La Repubblica e quel “dialogo” tra credenti e atei
Anche ieri Repubblica ha dedicato due articoli e un’intervista al dialogo tra credenti e non credenti, dopo lo scambio di lettere tra papa Francesco e il fondatore del quotidiano Eugenio Scalfari.
In prima pagina Repubblica ospita una lettera di don Julián Carrón, ovvero la guida di Comunione e Liberazione dal 2005, anno della scomparsa di don Luigi Giussani. Un intervento che non aggiunge nulla di nuovo. Sorprende comunque che ci venga a parlare di dialogo proprio lui, l’esponente di un movimento ecclesiale che si caratterizza per l’integralismo e l’ingerenza politica. È pubblicata anche una lettera del drammaturgo Guido Ceronetti (Ma io diffido dell’amore universale), più interessante, quantomeno considerato il clima di reciproci e scontati applausi tra fan di Bergoglio e Scalfari. A suo dire, manca il confronto vero, serrato che dovrebbe caratterizzare questi argomenti, che sono dibattuti all’insegna dell’ostentazione retorica dell’”amore”.
C’è anche un’intervista al cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano. Qualche giorno fa, in occasione dell’apertura dell’anno pastorale della diocesi, aveva paventato anche tra i fedeli il rischio di un “ateismo anonimo”. Oggi sul quotidiano appare più conciliante, prospettando un “nuovo umanesimo” e un dialogo con chi non crede, ma confermando il timore per l’indifferentismo religioso. Proprio lui, ciellino che si è distinto per una linea clericale intransigente e per attacchi alla laicità (bollata come “atea”), con il nuovo corso inaugurato da papa Francesco ostenta un’immagine più aperta.
Ma quanto possono essere sincere ed efficaci queste vaghe dichiarazioni di intenti urbi et orbi, seppure in teoria condivisibili? Capiamo la volontà di apertura di Repubblica, quel voler fare “un tratto di strada insieme”, e comprendiamo l’esigenza di valorizzare lo scoop della risposta del papa collezionando interventi di commentatori e speculazioni di contorno con cui vivere di rendita per giorni. Ma questa infornata di teologi e leader ciellini ci sembra un po’ esagerata, specie da parte di un giornale che si presenta come laico e che spesso denuncia proprio il clericalismo fomentato da questi personaggi.
Senza contare che gli autori cattolici in questi momenti di “dialogo” predominano sulle colonne dei giornali, usate più o meno come pulpiti, e manca un efficace bilanciamento laico e non genuflesso. Certamente è auspicabile che credenti e atei si confrontino su un piano di pari dignità per collaborare al bene comune, pur nel rispetto delle reciproche differenze. Ma forse sarebbe più saggio scegliere meglio i compagni di strada.
Il lato positivo è comunque che i non credenti emergono, sia negli atteggiamenti dei vertici cattolici, sia a livello culturale, come il punto di vista alternativo al mainstream degli ultimi tredici secoli. Questo, a suo modo, è un altro scoop, segno di una crescita per importanza e numeri di atei e agnostici a livello globale: un dato che ormai anche la Chiesa non può più ignorare. Al di là delle reciproche e amorevoli grattatine sulla schiena, se si parlasse di una effettiva parità dei non credenti e di rispetto della laicità — a partire dalla Costituzione — sarebbe ovviamente meglio. Quel “dialogo” tanto proclamato non rimarrebbe solo un esercizio di stile che soddisfa l’ego di qualche intellettuale (curiale e non), ma darebbe risultati tangibili a tutti.
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