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L’Isis e la crisi dell’Occidente

La crisi del post comunismo, dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, ha aperto non poche questioni di natura politica e sociale. Il tracollo delle ideologie legate all’esperienza del mondo operaio e alla visione marxiana della vita ha trascinato con sé molti problemi. E persino modelli di comportamento.Alcuni pensano che siano risolvibili con la conservazione del capitalismo, altri, al contrario, che anche la visione classica di questo modello di produzione e di lavoro, sia entrato in crisi irreversibile, trascinato dalle spinte liberistiche alle quali, anche i Paesi un tempo socialisti, sono stati indotti. Ciò è accaduto in un’epoca in cui il capitalismo globalizzato sulla matrice delle sue egoistiche esigenze ha prodotto e produce altra crisi, nuove forme di umiliazione del lavoro, fino a negarne la prospettiva.
Ci troviamo di fronte allo scompaginamento delle formule con le quali eravamo stati abituati a leggere il mondo. Le relazioni tra Nord e Sud, come del resto tra Occidente e Oriente, hanno subito una profonda trasformazione, interessate dall’improvviso irrompere di variabili di portata planetaria. Situazioni che obbligano a fare i conti con quanto sta emergendo, non solo dal fallimento del modello capitalistico della società, ma anche dalle credenze cristallizzate. O meglio, dalla tendenza generale verso il cosiddetto pensiero unico. Abbiamo considerato, fino ad ora, solo quello che non ci appariva come modello altro da noi, dalla nostra visione occidentale del mondo.
Sul piano politico certi effetti si misurano su scala planetaria e anche in Italia, prima con la lunga gestazione della crisi economica e sociale in epoca berlusconiana, e dopo, con lo sfascio conseguente e successivo al governo Monti, a partire dalla fine del 2011. L’Italia è uno specchietto evidente della natura della crisi con cui abbiamo a che fare: travolge tutti i soggetti, a prescindere dalla loro condizione, con una violenza che non ha precedenti nella nostra storia contemporanea.
Andiamo a marce forzate verso una società multietnica, il superamento del tradizionale concetto di azienda e delle forme tradizionali dei rapporti di produzione e lavoro, nonché verso uno sfaldamento sistemico, nel quale si stenta a definire nuovi valori. In parte ciò è il risultato della crisi della democrazia, per un’altra parte si tratta di un effetto della globalizzazione e dell’eccesiva dinamicità della grande borghesia industriale con la difficoltà a tenere il fronte dei rapporti sociali e produttivi tradizionali. Una crisi di transizione che obbliga tutta l’Europa a inventare nuove convivenze, competitività più decise e a fare i conti con l’oscurantismo terroristico di nuovi soggetti. Che non sono più quelli dei tempi dell’assalto alle torri gemelle, di Osama bin Laden, ma quegli altri, più pericolosi, della fondazione di forti componenti degli Stati islamici, come quello che si definisce Isis, nato sulla base dello sgretolamento di Stati come la Siria e l’Iraq. Ad essi se ne potrebbero aggiungere altri, in una sorta di internazionalizzazione del dominio della violenza e della follia da parte dei jihadisti.

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La loro contrapposizione è totale sia all’interno del mondo islamico contro altre componenti della realtà islamica, sia contro il modello occidentale. Non c’è dubbio che la crisi dell’Occidente e l’insufficienza delle forze moderate islamiche e dell’Occidente giocano a favore di questo Stato islamico. Esso ha fatto del terrore la sua bandiera spingendolo a utilizzare antiche rivalità tra nazionalità diverse, come quelle dei Turchi e dei Curdi, per bloccare azioni di contrasto che possono essere decisive.

Neanche la Nato riesce a muovere un passo rispetto a questa paralisi. Per cui l’esercito di Erdogan rimane inchiodato sui suoi confini, trasgredendo persino gli stessi accordi che dovrebbero regolare i comportamenti dei Paesi aderenti al Patto atlantico, mentre i Curdi, unici a ostacolare sul terreno l’avanzata dei successori di Al Qaeda, ma che sono ben altra cosa dalla sua vecchia filosofia, sono di fatto isolati nella loro azione bellica di contrasto, abbandonati dall’Occidente.

Si compie così il gioco delle parti: gli americani che dovrebbero ben sapere che nessuna guerra si può vincere senza combattimenti a terra; i turchi posizionando i loro carri armati consentendo che l’Isis sconfigga i Curdi che difendono Kobane; l’Italia mandando delle armi, e via di seguito.

C’è chi fa la voce minacciosa e chi fa fracasso. Ma di fatto di fronte a questa situazione pericolosa per il futuro del mondo, c’è un attendismo pauroso, nonostante i bombardamenti americani dei territori occupati dal nuovo Stato integralista dei taglia teste.

E intanto Renzi gira per il mondo come una trottola, sbandierando idee di riforma, ma non accorgendosi che il mondo è rovesciato come un inferno dantesco.

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