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L’insostenibile pesantezza del British Welfare

Anno 1942. Mentre l’Europa era impantanata nel conflitto più sanguinoso che l’umanità ricordasse, l’economista inglese William Beveridge diede inizio alla sua personale battaglia contro i cinque mostri che secondo un rapporto da lui stesso redatto, erano le piaghe della società britannica. Indigenza, malattie, ignoranza, squallore, indolenza. Quel rapporto fu la base per la creazione di un sistema di Welfare che costituì un vanto per l’intero paese per più di mezzo secolo.

 

Anni duemila. A leggere diverse testate britanniche, il sistema Welfare made in UK, lungi dall’essere un vanto è diventato ora qualcosa di imbarazzante e ingombrante.

Senza che vi sia bisogno di conoscere troppi dettagli legislativi di questo sistema, per chi si trova a dover trascorrere un periodo nella terre di Her Majesty, non è difficile iniziare a poco a poco a capire qualche meccanismo.

Prendiamo ad esempio la più classica delle procedure: l’iscrizione ad un corso di lingua inglese per stranieri. Dai uno sguardo ai prezzi molto spesso esorbitanti, sei lì per abbandonare tutto e poi ti arriva uno strano consiglio: “Il corso se sei disoccupato o part- time puoi fartelo pagare dallo stato”. Fantastico. Lo stato può pagare a me, cittadino straniero, un corso di lingua.

Le sorprese aumentano quando intraprendi la ricerca di un lavoro. Anche qui, se non lo trovi, ti giunge la voce. “Non sai che se non hai lavoro lo stato ti dà un sussidio e ti paga la casa?” . Per un’italiana come me, abituata ad un paese in cui l’unico ammortizzatore sociale per i disoccupati è la sacra famiglia, suona tutto come fantascientifico e meraviglioso; lo suona ancor più quando in una conversazione mi viene chiesto a quanto ammonti il salario minimo garantito in Italia e mi trovo costretta a rispondere candidamente: “A zero”.

Ma è tutto così positivo nel meraviglioso mondo del Welfare britannico?

Per i cittadini britannici decisamente no. Nel 2012 il 74% dei cittadini, senza troppe differenze di estrazione sociale e appartenenza politica era concorde sulla necessità di dare un taglio al sistema dei benefit. Il 64% ancora affermava come tale sistema avesse generato un perverso circuito di dipendenza andando ad ingrandire e rafforzare le membra del quinto mostro che Sir Beveridge si era proposto di annientare, l’indolenza. 

Già, perché se lo stato può pagarmi la casa se non lavoro, perché mai dovrei cercarlo, l’impiego? ll risentimento per coloro che riversano tutto sulle spalle dello stato aumenta in un periodo di crisi, quando iniziano a comparire in cronaca articoli allarmanti su imminenti invasioni di diseredati greci sulle coste Britanniche e notizie di falsi invalidi e finti poveri, come quelli che conosciamo in Italia.

Finti poveri come la signora Heaton e famiglia. Sei figli a carico – più fai figli, più soldi lo stato eroga - e casa pagata dal British Council dotata di tutti i più moderni comfort, che però alla signora non basta, visto il numero della prole. Difficile immaginare che William Beveridge pensasse ad una tale soluzione mentre compilava il suo rapporto negli anni ’40, scrive il Daily Mail. Il sistema Welfare britannico è quindi così ingenuamente generoso? Il tutto, leggo, dipenderebbe dal punto di vista che di adotta; se si analizza la spesa sociale totale, lo UK rimane addirittura indietro all’Italia. Se però invece si considera la porzione di spesa amministrata dal governo centrale, senza tener conto di ciò che viene speso dalla parte privata, la classifica stilata dall’Eurostat si capovolge e il paese sfreccia in cima. Questo è quello che leggo su molti quotidiani. La necessità di riformare un sistema diventato cieco, burocratico e inefficace.

Accanto alle opinioni della stampa, c’è quello che vedo tutti i giorni. Al college, in una classe di 20 persone io e uno studente polacco siamo gli unici a dover pagare le fees. Mi è stato detto che i fondi stanno finendo, quindi se non sono una disgraziata, devo pagare. Ma tutti gli altri non pagano perché sono rifugiati politici dall’Afghanistan; madri single sedotte e abbandonate dal Pakistan. Over 50 dall’india con 3 figli da mantenere. Tutto giustissimo. O forse no. Perché poi scopri che la rifugiata dall’Afghanistan è sposata con un ministro afghano; che la ragazza madre non è separata, ma si finge sola e furbamente si è trasferita in un’abitazione diversa da quella del compagno per ricevere il sussidio, dopo essere rimasta incinta; che l’indiana ha un marito che fa il tassista in nero.

In alcuni blog italiani si leggono tantissimi commenti a favore al reddito di cittadinanza proposto da Grillo. A chi lo critica, le risposte dei giovani come me sono furiose e si citano Francia, Germania, Gran Bretagna, come esempi da seguire. La soluzione migliore come quasi sempre, sta nel mezzo. Da cittadina italiana momentaneamente espatriata nel Regno Unito mi pare di avere avuto, per ora, una conoscenza di due casi estremi. Troppo.

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