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L’autodeterminazione di papa Francesco

Ormai è quasi un dato di fatto: il papa fa notizia, ma fa notizia perché non fa il papa. Perché quando fa il papa dice cose che possono piacere a pochissimi, e i mezzi di informazione nostrani non hanno il coraggio di mostrarlo. Non osano andare contro l’immagine che i loro lettori si sono fatti del papa — e che si sono fatti proprio grazie alla discutibile informazione fornita da quegli stessi mass media.

Capita così, per esempio, che nel disinteresse generale il papa scriva, nella ricorrenza di san Francesco Saverio, un messaggio per un importante evento cattolico, la Giornata mondiale del malato. Si è rivolto ai “professionisti e volontari nell’ambito sanitario” e a chi è “in diversi modi unito alla carne di Cristo sofferente”. Non che ci si possa aspettare una risposta plausibile in merito all’esistenza del male da parte di Francesco, quando non ci riescono nemmeno i più autorevoli teologi cristiani. E tuttavia, il papa non va sostanzialmente oltre un banale testo consolatorio (“la fede permette di abitare la sofferenza”) e l’ennesimo appello alla pazienza di Giobbe. Bergoglio invita anche con forza a stare a fianco dei malati, e non c’è ovviamente nulla da ridire in questo meritorio impegno. Ma va ricordato che non è certo unapeculiarità cattolica o religiosa.

Il sociologo Franco Garelli ha recentemente scritto che lo stile del papa è improntato al ricorso a “iperboli sorprendenti”. E non è l’unico a formulare valutazioni simili. Sarà. Uno che dice “se non vai a messa perché sei stanco sei scemo” può far piuttosto pensare a un bambino delle elementari. Talvolta sembra che la “sorpresa” di tanti commentatori sia molto prossima all’ammirazione per le parole di Chauncey Gardiner, il protagonista del film Oltre il giardino magistralmente interpretato da Peter Sellers. Ma quella era fiction. Tornando al mondo reale, la mia personalissima opinione è che papa Francesco stia scientemente seguendo l’esempio di un altro sudamericano di grande successo internazionale, l’ex presidente uruguaiano Pepe Mujica: parole e gesti molto semplici, ma volutamente esemplari. Parole che sono proprio quelle che i rispettivi popoli (quello cattolico e quello di sinistra) vogliono sentirsi dire, stanchi di teologi e super-intellettuali contorti. Give the people what they want.

Tanto che, quando il papa dice cose che collidono con l’immagine empatica che gli organi di informazione hanno diffuso, si guardano bene dal darne notizia. Ne è una riprova proprio il messaggio per la Giornata del malato. Il testo contiene infatti anche un attacco pesante al mondo laico: “Quale grande menzogna si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla “qualità della vita”, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!” Poiché si trova collocata subito dopo un invito all’assistenza, il messaggio implicito è evidente: i laici, parlando di qualità della vita, lasciano al loro destino i malati e li inducono a pensare di farla finita.

Le gerarchie ecclesiastiche sono ovviamente libere di pensarla come vogliono in merito alla durata della vita, prolungandola infinitamente sia in questo mondo, sia in un aldilà tutto da dimostrare. E sono altrettanto libere di orientare i loro fedeli in questo sconfinato orizzonte. Non dovrebbero però imporlo a chi cattolico non è. La libertà degli atei e degli agnostici risiede proprio nel poter scegliere quale senso dare alla propria vita, l’unica che è data loro conoscere qui e ora. È il concetto di autodeterminazione, quello che è completamente assente dalle parole di Francesco.

Non esiste alcuna autorità atea che impone di prolungare indefinitamente l’esistenza. Ci sono tanti non credenti che lavorano per allungarla per quanto è possibile, impegnandosi nella ricerca scientifica e nella stessa attività medica. Ce ne sono ancora di più che semplicemente lo desiderano. Un numero ancora maggiore vorrebbe vivere solo una vita che è degna di essere vissuta, vorrebbe forse avere anche la possibilità di dire “basta”, se e quando la qualità della vita si riduce a livelli indegni. Ma il confronto numerico non è assolutamente importante: è invece fondamentale la facoltà di scegliere ciò che si ritiene sia meglio per sé.

È questo che il papa dimentica, e che sulla scia del suo mantello dimenticano tanti, troppi giornalisti e parlamentari. Dimenticano anche l’opportunità di una disciplina del testamento biologico, mentre di una legge sull’eutanasia non si vuole nemmeno discutere. Nel frattempo la tradizione del dolorismo, che traspare anche nel messaggio papale, continua a provocare danni concreti a persone in carne e ossa, quando ci si ritrae davanti a un’anestesia o quando le cure palliative diventano un po’ troppo palliative. Cure che non dovrebbero mai essere imposte a chi non le vuole, e a chi non vuole provare alcun dolore “gratuito”, preservando fino in fondo la propria dignità. La loro voce è però soffocata dal clamore mediatico riservato a così tante banalità di facile consumo. La loro sofferenza sembra non interessare nessuno.

Un sistema sanitario non si può basare sulla sofferenza umana come segno di benevolenza divina. Se tutti pensassimo un po’ più spesso alle vite reali, oggi vivremmo in un paese migliore.

Raffaele Carcano, segretario Uaar

Questo articolo è stato pubblicato qui

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