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La Chiesa e la finanza: un po’ di storia

La recente enciclica “Laudao sì” di Papa Francesco ha suscitato molti commenti, non tutti favorevoli. In particolare gli “atei devoti” del “Foglio” hanno dato spazio a critiche relative al giudizio sul capitalismo e la finanza ivi contenuto. Non ci sembra dunque cosa inutile scavare nella storia per ricostruire il punto di vista della Chiesa sulla finanza.

Nell’Antico Testamento, la pratica del prestito ad interesse era proibita (“se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse” Esodo 22, 24. “se tuo fratello… cade in miseria ed è privo di mezzi, aiutalo... non pretendere da lui interessi né utili “ (Levitico 25, 35-37) ma con una eccezione:

"Non far pagare interessi a tuo fratello, né per denari, né per cibo, né per alcuna altra cosa che si presti ad interesse. Fa pagare interessi al forestiero, ma al tuo fratello non far pagare interessi". 

Per cui agli ebrei era proibito prestare denaro ad interesse ad altri ebrei, ma potevano prestarne ad interesse ai cristiani ed, in effetti, i primi prestatori di denaro (sarebbe troppo il termine “banchieri”) furono ebrei.

Più complicata era la condizione dei cristiani, sia perché il dettato evangelico implica che ogni uomo è fratello, per cui era proibito sempre prestare ad interesse, sia perché il Nuovo Testamento conteneva prescrizioni sfavorevoli all’usura, forse meno chiare (come nel caso di Luca 6,35) ma, in compenso, prive di eccezioni. Prescrizioni poi ribadite dai concilii di Nicea (325) e Cartagine (398).

Si badi che, per la morale cristiana, come per il pensiero di Aristotele, l’usura non è pertinente all’entità dell’interesse, ma è una “forma di guadagno contro natura”, perché il denaro è pensato per lo scambio e solo per lo scambio, dunque è costitutivamente sterile e non può creare altro denaro, per cui, l’interesse pagherebbe il tempo per il quale è stato offerto, ma il tempo è di Dio, per definizione. Dunque, nessun interesse è lecito.

Il concilio Laterano III, nel 1179 comminò la scomunica per gli usurai, vietandone la sepoltura in terra benedetta se non avessero restituito l’ingiusto guadagno prima di morire e il Concilio di Vienna (1311-12) rincarò la dose dichiarando eretico chiunque sostenesse non essere peccato l’usura.

E la cultura del tempo non era di diverso avviso: Dante, nel XVII canto dell’Inferno, colloca gli usurai nel girone riservato agli avari. Per il tempo, l’avarizia, uno dei sette peccati capitali, includeva anche l’avidità e, per essa, il desiderio di guadagnare più di quanto fosse necessario a vivere nel proprio stato sociale.

Giovanni del Biondo dipinse San Giovanni Evangelista che calpesta l’avarizia, la superbia e la vanagloria. Ed ancora nel 1777, un decreto del Parlamento parigino vietava ogni prestito ad interesse, poiché l’usura è proibita dai sacri canoni ed è solo dopo la rivoluzione, nella discussione sul codice civile, che si ammetterà un interesse lecito, purché contenuto entro il 5%.

D’altro canto, però, i pontefici avevano fatto uso continuo dei prestiti dei finanzieri, occultati da anticipi sul cambio di valuta: pertanto il prezzo pagato per il servizio compensava non l’interesse, ma il lavoro del cambiavalute.

Ma il pensiero della Scolastica (ed in particolare Tommaso d’Aquino) aprì un passaggio sostenendo che l’interesse è lecito quando vi sia rischio di perdita (danno emergente) o mancato guadagno (lucro cessante) e sono autorizzati anche i prestiti ad interessi ai principi ed allo Stato (dunque anche al Papa in quanto sovrano). Successivamente lo saranno anche i guadagni da società commerciali costituite da “soci d’opera” e “Soci di capitale” e, di conseguenza, diventavano leciti anche gli interessi da deposito presso un banchiere, perché intesi come “partecipazione all’impresa”.

Anche se la Chiesa continuò a riprovare la deprecata pratica del prestito ad usura (ancora nel 1745, con l’enciclica “Vix pervenit” Benedetto XIV tornò a condannarla), nella sostanza si adattò a conviverci, magari preferendo banchieri ebrei come i Rothschild, giusto per avere meno scrupoli.

Gli effetti non si fecero attendere: se, da un lato, questo “sdoganò” nei fatti la finanza, quindi consentì lo sviluppo capitalistico e, con esso, il processo di modernizzazione e la rivoluzione industriale, dall’altro contribuì a spingere l’attività finanziaria sul crinale di teorizzazioni etiche, poi tradotte in formule giuridiche, sempre più sofisticate e criptiche, che furono una delle ragioni del sorgere di quella “gente d’espediente” più volte criticata nella letteratura d’epoca. Ma, soprattutto ci furono conseguenze sociali: l’autorizzazione morale al prestito ad interesse aveva escluso il prestito alla “gente minuta” che avrebbe dovuto godere gratuitamente dell’ “aiuto fraterno”, per essere riconosciuta nei prestiti a sovrani e mercanti (di alto livello ovviamente), ed autorizzata anche per i depositi bancari (che, si immagina, fossero fatti soli da classi elevate). Ovviamente, di finanzieri dediti al gratuito ”aiuto fraterno” se ne videro assai pochi e la finanza si concentrò sui grandi affari, con il risultato di cementare il blocco di interessi delle classi dominanti. A favorire quella cristallizzazione delle oligarchie, fu in primo luogo la finanza che qui in Italia aveva i suoi natali. Alla gente minuta si aprì la strada del Monte di Pietà, che, peraltro praticò anche esso prestiti ad interesse (è di lì che nasce il Monte dei Paschi di Siena e altre banche simili).

Ed è rilevante anche un altro aspetto: aver teorizzato la non pertinenza dell’usura all’ammontare degli interessi, ebbe la conseguenza, una volta autorizzato l’interesse in sé, di non prestare attenzione per molto tempo all’entità degli interessi richiesti, e per una definizione giuridica dell’usura in riferimento alla loro entità, si dovettero aspettare alcuni secoli.

Ovviamente, questo si risolse in un vantaggio secco per i banchieri che acquistarono un peso sempre maggiore anche in sede politica. In qualche modo, i banchieri furono la spina dorsale dell’oligarchia che era venuta formandosi.

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