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La Grande Guerra in due film

Due film meravigliosi per cogliere le caratteristiche di un conflitto drammatico come la prima guerra mondiale negli anni del centenario. 

La grande guerra di Mario Monicelli (1959)

Un capolavoro assoluto, pluripremiato (Leone d’Oro, David di Donatello, Nastri d’argento), grande successo anche all’estero, il film di Monicelli ricostruisce alla perfezione scene di guerra e temi etici e sociali connessi al conflitto, con due interpreti straordinari come Alberto Sordi e Vittorio Gassman, nei panni di due sgangherati soldati che cercano ogni sotterfugio per scampare ai pericoli e si ritrovano, un po’ per caso, eroi nazionali. Grazie a un cast straordinario (che comprende, tra gli altri, la divina Silvana Mangano, Romolo Valli, e una serie di altri attori che segneranno le pellicole italiane) Monicelli e gli sceneggiatori, riescono a raccontare la guerra mescolando toni comici e drammatici, utilizzando un linguaggio neorealista e romantico abbinato a una cura dei particolari storici davvero unica. Le scene di gruppo hanno una resa straordinaria rispetto alle immagini documentarie originali: si vedano le scene alle stazioni e le tradotte, si vedano le preparazioni alla partenza, si vedano le colonne dei soldati che s’inerpicano sulle vette dei monti da presidiare. Straordinarie sono anche le ricostruzioni delle trincee, la resa scenica dell’ambiente, degli armamenti, la sofferenza delle intemperie patite dai soldati.

Anche le scene di battaglia vera e propria vengono costruite con grande attenzione, gli attacchi frontali, le mitragliatrici in posizione difensiva, il fuoco delle armi individuali, delle artiglierie. Tecnicamente, quindi, un film di spessore assoluto. Ma anche le introspezioni sui temi collaterali della guerra sono di grande impatto. Il film, ad esempio, rende alla perfezione le problematiche di commistione tra soldati di provenienza regionale diversa (i molti dialetti), con la lingua italiana che diventa fattore unificante, sottolinea il ruolo vitale della scrittura, con la posta che diventa il filo diretto verso la famiglia, verso casa, verso l’ecosistema dei soldati, il rapporto tra soldati nemici, in una guerra che molti uomini consideravano guerra di poveri contro poveri, di popoli contro popoli, nella convinzione che fosse ingiusta e non voluta dalle masse, ma da governanti o industriali irresponsabili. Non mancano i richiami alla retorica del tempo, evidente nelle celebrazioni del paese di retrovia che accoglie le colonne di soldati di ritorno dal fronte.

Ecco infine il dramma di Caporetto, con la ritirata e il disorientamento dei soldati e l’attestarsi dell’esercito sulla linea del Piave, momento autentico di riscossa nazionale, ultima barriera contro l’estrema penetrazione del nemico sul suolo patrio. Alla fine, Sordi e Gassman, soldati pelandroni e opportunisti, che avevano cercato tutti i modi per salvare la pelle, recuperano un po’ di orgoglio nazionale e vengono condannati alla fucilazione per non aver rivelato il segreto del luogo dove gli italiani cercheranno di gettare un ponte di barche per contrattaccare. Credo che questo film sia un contributo fondamentale per cogliere l’evento guerra nella complessità della sua portata, un’opera preziosa tra il divertente e il commovente, per non dimenticare il sacrificio di centinaia di migliaia di italiani nel conflitto italo-austriaco. 

Orizzonti di gloria di Kubrik (1957)

Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick del 1957, tratto dall’omonimo romanzo di Humprey Cobb, racconta di un generale francese, Mireau, che, nel 1916 si lascia trascinare nell’avventura di un attacco a una posizione impossibile, il formicaio, formidabile bastione posto su una collina in mano tedesca. A convincere Mireau della possibilità di riuscita dell’attacco, la proposta di promozione fattagli da un superiore, il generale Broulard, molto attento alle questioni politico-relazionali a discapito delle effettive condizioni dei soldati: un segnale inequivocabile del distacco tra la classe di ufficiali superiori e il grosso dell’esercito che vivevano la guerra e i susseguenti sacrifici imposti in modo estremamente diverso.

