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L’orgoglio iraniano e il mistero degli attentatori

Sauditi ispiratori - “I petardi odierni non influenzeranno la volontà del popolo” ha sentenziato ieri la Guida Suprema Khamenei al cospetto di centinaia di braccia sollevate e agitate contro Stati Uniti e i loro servi sauditi.

 In tal modo i presenti, molti dei quali erano basij e pasdaran, additavano direttamente queste nazioni quali mandanti del duplice assalto, e del terzo sventato nella capitale iraniana. Facendo capire che gli esecutori e la sigla dell’Isis siano solo pedine manovrate nei nuovi “Grandi giochi” in corso sullo scacchiere mediorientale. L’attacco, che comunque ha fatto sedici vittime (fonte Teheran Times) di cui sei sono membri dei commando jihadisti, viene ridicolizzato dall’anziano ayatollah come una provocazione che non impensierisce il Paese. Mentre il ministro degli Esteri Zarif, intervenendo a commento della concitata giornata vissuta dalle forze di sicurezza, dalla politica, dalla cittadinanza ha puntato il dito direttamente sull’Arabia Saudita. Ha ricordato commenti nient’affatto privi di significato esternati da figure di spicco come Mohammed Bin Salman, il giovane rampollo della dinastia Saud che ricopre nientemeno che il dicastero della Difesa. Settimane fa un suo twitt parlava di “battaglia” per l’influenza regionale da condurre all’interno dell’Iran. Cosicché i sanguinosi attacchi ai due luoghi simbolo della Rivoluzione Islamica sembrano una diretta conseguenza di certe idee palesate dal principe. Queste esternazioni non sono finite: anche il ministro degli Esteri di Riyad, Adel al-Jubeir ha accusato il regime degli ayatollah di sostenere i fomentatori del caos, ripetendo il concetto espresso dal suo sovrano contro l’emiro al-Thani: il Partito di Dio libanese e il movimento palestinese Hamas sono organizzazioni terroristiche e chi le sostiene è considerato un regista dell’instabilità regionale. Teorie molto apprezzate a Washington e Tel Aviv e secondo parecchi direttamente ispirate nell’attuale fase.

Incrinare le divisioni interne - Infatti lo scompiglio creato nel grande Paese sciita a neppure un mese da elezioni sentite e partecipate dalla popolazione, seguono il tracciato ben meditato di acuire contraddizioni esistenti. Quelle del non nuovo contrasto fra conservatori e riformisti già dal 2013 aggirato dalla proposta politica di Rohani, che da moderato pragmatico ha attirato sul suo progetto la componente dell’Onda verde, repressa e incarcerata nel 2009. I conservatori, religiosi e laici, che si sono stretti attorno al nuovo astro dell’orizzonte clericale Ibrahim Raisi ora sono in prima fila per richiamare le Istituzioni ferite dall’attacco inedito a reagire. A reagire con la forza. I pasdaran, sia quelli intervenuti all’interno dell’edificio del Majlis, sia quelli che pattugliano molte zone della capitale sono i primi accorsi attorno alla Guida Suprema, richiedendo via libera a una vendetta. Questo significa che il governo Rohani, i suoi ministri degli Esteri e della Difesa, dovranno fare i conti con una piazza che chiede una ripresa di un’azione militante (e militare?) contro l’imperialismo statunitense. Non si tratterà di occupare ambasciate, come nei giorni caldi del 1979, né di assaltarle, com’è accaduto a quella saudita in occasione dell’esecuzione dell’imam sciita al-Nimr, ma la spinta del “partito combattente” può diventare una spina nel fianco del presidente moderato che vorrebbe parlare di commercio e sviluppo, non certo di guerra. La politica, però, spesso non si sceglie e la geopolitica ancora meno. Eppure quando quest’ultima ha a che fare con la sicurezza nazionale taluni fronti, come i due gruppi opposti dell’attuale panorama iraniano, anziché dividersi possono unirsi. Certo, questo non appiana i problemi, primo perché si potrebbe prospettare addirittura un conflitto (il terzo) nel Golfo che inverte completamente la rotta di crescita e sviluppo economico. Secondo: a Teheran si creerà un aperto contrasto fra chi deve decidere cosa. Il governo è formato dagli uomini di Rohani che hanno vinto le elezioni, ma gli sconfitti nell’urna vorranno far pesare le loro competenze che in campo militare sono di totale appannaggio appunto del partito Pasdaran.

Chi sono gli attentatori - Attorno alla questione della sicurezza e degli apparati della forza, gli analisti, che pure non escludevano l’ipotesi di un attacco al Paese sciita, lanciano valutazioni sulle cellule del terrore targate Isis. Sugli attentatori rimasti in vita e fermati trapela ancora poco. S’è parlato di elementi che parlano in arabo con inflessione libica, altre fonti hanno ipotizzato un’etnia kurda. I guerriglieri kurdi propriamente detti presenti nei territori del nord-ovest iraniano, non sono organizzati come altre componenti presenti in Turchia (Pkk), Siria (Ypg), Iraq (peshmerga) e mai si prestano a collaborazioni con l’Isis, che invece combattono nelle aree sotto il controllo del Daesh. Né finora hanno mostrato tatticismi di unirsi con nemici per attaccare un altro avversario.

Dunque, gli attentatori di Teheran possono essere miliziani venuto da fuori e sfuggiti ai filtri della Vevak iraniana. Potrebbero essere elementi selezionati e addestrati da taluni Servizi, Mossad e Cia nel genere sono specialisti e non è un segreto che questo tipo di operazioni, ovviamente con altre sigle o senza rivendicazione alcuna, siano state praticate in varie epoche su diversi scenari.

Potrebbero essere quegli oppositori al regime degli ayatollah , sconfitti durante lo scontro interno dalla Rivoluzione Islamica nel triennio 1979-81, e dediti prevalentemente al terrorismo come i mujaheddin del popolo. Alcuni loro attentati uccisero personaggi di spicco dell’establishment oltreché migliaia di militanti islamici. Combattuti e duramente perseguitati anche per aver prestato collaborazione alle truppe irachene durante la guerra d’aggressione lanciata contro l’Iran da Saddam Hussein, nel 1985 in seguito ad accordi fra il raìs iracheno e la Comunità internazionale, trovarono sistemazione in un’area a 90 km a nord di Baghdad , denominata Camp Ashraf. Lì, a seconda delle circostanze, venivano blanditi e repressi da quei particolari protettori che erano le truppe statunitensi, durante l’occupazione del Paese, ed erano ampiamente chiacchierati per l’addestramento ricevuto dalla Cia. Tutto ciò mentre il clan familiare che dirige il gruppo (Massoud e Maryam Rajavi) si stabilivano all’estero. Dal 2003 Massoud risulta in clandestinità, la moglie s’è trasferita prima a Parigi e da alcuni anni negli States. Coi tempi che corrono questi “guerriglieri” potrebbero tornare utili al conflitto delle Intelligence che la nuova fase mediorientale sta vivendo.

Enrico Campofreda, 8 giugno 2017 

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