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L’arte come oggetto mediatore nei centri diurni psichiatrici

I Centri Diurni psichiatrici si propongono quali luoghi di incontro, di animazione e di (ri)socializzazione. In queste strutture gli utenti seguono programmi terapeutici individuali caratterizzati da attività di gruppo che mirano alla riacquisizione di competenze individuali, relazionali e sociali.

Con attività riabilitative e risocializzanti quali ad esempio la regolare preparazione di pranzi in comune, con attività creative quali ad esempio il disegno, il teatro o la redazione di un giornale, con l'organizzazione di passeggiate e di attività sportive, di vacanze o di altri momenti di svago si vuole offrire una più completa e propositiva presa a carico a pazienti con:

  • problemi di isolamento sociale
  • perdita di abilità sociali
  • difficoltà di riapprendimento
  • difficoltà a mantenere i ritmi e la regolarità nel tempo
  • difficoltà ad usare le risorse del territorio
  • problemi a relazionarsi con l'esterno
  • perdita di autostima
  • incapacità a divertirsi, a immaginare, a creare
  • difficoltà nella relazione con il proprio corpo

La loro origine concettuale, tutt'ora proposta, si situa sugli sviluppi dell’esperienza realizzata dai Club Terapeutici ispirati dall'esperienza del movimento della Psicoterapia istituzionale francese: l’Assemblea dei pazienti viene riconosciuta quale istanza socioterapeutica da uno statuto che prevede pure un Comitato e un Segretariato. Il Segretariato rappresenta l’organo operativo i cui compiti sono di coordinare le attività socioculturali, di redigere il giornale, di organizzare l’accoglienza dei nuovi ospiti, di gestire un proprio budget e di sovvenzionare le attività che mensilmente ogni unità terapeutica-riabilitativa (UTR) organizza con i propri ospiti.

Dal punto di vista teorico il Club è un concetto di lavoro che fa riferimento all’Altro sociale, un luogo di incontro, un’istanza reale che tramite uno statuto pubblico permette di proporre, organizzare e realizzare diversi momenti e attività inserite nel circuito della parola, di soggettivazione dell’altro, troppo spesso considerato solo “oggetto bisognoso di cure”.

Il collettivo curante viene infatti considerato come grande Altro attraverso la presa di coscienza dell'articolazione dell'inconscio al significante del collettivo.

Come afferma Chazaud [1] la terapia istituzionale è infatti la teoria della pratica dialettica della psichiatria che gioca sul meccanismo dei tre grandi assi dell'Identico, del Diverso e del Simile. L'ipotesi di base più importante su cui si basa lo sviluppo di queste forme di intervento è che, una volta messe in atto alcune possibilità di esperienze e di azione, si possono stimolare le "parti sane" di ogni soggetto e svilupparle grazie alle dinamiche dell'associazione e dei suoi effetti socio-culturali. I segni classici dell'evoluzione psicotica sono considerati come il prodotto di una "carenza relazionale" che confermerebbe il rifiuto psicotico del reale da considerare a sua volta come un disturbo della comunicazione.

Sempre Chazaud afferma che le azioni da programmare e da realizzare si appoggiano sulle risorse e sui legami dei luoghi (topologia)[2], dei momenti (cronologia), dei gruppi e della comunità nei suoi aspetti psicosociologici e psicodinamici, per cui i metodi applicati sono, in senso lato, le riunioni, l'impiego dinamico del tempo, l'analisi situazionale e di gruppo.

Interlocutore privilegiato il Club è così nelle condizioni di creare un circuito di relazione che rende il paziente meno folle in quanto finalmente “soggetto” e quindi non più impotente di fronte alle differenti forme di alienazione sociale che provocano effetti di estraneazione e di esclusione.

L’autonomia e la corresponsabilizzazione nella gestione delle attività comunitarie sviluppano quindi le premesse per una rapida revisione dello statuto imposto ai pazienti psichiatrici. L’acquisizione dei diritti elementari, vedi in particolare quello inerente la “parola”, modifica la vita di relazione del paziente e di conseguenza l’approccio allo stesso da parte del terapeuta. Un comitato formato dagli ospiti e il relativo “diritto” con il quale essi possono riunirsi in assemblea implica il “dovere” di saper ascoltare quindi, in concreto, il ritorno alla vita.

In un territorio come quello delle Istituzioni psichiatriche, anche delle più recenti, in cui il pensiero è stato storicamente inaridito il Club terapeutico, nella sua funzione di “centro operativo” della relazione, assume quindi la reale connotazione di istanza socioculturale riabilitativa dell’ambiente.

Il tutto può essere considerato un insieme di metodi di riadattamento e uno spazio privilegiato per il reinserimento sociale con caratteristica la possibilità concreta per ogni utente di organizzare il suo tempo.

Tramite l’oggetto mediatore rappresentato via via dalle riunioni, dalle attività, dai manufatti, ecc. ecc., si cerca quotidianamente di ripristinare un circuito relazionale che permetta di attuare una riabilitazione per il reinserimento socioculturale dell’utente.

L'utilizzo dell'oggetto mediatore ha il significato, secondo Lacan, di introduzione di un terzo elemento di riferimento nella diade madre-figlio della relazione duale immaginaria.

Tra le varie possibilità di utilizzo degli oggetti mediatori quelli rappresentati dalle attività artistiche espressive hanno senza dubbio un'importanza centrale tanto che da più parti viene sottolineato come l'arte, nelle sue varie espressioni, stimola la relazione, crea un clima positivo, favorisce la ricerca personale.

