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Killer Joe: una famiglia perbene

Questa volta William Friedkin firma una storia davvero particolare, sulla quale ho sincere difficoltà ad esprimermi.

Killer Joe non è un thriller, è qualcosa di più vicino ad un noir, in fondo è una sporca storia personale con poche possibilità di ravvedimento. Chris deve restituire dei soldi ad un capo mafioso locale e per farlo convince il padre che la soluzione è far uccidere la madre (i due sono separati da anni) da un killer e lasciare così che la sorella Dottie intaschi la cospicua assicurazione con cui tutti potranno rimettere in moto le loro vite, compresa la nuova moglie del marito. 

Il killer in questione è Joe, un poliziotto corrotto e killer professionista. Il punto fondamentale di tutto il film è l’accordo tra Joe, che si presenta come un lucido e spietato professionista, e la disastrata famiglia, nella quale è evidente che nemmeno un componente ha l’intelligenza o la freddezza per gestire una cosa del genere.

 

 

Friedkin ci mette di fronte ad un gruppo di disperati, brutti sporchi e cattivi, per i quali è impossibile provare un mino di pietà. Naturalmente discorso a parte per il personaggio di Juno Temple, l’unica che fin da subito pare pulita e innocente. Ed infatti Killer Joe ruota sul rapporto tra la ragazza ed il killer, i due opposti che finiscono per unirsi su basi più che tremolanti.

L’altra metà del centro del film è occupata pienamente da Matthew McConaughey, che lo fa con mestiere dando volto e follia al protagonista.

 

 

 

Buona parte della faccenda viene spesa nel mostrarci le caratteristiche del killer, di cui (è bene dirlo) non sappiamo nulla che non riguardi la faccenda: come vive, come gestisce la sua vita da poliziotto, come è diventato killer, cosa ha fatto prima di comparire in scena?

Il finale ci riversa in pochi minuti tutto l’animo più estremo di Friedkin, quello che amiamo profondamente.

 

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