi nelle banche private.

Figura 1: Debito pubblico e privato in% del PIL annuo

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Fonte: FMI, Aprile 2015.

Ma attenzione: non di banche spagnole, che hanno agito come semplici intermediarie, ma banche di altri paesi della zona euro, la cui esposizione verso la Spagna e verso la sua bolla immobiliare ha raggiunto livelli senza precedenti nella storia europea. All’inizio del 2008, l’esposizione delle banche di altri paesi della zona euro verso le banche spagnole, ossia i capitali privati che entravano nel paese, è stata pari a metà dell’intero PIL della Spagna. La metà dei questi capitali, pari ad un quarto di tutto il PIL spagnolo è venuto da banche tedesche. Ciò significa che la bolla immobiliare spagnola è stato il ricco piatto in cui tutte le banche della zona euro, e di altri paesi in particolare, mangiavano.

Una volta che è esplosa la crisi, però, queste banche, per lo più tedesche, sono state di fatto salvate con denaro pubblico spagnolo che serviva per coprire i loro buchi, attraverso banche spagnole, che fungevano solo da intermediarie. Senza capire questo processo, si continuerà a fomentare una sterile guerra interna in Spagna, in cui i cittadini accusano i politici per i tagli, che accusano le banche per i salvataggi , che chiedono più sacrifici da parte dei cittadini per essere più competitivi, senza rendersi conto che il bottino è finito all’estero.

Il risultato è l’enorme fardello del debito pubblico triplicato in sette anni, che da oggi i cittadini spagnoli devono sostenere,e cominciare a pagare (non importa se insieme o separatamente, con parti del territorio che proclamano la loro indipendenza o meno … ). Qualunque governo emerga dalle elezioni generali , non avrà altra scelta che iniziare la resa dei conti, e, rispetto a tassi di crescita che non potranno mai compensare l’indebitamento medio dei precedenti otto anni, dovrà ridurre significativamente tutti gli investimenti pubblici e aumentare le tasse. La vera austerità in Spagna deve ancora venire.

Il secondo risultato ottenuto è un brusco adeguamento della bilancia delle partite correnti del paese. Questo adeguamento è stato effettuato comprimendo la domanda interna, deprimendo l’economia e distruggendo il potenziale di crescita . La simmetria quasi perfetta tra l’output gap e la bilancia delle partite correnti ci dice che questo adeguamento è stato puramente congiunturale e non strutturale.

Figura 2: Saldo corrente e output gap, % annuale del PIL

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Fonte: FMI, Aprile 2015.

Che cosa significa questo? Semplicemente che la capacità strutturale di migliorare la produttività a livello internazionale non è cambiata, la sua bilancia commerciale rimane chiaramente dipendente dal livello di reddito della popolazione, e che il suo deficit di competitività esterna rimane lo stesso ed è semplicemente legato alla capacità e alla volontà politica di impoverire i cittadini perché abbiano meno potere d’acquisto e quindi importino di meno. Di conseguenza, la posizione patrimoniale netta della Spagna peggiora anno dopo anno, ed è già la seconda peggiore nella zona euro.

Nulla è cambiato in Spagna né nell’unione monetaria europea che possa rendere più sostenibile la permanenza del paese nella zona euro. L’attuale classe politica spagnola nel suo insieme, non volendo mettere in discussione la permanenza del paese dell’unione monetaria, si sta oggi assumendo una tremenda responsabilità. Nessuno è disposto a guardare il cuore del problema, ad aprire un dibattito sui costi e benefici della permanenza nell’unione monetaria, e il livello di discussione economica è davvero deplorevole. Tutto questo non è di buon auspicio per le prossime elezioni generali né per il futuro del Paese.

Non ammettendo che questo sistema di cambi fissi sta strangolando il paese e i suoi cittadini, la Spagna si troverà ad affrontare nei prossimi decenni periodiche crisi di perdita di competitività, che potranno essere risolte solo con più svalutazione interna, con aumento della disoccupazione, con più tagli ai salari e ai diritti, con maggiore impoverimento, e con una emigrazione forzata dei suoi giovani migliori.

Ignorare questa prospettiva molto chiara, in virtù di un qualsiasi tipo di arma di distrazione di massa (che sia la corruzione, che sia la questione territoriale, che sia la storia che “la Spagna va bene “), è la ricetta perfetta per condannarsi ad essere un paese in via di sottosviluppo.

Foto: Adolfo Lujan/Flickr

 
Questo articolo è stato pubblicato qui

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