Attraverso il processo di mediazione rappresentato dall'attività espressiva si definisce infatti uno spazio personale per l'espressione di contenuti emotivi. Questo itinerario, unito alla riacquisizione di abilità che rappresentano un contatto con la realtà, all'inserimento nella realtà sociale e all'importante momento di risocializzazione tramite il gruppo, fa sì che l'uso di tecniche espressive in ambito psichiatrico rappresenti oggi un insostituibile supporto per la presa a carico della relativa utenza.

L’utilizzo di attività quali il disegno, la pittura, la ceramica ecc. in psichiatria, dopo un primo periodo in cui venivano considerate divertimento ed evasione, si è sviluppato in modo strutturato con valenze terapeutiche a partire dagli anni ‘40.

Numerosi studi ed osservazioni hanno permesso di identificare una serie di processi favoriti dall'utilizzazione di queste tecniche che possiamo raggruppare nel seguente elenco:

  • lotta contro l’apragmatismo offrendo un’occupazione;
  • apporto di soddisfazioni narcisistiche che possono permettere di scoprire eventuali vocazioni artistiche;
  • sviluppo di modalità supplementari di espressione e comunicazione;
  • espressione di conflitti difficili da verbalizzare;
  • sviluppo di attitudini sociali mediate dal lavoro di gruppo;
  • realizzazione di alleanze terapeutiche;
  • accesso a simbolizzazioni attraverso i processi creativi.

In questa ottica occorre un atteggiamento degli operatori che sappia porsi come mediazione fra gli stimoli dell'ambiente e le realizzazioni tecnico-espressive, e d'altro lato sia in grado di creare i presupposti e stimolare l'interesse per un'attività con cui spesso i nostri utenti non hanno l'abitudine del quotidiano.

L’evoluzione dell’assistenza socio-psichiatrica e, in particolare, l’utilizzazione di strutture intermedie quali i Centri Diurni ha portato alla realizzazione di relazioni meno stereotipate con ruoli formali più "giocati" che "agiti" fra operatori ed utenti.

In questa ottica d’intervento è fondamentale per gli operatori intervenire oltre che nell’attivazione delle abilità dell’utente anche sulla variabile società individuando gli strumenti e gli itinerari più adatti a renderla il più possibile accogliente.

Infatti è abbastanza facile, lavorando nel territorio, imbattersi nel rischio che, pur rimanendo all’interno del suo gruppo di appartenenza, non più materialmente espulso, il paziente psichiatrico rimanga ancora una volta isolato dal vivo dei rapporti interpersonali.[3]

Tutte le attività che, a partire dal contesto psichiatrico, tendono a favorire le relazioni e le comunicazioni con chi sta intorno e con la società in generale possono essere considerate come appartenenti al campo d'azione della socioterapia.

Nel nostro modello di lavoro i socioterapeuti, o meglio gli animatori socioterapeuti, sono parte integrante dell'équipe terapeutica e sono i rappresentanti della società e della vita quotidiana nei contesti istituzionali sia intra che extra ospedalieri.

Essi animano l'inanimato, distraggono dall'apatia, danno vita e forma all'amorfo e mobilitano l'immobilismo utilizzando fra l'altro le varie possibilità date dalla libertà espressiva, dallo stimolo dei processi creativi e di attenzione alle dinamiche relazionali.

La socioterapia è così l'insieme dei concetti dell'animazione socioculturale applicati in ambito psichiatrico, ossia l'insieme di tutte le attività, considerate come mezzo di mediazione, che tendono a dinamicizzare e disalienare l'ambiente di vita.

Secondo questi concetti tutte le attività proposte e realizzate hanno una funzione mediatrice sull'ambiente di vita nel quale deve operare l'insieme degli operatori. L'organizzazione di mostre, di serate pubbliche con concerti, spettacoli, cinema, collaborazioni con altre istanze sociali e economiche, convegni, mimo, ecc., non sono nient'altro che un insieme di tecniche privilegiate per la presa a carico dell'utenza e la sensibilizzazione dell'opinione pubblica nei confronti delle problematiche attinenti alla psichiatria.

Per cercare di ridare la parola all'individuo il collettivo degli operatori del servizio di socioterapia elabora così progetti che confluiscono in un insieme di attività di animazione che si concretizzano a vari livelli.

La tecnica specifica ad ogni singola attività diviene l'oggetto mediatore della relazione superando in questo modo le barriere create dal disagio psichico e dalle "regole istituzionali".

In definitiva si tratta di introdurre il soggetto in un campo terapeutico tenendo presente un’ottica trans-istituzionale che si sovrastruttura all’offerta di cura tradizionale utilizzando il gruppo, il lavoro, il tempo libero attraverso l’iscrizione dell’azione e della parola in un’organizzazione a carattere riabilitativo con valenze culturali.

Concludendo vorrei sottolineare che le tecniche socioterapeutiche sono però anche realizzate a partire dalle piccole cose quotidiane ed iniziano proprio da queste,

Stare vicino ad un paziente, aiutarlo nella cura di sé, nelle attività di ogni giorno, e portarlo un poco alla volta verso competenze sempre più mature e socializzanti per rendergli il senso di persona viva e partecipe sono i migliori metodi operativi per la trasformazione del disagio relazionale espresso da tutti i nostri utenti.


[1] Chazaud J., "Introduction à la thérapeutique institutionnelle", ed. Privat, Toulouse, 1978

[2] vedi a questo proposito il testo di G. Martignoni, "Là, per i luoghi della narrazione - Viaggio tra gli oggetti istituzionali", in Bloc Notes, Bellinzona, 11-12, Dic.'85-Genn.'86, pp. 23-51

[3] Petrella F. - Bezoari M. (1979), Modelli semiologici per la nuova cultura psichiatrica territoriale. Gli Argonauti. In Petrella F, “Turbamenti affettivi e alterazioni dell’esperienza.”, Ed. Cortina, Milano, 1993 

 

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