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L’assedio di Waco: storia di una setta, di un leader carismatico e di un plagio di massa

Il tragico assedio di Waco, avvenuto nel 1993 negli Stati Uniti, ha messo in luce cosa può succedere in una setta cristiana apocalittica che imbraccia le armi. Micaela Grosso inquadra la questione partendo dalla serie di Netflix dedicata al caso sul numero 5/2023 di Nessun Dogma

I leader religiosi di sette che hanno fatto una brutta fine rappresentano, com’è purtroppo noto, una triste dimostrazione dei pericoli celati dall’abuso di potere e dalla manipolazione all’interno dei contesti religiosi. Questi individui, cui va addossata la maggior parte della responsabilità, sono spesso uomini carismatici e abili nell’attirare fedeli creduloni, con i quali riescono non di rado a creare un forte legame di dipendenza emotiva e spirituale.

Accade poi, puntualmente, che in seguito tradiscano la fiducia dei loro seguaci e distorcano i principi religiosi, piegandoli al proprio, esclusivo vantaggio. Il passato insegna purtroppo che, quando il desiderio di controllo e di dominio dei leader di questi movimenti oltrepassa ogni limite, può condurre non solo a scialacqui o a privazioni, a torti e a violenze fisiche e psicologiche subite dai poveri malcapitati, ma anche a conseguenze disastrose.

L’assedio di Waco, che ha compiuto da poco trent’anni, è un tragico evento nella storia recente degli Stati Uniti che ha messo in luce il punto fino al quale le persone possono essere disposte a spingersi quando la religione le acceca. Ci troviamo di fronte a un caso emblematico in cui un capo spirituale ha esercitato un potere coercitivo su un gruppo di fedeli portandoli a commettere, con bovina ubbidienza, azioni gravi, irragionevoli e li ha condotti infine a un esito tragico.

Dell’assedio di Waco, cittadina in Texas, si è sentito parlare molto, di recente, grazie alla miniserie uscita su Netflix all’inizio del 2023 proprio in occasione del trentesimo anniversario dei fatti.

La docuserie racconta in breve e con un buon ritmo narrativo la vicenda imperniata sulla figura di David Koresh, capo del gruppo religioso denominato dei Davidiani (Branch Davidian). Koresh, all’anagrafe Vernon Wayne Howell, riuscì tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta a beneficiare di una rapida ascesa e attirò diversi seguaci grazie alla capacità di persuasione e all’interpretazione distorta e personalizzata della Bibbia dovuta alla sua appartenenza a un ramo della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno. Il carisma e la retorica convincente di Koresh abbagliarono i suoi fedeli, portandoli a credere in una visione apocalittica del mondo e nell’urgente necessità di prepararsi per uno scontro finale con le forze del male.

Come da manuale, l’uomo sfruttò la devozione religiosa per manipolare e ottenere un controllo totale sulla vita dei Davidiani. Isolò il gruppo dalla realtà esterna, spingendolo a rintanarsi in una comune situata su una collina poco fuori città e ribattezzata (in riferimento al Vecchio Testamento) Mount Carmel, limitando i contatti con i loro familiari e negando l’accesso alle informazioni non in linea con la sua dottrina distorta. Questa manipolazione psicologica alimentò la cieca obbedienza e portò alla perdita di razionalità e discernimento da parte degli accoliti.

A dirla tutta, Koresh non fu né il primo né l’unico a porsi alla guida dei Davidiani. Prima di lui e sin dal 1930 si erano infatti succeduti altri personaggi quali, ad esempio, il fondatore della setta, Victor Houteff, che profetizzava un’imminente apocalisse con secondo avvento di Cristo e disfatta di Babilonia la Grande. Alla sua morte, fu poi la volta della vedova Houteff, alla quale seguirono Benjamin Roden, sua moglie e infine Koresh.

