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Keith Jarrett, ‘Sleeper’ (2CD, ECM Records)

Keith Jarrett, piano, percussioni; Jan Garbarek, sassofono tenore e soprano, flauto, percussioni; Palle Danielsson, contrabbasso; Jon Christensen, batteria e percussioni.

A quarant’anni dalla pubblicazione del suo primo disco per la ECM, l’etichetta bavarese, ovviamente con il consenso di Jarrett, decide di editare un’intensa, vibrante, travolgente registrazione dal vivo del quartetto europeo, costituitosi nella seconda metà degli anni ’70.

Si tratta del concerto del 16 aprile 1979 al Nakano Sun Plaza, un confortevole ed acusticamente apprezzabile auditorium, situato in un quartiere assai frequentato della capitale giapponese. Valeva la pena ripescare un’incisione di 33 anni fa? La risposta è affermativa per una serie di ragioni: il quartetto aveva pubblicato soltanto un paio di LP, nonostante frequenti tour. La musica appare tutto fuorché datata.

A 34 anni, il pianista della Pennsylvania esibisce un tocco inconfondibile, raffinato, splendidamente classico, che va a braccetto con un’improvvisazione basata sul blues e sulla tradizione folk e gospel, arricchita da una padronanza delle dinamiche sonore. I brani sono soltanto 7, in 105 minuti di rara limpidezza. Alcuni sono lunghissimi e si dissolvono rinascendo in quello seguente, come succede per i primi due di ogni disco.

Nel primo, i 21 minuti di ‘Personal Mountains’ si allacciano ai 10 di ‘Innocenece’, dando luogo per così dire ad una lunga suite, ricca e suddivisa in momenti di tensione, di delicatezza, di languore. Nel secondo, l’iniziale, etnica ‘Oasis’, in cui il leader accantona in un primo tempo il pianoforte, dedicandosi alla marimba, assecondato da Garbarek, 32enne all’epoca, che abbandona il soprano passando ad esili flauti che evocano melodie popolari tradizionali, confluisce nel ‘Chant of the soleil’ per un tempo totale di quasi 42 minuti. Il pubblico, rispettosissimo com’era un tempo quello degli appassionati giapponesi di Jazz, applaude convinto ed educato, finché alla fine del sesto brano, probabilmente quello conclusivo, richiama ritmicamente mediante un clapping insistentemente percussivo, il quartetto che si congeda con ‘New Dance’, un tema gioioso, nel quale emerge la cavata possente di Danielsson al contrabbasso ed un elegante fraseggio sui tom e sul rullante privato della cordiera di Christensen, una coppia ritmica efficace, elegante e, soprattutto, mai greve né scontata.

Note finali: 1) Non c’è una nota di commento nel libretto, ma raccontano a sufficienza le oscure foto in bianco e nero. 2) Che dire del titolo? Che ci sia forse un riferimento - visto il lungo tempo trascorso – al divertente film del primo Woody Allen?

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