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L’uomo fugge dal mare

Il lavoro marittimo pur essendo poco conosciuto è indispensabile sia allo sviluppo della globalizzazione che, ovviamente, allo sviluppo sociale in generale. E questo perchè circa il 90% delle merci, che circolano sull’intero pianeta, viaggia via mare. L’intensificazione dei traffici, le leggi sull’inquinamento, la riduzione del personale e l’internazionalizzazione degli equipaggi hanno portato allo sviluppo di vari problemi all’interno di quella micro-società chiamata nave.

Si parte dalla lontananza dalla famiglia che è vista da sempre come un problema base di questo lavoro, per poi passare alla solitudine, nata con la multietnicità degli equipaggi, per giungere poi alla precarietà del lavoro che è anch’essa, mediamente, stata, da sempre, una costante.

Sul mare non mancano le nuove schiavitù che portano anche a suicidi. Inoltre la presenza di armatori senza scrupoli ha spinto alcune popolazioni del terzo mondo a preferire di vivere nella povertà piuttosto che lavorare sul mare.

Un ulteriore problema è dipeso dal continuo aumento degli incidenti marittimi, il cui incremento dipende essenzialmente dalla riduzione degli equipaggi, dall’accellerazione dei traffici commerciali e dall’aumentato numero di navi. E tutto questo non fa altro che accentuare stress ed affaticamento, che portano alla fine all’incidente. Diversi studi hanno dimostrato che le attuali leggi, da cui si dipartono le tabelle di armamento di molte navi, non sono adeguate. Purtroppo questo problema non è stato fino ad ora affrontato come si dovrebbe.

Come in molte cose anche qui esiste un dulcis in fundo, la famosa goccia che fa traboccare il vaso.

Qual è questa goccia?

E’ la criminalizzazione degli equipaggi, che ha dato un definitivo impulso alla fuga dell’uomo dal mare. Da quando i marittimi, per inquinamento, vengono sottoposti alla pressione della giustizia internazionale questo lavoro ha perso il suo fascino ed è divenuto poco ambito.

Prima dell’avvento dell’attuale crisi economica stava nascendo nel mondo il problema di reperire equipaggi. E questa mancanza di personale veniva vista come un blocco allo sviluppo dei traffici globali. Senza l’uomo di mare la merce non potrebbe viaggiare e così terminerebbe miserevolmente lo sviluppo della globalizzazione di mercato.

Una soluzione al problema lo ha dato, quasi inconsapevolmente, la Chiesa durante l’ultimo convegno dell’Apostolato del mare, tenutosi in Polonia, in cui i convenuti si sono promessi di spingere verso un umanesimo marittimo.

Parallelamente l’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale), in accordo con armatori e sindacati internazionali, ha dato il via alla campagna "GO TO SEA", che dovrebbe servire a convincere i giovani ad intraprendere la carriera marittima.

Un problema che non abbiamo considerato in precedenza è Il fenomeno delle navi abbandonate. L’armatore non riesce a pagare i debiti, un giudice, così come si pignora un mobile, ordina il sequestro della nave, senza considerare che su quella ci sono persone che, lontano anche mille miglia, hanno famiglie da mantenere. E così inizia il tormento sia per i marittimi, che sono costretti senza stipendio a restare prigionieri della nave, che per le famiglie, che a quel punto non hanno più un sostegno economico.

Una cosa appare chiara: i pesi sull’uomo di mare, pirateria inclusa, sono diventati talmente tanti che è giunto il momento di guardare in profondità i problemi di questa Gente, senza la quale il mondo non potrà andare da nessuna parte.

Per ulteriori informazioni sull’argomento clicca QUI QUI, e QUI

 

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