Nello specifico, una volta eliminata la concorrenza del figlio di Roden, Koresh si era impossessato legalmente del ranch che ospitava la comunità. Assunto il potere, aveva provveduto a informare gli adepti del “grande piano” che Dio gli aveva affidato: la creazione di una discendenza assai numerosa, una “Casa di Davide”; per far ciò, naturalmente, l’uomo aveva espresso la necessità di intrattenere rapporti sessuali con tutte le donne della comunità, minorenni o maggiorenni, che erano dunque state separate dalle famiglie, dai mariti e dai compagni per dedicarsi unicamente alla missione principale imposta dal disegno divino.

Oltre alla complicità per lo sfruttamento delle donne della comunità, sotto l’influenza di Koresh i membri del Branch Davidian si resero protagonisti o complici di azioni scellerate e pericolose giustificate dal contesto religioso: si pensi al già citato abuso sui minori (dai dieci anni di età), alla poligamia praticata da Koresh (tutte le donne, in effetti, erano “sue”), al possesso illegale di armi da fuoco e al vero e proprio arsenale che negli anni la setta aveva accumulato.

Proprio a causa delle diverse atrocità condotte all’interno della comune e grazie a informazioni trapelate all’esterno, il governo degli Stati Uniti cominciò a indagare, fino a giungere a un ordine di perquisizione. Il 28 febbraio del 1993, alcuni agenti dell’Atf (Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives) si presentarono per un’indagine al Mount Carmel Center, il centro nevralgico delle attività dei Davidiani. Dal conflitto a fuoco generatosi, in cui morirono sei fedeli e quattro federali, il passo per il coinvolgimento dell’Fbi fu breve: cominciò un vero e proprio assedio che durò ben 51 giorni.

Per timore di un suicidio di massa e per far cessare l’assedio, le autorità disposero un blitz durante il quale si originò però un incendio che distrusse il complesso in cui si trovavano i fedeli. Alcuni adepti, tra cui lo stesso Koresh, scelsero la “via breve” e si suicidarono con un colpo di pistola; molti altri arsero invece nel rogo. In tutto, morirono 82 persone, inclusa una ventina di bambini.

È piuttosto sconvolgente riconoscere quanta gente sia stata disposta a perdere la vita per la causa di Koresh, ma forse spaventa ancor più il pensiero che due anni dopo, il 19 aprile del 1995, due ex militari si resero responsabili dell’attentato di Oklahoma City, un terribile atto terroristico – il peggiore, prima degli attentati dell’11 settembre – ordito contro il governo degli Stati Uniti anche per vendicare “gli abusi dello Stato” nei confronti della comunità di Waco. La data del 19 aprile fu infatti scelta appositamente per il suo richiamo ai fatti del Mount Carmel Center. A Oklahoma City trovarono la morte, quel giorno, 168 persone.

È bene sottolineare che da parte dei Davidiani sopravvissuti, in ogni caso, non si ravvisa oggi un pentimento o una presa di distanza dai fatti avvenuti, anzi: molti di loro continuano, dopo ben trent’anni, a sostenere la prospettiva per la quale l’assedio e la strage da esso originatasi avrebbero portato a compimento le profezie apocalittiche di Koresh.

Tristi episodi come questo, inclusa l’assenza di rammarico per la connivenza con i responsabili di un così alto sacrificio di vite, ci ricordano l’importanza di rimanere vigili, critici e di promuovere un approccio basato sulla razionalità, sulla libertà individuale e sul rispetto reciproco, specie all’interno delle pratiche religiose.

Queste possono infatti rappresentare terreno fertile per azioni di forte condizionamento e plagio. Dal momento che la fiducia cieca nei confronti di un leader religioso dal forte ascendente può condurre a un percorso oscuro e pericoloso, dovrebbe essere cruciale per la società vigilare e proteggere coloro che potrebbero essere vulnerabili a tali manipolazioni.

I tragici avvenimenti di Waco evidenziano le conseguenze devastanti dell’accecamento religioso e della manipolazione psicologica ma forniscono al contempo i presupposti per riflettere sull’importanza di saper cogliere, con il maggior anticipo possibile, ogni minimo segnale di pericolo derivante dall’abuso della religione.

Micaela Grosso

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