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L’intervento in Libia e il ruolo di Sigonella. Intervista a Antonio Mazzeo

Lo scenario libico e le trasformazioni della guerra globale. 

Pubblichiamo un'intervista ad Antonio Mazzeo - militante ecopacifista ed antimilitarista - in seguito alla decisone del governo italiano di mettere a disposizione delle forze armate Usa la base militare di Sigonella per l'utilizzo di droni da dispiegare nelle operazioni in Libia. L'esecutivo afferma che si tratta di un utilizzo a scopo difensivo, quindi i droni non avrebbero funzioni di attacco. Il ministro Gentiloni esclude che si tratti di un "preludio a un intervento militare" italiano in Libia.
 
Nei prossimi giorni partirà un’operazione congiunta Italia-Usa per far decollare dalla base aerea di Sigonella 11 hellfire armati con l’obiettivo di colpire la Libia. Sono ancora in corso trattative tra i due Paesi per definire le regole d’ingaggio dell’operazione, ma è palese che Sigonella torna ad essere protagonista nella scena internazionale per quanto riguarda gli assetti politico-militari. Come si configura questa operazione e quali sono gli intenti?
 
Trovo una mistificazione la questione delle regole d’ingaggio. Innanzitutto perché i droni di cui stiamo parlando non sono nuovi a Sigonella, in quanto già utilizzati durante i bombardamenti della Libia avvenuti nella primavera del 2011 e successivamente, nel 2013, per compiere una serie di operazioni in buona parte del continente africano. In secondo luogo perché si tratta di armi da first strike, che imbarcano missili aria-terra e sono utilizzati per colpire prima possibile gli obiettivi, cercando di annientare completamente le difese avversarie. Si tratta di armi d’attacco e quindi non si capisce il senso di definire le regole d’ingaggio, se non per edulcorare il dibatto, a livello parlamentare e mediatico, rispetto all’utilizzo di armi di distruzione. Inoltre, l'utilizzo dei droni per colpire la Libia fa parte di un accordo già operativo, rispetto alle modalità di intervento in quell’area: ormai è noto a tutti quanto siano stati più volte utilizzati in questi ultimi anni, dall’esercito statunitense e non solo, in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Mali ed in altre zone di guerra proprio in funzione di attacco.
 
La Libia torna ad essere nuovamente un teatro di guerra internazionale, come lo è stata nel 2011 e negli anni ’80 del secolo scorso. Ci troviamo adesso in una situazione completamente diversa, in un territorio conteso ed atomizzato dai conflitti interni, ma soprattutto dalle forti ingerenze esterne, sia da parte del Daesh sia da parte delle “potenze” internazionali. Che scenari si aprono, dal punto di vista geopolitico, per la Libia e per tutta l’area Euro-Mediterranea, soprattutto nel momento in cui è evidente il fallimento dell’azione diplomatica dell’Onu, palesatosi nell’ulteriore rinvio, da parte del Parlamento di Tobruk, del voto sul governo di unità nazionale?
 
Il tentativo di formare un governo unico, tra i due governi di Tripoli e Tobruk, è sicuramente fallito e con esso fallisce miseramente tutta l’operazione politico-militare del 2011. Un conflitto scatenatosi anche su pressione di gruppi industriali e petroliferi francesi che miravano a strappare all’Italia il controllo di alcune zone della Libia. Per comprendere meglio la situazione libica non bisogna dimenticare come si sono nate e si sono rafforzate in questi anni le formazioni legate allo Stato Islamico. Chi oggi sta utilizzando, attraverso una sorta di franchising del terrore, la bandiera nera del Califfato sono gli stessi gruppi, fazioni ed armate militari che dopo il 2011 erano al servizio delle grandi corporation del petrolio proprio con la funzione di sorvegliare e proteggere gli impianti. Il processo di espansione dell’Isis in Libia è quindi del tutto simile a quello messo in atto in Siria ed Iraq.
Rimanendo nel quadro Euro-mediterraneo l’Italia quando, prima del 2011, poteva realmente giocare un ruolo di ponte tra il continente africano e l’Europa, in virtù dei rapporti consolidati che esistevano tra il regime di Gheddafi e l’establishment politico, militare ed economico del nostro Paese in Libia. Oggi si assiste ad uno scimmiottamento da parte del governo Renzi di questi rapporti, nel tentativo di riguadagnare un ruolo strategico. A questo si deve la messa a disposizione di Sigonella per tutte le operazioni militari aeree, ma anche il proporsi a guida di una coalizione internazionale che ha messo in agenda anche operazioni di terra. Si tratta, quest’ultima, di una scelta suicida, che rischia ulteriormente di peggiorare la situazione in Libia e sovraespone un Paese come l’Italia, che già di fatto ha perso un ruolo egemonico in quell’area e potrebbe solamente subire gli effetti devastanti di un’ulteriore guerra.
 
Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi stiamo assistendo ad una nuova escalation della guerra globale. Una guerra che si è completamente trasformata, sul piano politico, finanziario e geo-militare, rispetto a quella che abbiamo conosciuto nella fase dell’egemonia statunitense post Guerra Fredda. In che termini possiamo parlare di una nuova fase della guerra globale e quali sono le sue caratteristiche?
 
La guerra globale ed asimmetrica sta diventando sempre più una guerra totale. L’esempio più lampante è quello delle migrazioni, che aumentano proporzionalmente all’intensificarsi del tenore dei conflitti e rappresentano l’effetto più diretto delle guerre compiute, soprattutto nel continente africano, per assolvere ad interessi geo-strategici e per il controllo delle risorse. Non è un caso che l’operazione militare in Libia sia stata preceduta dalla creazione di un blocco navale, sotto il controllo dell’Unione Europea, che ha come obiettivo congiunto la guerra alle migrazioni e la preparazione dell’escalation bellica.
E’ chiaro inoltre che la guerra cambia il suo modo di essere e di agire anche in virtù delle trasformazioni tecnologiche. La guerra contemporanea è una guerra automatizzata e la conduzione delle guerre vede sempre più crescere l’importanza delle macchine-robot, dei droni e di una serie di altri strumenti bellici che agiscono sia sul piano stategico-militare sia nella gestione sul campo dei conflitti. Nei prossimi anni questa “delega” alle macchine diventerà ancora più pregnante. Dall’altro lato abbiamo l’affermazione di una NATO completamente diversa da quella che abbiamo conosciuto nell’immediato dopoguerra. Una NATO che ha 28 Paesi aderenti, ma una serie di alleati, nel mondo arabo, nel sud-est asiatico ed in Oceania, che ne amplificano la capacità politica e militare. E’ proprio grazie a questa “NATO sostanziale”, che va ben oltre quella “formale”, che l’Alleanza Atlantica ha assunto sempre più caratteristiche di “pronto intervento” in questi ultimi anni, che le consentono di intervenire in qualsiasi parte del mondo, con strutture ed appoggi logistici sempre più potenti. Tutto questo accentua di gran lunga i rischi reali di conflitto, che vengono ancora di più amplificati dal ritorno del nucleare nelle strategie militari.
 
Intervista a cura di Global Project, pubblicata il 25 febbraio 2016 in
http://www.globalproject.info/it/in...
 
Foto: Brenn/flickr
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