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L’Iheu chiede all’Onu la condanna dei paesi che promuovono la violenza religiosa

Sono tanti gli stati che promuovono più o meno apertamente atti violenti motivati con la religione. E quegli stessi stati siedono nell’assemblea Onu, contribuendo a orientare la politica mondiale, in particolare in materia di diritti umani. Sarebbe invece tempo di invertire la rotta, intervenendo nei loro confronti.

Lo chiede l’Iheu (International Humanist and Ethical Union), la federazione internazionale che raggruppa le associazioni laiche di tutto il mondo, e al cui interno l’Uaar rappresenta l’Italia. In molti paesi sono infatti in vigore leggi che condannano blasfemia o apostasia, sia contro atei e agnostici sia contro minoranze religiose (come i cristiani). Per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni internazionali sulla gravità del fenomeno, che limita gli spazi di libertà e mette a rischio l’incolumità di tante persone, l’Iheu si è rivolta al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, che il 10 settembre ha inaugurato a Ginevra la sua ventunesima sessione.

Il rappresentante Iheu Roy Brown ha chiesto all’alto commissario per i diritti umani, Navi Pillay, l’esclusione dallo UN Human Rights Council proprio di quei paesi dove sono in vigore leggi anti-blasfemia. Come rilevato dall’Iheu, la violenza a base religiosa da parte di gruppi integralisti infiamma paesi come la Nigeria (come ha potuto sperimentare sulla propria pelle anche l’attivista laico Leo Igwe), l’Algeria, il Sudan, la Libia, l’Egitto e il Mali.

Ma in Indonesia, in Iran, nel Pakistan, in India, in Arabia Saudita sono proprio gli stati ad attuare pesanti persecuzioni contro i non credenti, privilegiando in maniera evidente una fede e non applicando il principio di laicità, che dovrebbe essere uno dei fondamenti degli stati liberali e democratici.

Molti sono stati i casi di repressione del fenomeno ateistico in tali paesi. Basti ricordare la condanna a sette anni e mezzo di prigione per due non credenti in Tunisia, o i due anni e mezzo ad Alexander Aan in Indonesia. In passato, il noto scrittore Salman Rushdie è stato costretto a fuggire per una fatwa di morte scagliata dall’ayatollah Khomeini. In India, il presidente di Rationalist International Sanal Edamaruku subirà un processo per aver svelato un falso miracolo in una chiesa cattolica. Senza dimenticare che i casi di cui si è venuti a conoscenza sono sicuramente una minima parte del fenomeno persecutorio nei confronti di atei e agnostici.

Come denuncia l’Iheu, in molte parti del mondo le persone che criticano i dogmi religiosi sono trattate in maniera indegna, senza alcun rispetto, subendo minacce e violenze. Non vedono riconosciuti pienamente i propri diritti di cittadini: non c’è rispetto per la loro integrità fisica, non esistono libertà di espressione e associazione. Ci sono poi le violenze che subiscono coloro che vogliono semplicemente vivere liberi dalla religione, fondando la loro esistenza su scelte responsabili e autodeterminandosi, e volendo confrontarsi con il prossimo analizzando la realtà senza tradizionalismi e congetture soprannaturali divisive.

Ma anche le istituzioni internazionali che dovrebbe tutelare i diritti umani subiscono la pressione degli stati dove domina l’integralismo. Va ricordato che i paesi musulmani — non estraneo il silenzioso beneplacito del Vaticano — hanno chiesto una clausola specifica per punire la ‘blasfemia’ in nome della tutela della libertà religiosa. Nel 2008 una risoluzione di questo tipo è stata approvata dalla Terza Commissione delle Nazioni Unite. Anche l’Uaar ha da tempo denunciato l’andazzo e i rischi che corrono i non credenti nel mondo. Proprio il Consiglio Onu per i diritti umani, cui si è rivolta l’Iheu, aveva approvato nel marzo 2010 una risoluzione contro la “diffamazione” della religione.

Si può constatare come tutto ciò diventi un grimaldello per ottenere una copertura internazionale nella repressione contro qualsiasi forma di espressione anche solo leggermente critica o scettica nei confronti dei propri dogmi religiosi. Fortunatamente l’attivismo di questa ‘Internazionale integralista’ è stato, almeno per il momento, arginato, con la bocciatura da parte del Consiglio dell’ultima risoluzione ‘anti-blasfemia’.

Ma occorre ancora vigilare. Le pressioni internazionali sono riuscite spesso a impedire che le minacce degli integralisti si trasformassero in realtà. E’ però venuta l’ora di intervenire in maniera più sistematica. Altrimenti l’escalation potrebbe essere inevitabile, come i fatti di Bengasi hanno mostrato proprio l’altro ieri.

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