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L’8 marzo di Amnesty International per le donne del Medio Oriente

 

Zainab al-Khawaja, Asma Mahfouz, Samira Ibrahim, Wedad Demerdash, Pegah Ahangani, Parisa Hafezi, Faezeh Hashemi, Najwa Fituri, Sara Maziq, Iman al-Obeidi, Manal al-Sharif, Razan Zaitouneh, Tal al-Mallohi, Sihen Bensedrine, Lina Ben Mhenni, Nadia al-Sakkaf, Tawakkol Karman.

Sono tra le “150 donne senza paura” che hanno scosso il mondo nel 2011.

A loro e a tante altre, al coraggio delle attiviste del Medio Oriente e dell’Africa del Nord, Amnesty International dedica la Giornata internazionale delle donne dell’Otto marzo.

L’organizzazione si mobilita in particolare su quattro paesi del Medio Oriente in cui le donne continuano a lottare per chiedere riforme e rispetto dei diritti umani (Arabia Saudita, Iran, Siria e Yemen), senza dimenticare che nei paesi dell’Africa del Nord i cambiamenti politici devono ancora tradursi in reali passi avanti per i diritti delle donne.

In Egitto, tanto per fare un esempio, fa pochi passi avanti il procedimento giudiziario sui vergognosi test di verginità cui furono sottoposte alcune manifestanti, che protestavano in piazza Tahrir esattamente un anno fa.

In Iranle donne hanno avuto un ruolo determinante nelle proteste di massa promosse all’epoca delle elezioni del giugno 2009. Da allora, ancora di più che in passato, continuano a chiedere ampie riforme nel campo dei diritti umani e maggiore libertà per le donne e, per questo, pagano un prezzo assai elevato.

Nasrin Sotoudeh è una di loro. Prigioniera di coscienza e avvocata per i diritti umani (ha tra l’altro difeso la Nobel per la pace Shirin Ebadi), sta scontando una condanna a sei anni, ridotta rispetto agli 11 anni del verdetto di primo grado, per il reato di “propaganda” e per l’appartenenza al Centro per i difensori dei diritti umani, un’organizzazione considerata “illegale” dalle autorità. Le è stato anche imposto il divieto di esercitare la professione legale per 10 anni. 

La direzione del famigerato carcere di Evin, nella capitale Teheran, l’ha posta ripetutamente in isolamento e meno di un mese fa ha impedito a sua figlia d’incontrarla. Amnesty International continua a chiedere alle autorità iraniane dirilasciare Nasrin Sotoudeh immediatamente e senza condizioni.

In Arabia Saudita, a causa del sistema di “guardiania” maschile, le donne sono discriminate e viene loro impedito di gestire la loro vita in una serie di ambiti sociali, personali ed economici.

Una delle più invadenti restrizioni è il divieto di guida imposto alle donne saudite, anche qualora siano in possesso di una patente internazionale e possano guidare liberamente in ogni altra parte del mondo.

L’anno scorso le attiviste hanno rilanciato la campagna “Women2Drive”, che ha sfidato il divieto di guida sollecitando attraverso i social media le donne in possesso di una patente internazionale a mettersi al volante.

All’azione hanno preso parte decine di donne, molte delle quali poi arrestate e costrette a sottoscrivere un impegno a non riprovarci mai più. In almeno un caso, una donna è stata processata e condannata a 10 frustate per aver sfidato la proibizione.

Mentre il re Abdullah ha annunciato che le donne potranno votare alle elezioni municipali del 2015, il divieto di guida dev’essere ancora abolito.

Per Amnesty International questa proibizione è esemplificativa dei molteplici ambiti in cui i diritti delle donne saudite sono profondamente limitati. Amnesty International sostiene il loro diritto di “guidare verso la libertà”.

Da un anno, il presidente della Siria Bashar al-Assad sovrintende alla brutale repressione del dissenso che ha causato oltre 6000 morti, tra cui oltre 200 donne e ragazze. Migliaia di persone sono state arrestate e molte di esse sono state trattenute per lunghi periodi di tempo in isolamento in carceri segrete nelle quali la tortura e i maltrattamenti risultano diffusi.

Alcune difensore dei diritti umani, che sono state alla guida del movimento pacifico per le riforme, sono state costrette a entrare in clandestinità o a lasciare il paese.

Di fonte a tutto questo Asma al-Assad, moglie del presidente siriano, ha fatto ben poco per denunciare le brutalità delle forze di sicurezza e si è pubblicamente espressa in favore del marito: un atteggiamento in contrasto con la sensibilità mostrata in passato dalla first lady siriana verso le cause umanitarie e sociali, compresi i diritti delle donne.

In occasione dell’Otto marzo, Amnesty International mobilita l’opinione pubblica mondiale in una campagna d’invio di lettere per sollecitare Asma al-Assad a esercitare la sua influenza per porre fine alle violenze in corso e alle violazioni dei diritti umani commesse contro le attiviste per i diritti umani siriane, che agiscono per proteggere il futuro di tutti i siriani e tutte le siriane.

In Yemenle donne hanno contribuito a dare vita a una vibrante società civile, riconosciuta a livello mondiale l’anno scorso quando la giornalista e attivista per i diritti umani Tawakkol Karman è stata una delle tre donne cui è stato conferito il premio Nobel per la pace.

Le donne yemenite sono state anche in prima fila nelle proteste di massa per chiedere riforme politiche e nel campo dei diritti umani, che hanno spinto il longevo presidente Ali Abdullah Saleh a firmare, lo scorso novembre, un accordo per il trasferimento dei poteri.

Tuttavia, pur se il paese attraversa una fase di transizione politica e sociale, ledonne dello Yemen continuano a subire una profonda discriminazione: arrestate e in alcuni casi picchiate per aver preso parte alle proteste, intimidite dai parenti maschi che a loro volta sono sotto pressione perché “riprendano il controllo” sulle loro familiari e le facciano desistere dall’attivismo per i diritti umani.

La discriminazione nei confronti delle donne yemenite si riflette nel diritto di famiglia, un tradizionale ambito di esercizio del potere maschile in cui spicca l’assenza di rispetto per l’integrità personale delle donne e di misure per prevenire la violenza domestica e dare giustizia a chi la subisce.

In occasione dell’Otto marzo, Amnesty International chiede alle autorità di questi paesi di garantire alle donne diritti e piena partecipazione alla vita politica. Dopo aver trascorso un anno in piazza, non devono essere ricacciate nelle loro case. Altrimenti, non ci sarà nessuna primavera e molti inverni seguiranno.

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