L’attacco al formicaio, viene affidato al colonnello Dax (un monumentale Kirk Douglas) contrario ad un’azione dai costi umani enormi e dalle difficili previsioni di successo, ma costretto a obbedire agli ordini superiori. Il generale Mireau, per incoraggiare i reparti, li passa personalmente in rassegna, punendo un soldato colpito da shock da bomba, elemento che evidenzia nel film come la guerra tecnologica producesse nevrosi e traumi mentali. L’attacco alla postazione tedesca si tramuta in un fallimento totale. Le ondate francesi non riescono a raggiungere i reticolati nemici e oltre un terzo delle truppe si rifiuta o è impossibilitato, dal fitto fuoco nemico, a uscire dalle trincee. Informato del fatto, che il generale ascrive alla codardia dei suoi uomini, Mireau ordina alle batterie francesi di aprire il fuoco sui suoi reparti, ma un capitano di artiglieria si oppone, richiedendo che un ordine così delicato venga inviato per iscritto. Prima che ciò accada, l’offensiva si conclude in un insuccesso. È allora che Mireau, per scaricare le proprie responsabilità, chiede al generale Broulard la possibilità di fucilare cento uomini scelti a caso nei reparti recalcitranti, lavando nel sangue l’ignominia del fallimento. Broulard però, preoccupato da una reazione dell’opinione pubblica nazionale, concede di sottoporre al giudizio di una corte marziale solo tre soldati, pescati uno per ogni compagnia facente parte del fronte d’attacco. La scelta dei comandanti di compagnia ricade sul caporale Paris, vittima di un pessimo rapporto con il tenente ubriacone che guida il suo reparto, sul soldato Ferol, bollato come asociale dai suoi stessi commilitoni e sul valente soldato Arnaud, coraggioso e pluridecorato, scelto dalla sorte.

Della difesa di questi tre uomini sfortunati si incarica il colonnello Dax, già affermato avvocato penalista da civile, che cerca in tutti i modi di scagionarli nonostante la convinzione che la sentenza sia già scritta. Nel corso del processo Dax tenta in tutti i modi di dimostrare che la corte non garantisce il normale diritto alla difesa degli imputati, ma è soprattutto contro Miraud che scaglia i suoi anatemi. Il generale è il vero responsabile dell’ingiusta sorte dei suoi soldati. Dax, che ha raccolto la confessione giurata del capitano d’artiglieria che si era opposto agli ordini di Miraud di sparare sui francesi, la sera prima dell’esecuzione, raggiunge Broulard impegnato in una festa di gala e gli presenta le dichiarazioni firmate. Ma l’esecuzione ha luogo lo stesso. Broulard, infatti, ha interpretato quello di Dax come un gesto per mettere da parte Miraud (che infatti viene “silurato”) e prendere il suo posto, ma non era ciò che interessava al colonnello, che non lo manda a dire al superiore sdegnato.

A fine film Dax, ancora colonnello, lascia, prima dell’ennesima partenza per il fronte, gli ultimi minuti di riposo ai suoi uomini, che, nelle retrovie, cantano una canzone intonata da una profuga tedesca sul palco per intrattenerli. In guerra, gli uomini che combattono non perdono i sentimenti: sono fratelli, anche se li separano gli scontri tra governanti. Il film, che indaga con autentica maestria i rapporti umani in un’organizzazione complessa come l’esercito, che abbina una splendida ricostruzione del fronte e delle scene di guerra, è un indubbio capolavoro da riscoprire. Kubrik ha dato il meglio di se per ricostruire il conflitto sul fronte franco-tedesco e per renderne alcune distorsioni.

 

 

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