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L’economia “apocalittica” di Giulio Sapelli

“Un racconto apocalittico. Dall’economia all’antropologia” è un saggio eclettico che può guarire le menti dal virus del pensiero unico liberista dei super ricchi (www.brunomondadori.com, 2011).

Giulio Sapelli è uno storico dell’economia dell’Università di Milano che ha insegnato in molte università in Europa e nel mondo. Per Sapelli il libero mercato è “un insieme di azioni regolate dalla reciprocità, oppure dal clientelismo, oppure dalla minaccia della forza, in società dove la compulsività della legge e delle regole è assai scarsa. Contestualmente a questo processo di reificazione è sempre attiva nella società una elaborazione soggettiva e intersoggettiva della divisione del lavoro sociale attraverso i mondi simbolici” che rappresentano il passato.

Per fortuna, nonostante tutta l’invadenza e l’aggressività dell’avidità finanziaria e delle multinazionali, l’economia del baratto e del dono è riuscita a sopravvivere in alcune nazioni, culture e sottoculture. Naturalmente la cultura del dono deve essere intesa come obbligazione ai vantaggiosi scambi reciproci e non come pratica altruistica (Marcel Mauss). Probabilmente molte nazioni avrebbero oggigiorno molto da guadagnare dal baratto e dallo scambio diretto di alcune materie prime senza passare dalla mediazioni degli scambisti d’azzardo delle borse internazionali.

D’altra parte il docente milanese sottolinea che il problema della crescente concentrazione della ricchezza è anche legato alle sempre più frequenti alleanze matrimoniali tra persone ricche e molto ricche (soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito e ultimamente anche in Italia).

Per quanto riguarda l’etnoconsumerismo si può affermare che i comportamenti quotidiani e i consumi simbolici sono diventati il prodotto di una maggiore “mobilità delle popolazioni, le quali diffondono attitudini al consumo sempre più meticcianti” (p. 89). Non esistono più culture stabili perché “L’uomo che sogna è soprattutto un essere vivente, e tutto ciò che egli vede acquista vita. È il regno di Proteo, ovvero della cosa che si trasforma per una forza interiore” (Simone Weil).

In ogni caso il vantaggio di una gestione liberale dell’economia non risiede solo nell’aumento della produttività del lavoro e si manifesta anche nella progressiva educazione civile delle persone. Però bisogna superare la vecchia concezione religiosa del capitalismo: ancora oggi “il capitalismo serve essenzialmente alla pacificazione delle stesse ansie, afflizioni e inquietudini alle quali davano risposta le cosiddette religioni” (Walter Benjamin, “Il capitalismo come religione”, 1921).

Infine Sapelli dedica le ultime pagine del suo racconto saggistico all’Italia dei ritardati culturali, che negli ultimi cento anni è stata pluridisastrata da classi dirigenti insipienti che non hanno mai voluto rieducare la popolazione. In Italia le “classi dirigenti e non dominanti” non sono mai esistite e la mancanza di responsabilità e di doveri sta annientando la popolazione sempre meno lentamente.

Per ulteriori approfondimenti attraverso interviste, articoli e informazioni biografiche, professionali e bibliografiche c’è l’interessante sito del celebre studioso: www.giuliosapelli.it.

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