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Kapuscinski: ritratto e autoritratto di un esploratore di anime

"Kapuscinski. Opere" è la meravigliosa biografia del più grande reporter di guerra (1932-2007), con la raccolta degli scritti più preziosi e "magici" di uno dei più grandi interpreti di culture (Mondadori, 2009).

Kapuscinski: ritratto e autoritratto di un esploratore di anime

Ryszard Kapuscinski parlava di guerra sognando la pace e affermava che “il quadro del mondo contemporaneo appare come un collage: svariati elementi razionali che compongono un insieme irrazionale. Il collage è forse l’unico modo per descrivere e presentare il mondo odierno in tutta la sua sorprendente, violenta e composita varietà”.

L’originale reporter e scrittore polacco si è probabilmente ispirato al grande storico greco Erodoto, considerato “il primo reporter della storia e il creatore del reportage come genere letterario per la sua narrazione colorita” (scritta direttamente o basata su testimonianze dirette, segni, tracce o materiale scritto più o meno attendibile).

Oggi però abbiamo a che fare con i mostri della comunicazione moderna: da quando l’informazione è diventata “una merce che porta profitti immensi, essa non soggiace più ai criteri di verità e menzogna, ma solo alle leggi del mercato… Le parole sono state private del loro significato originario divenendo strumento di manipolazione e sopraffazione” (De Fanti, curatore dell’opera e autore del saggio introduttivo). Non c’è più spazio per l’onestà, la moralità e la dignità.

Questo grande giornalista indipendente ha denunciato l’ambizione dei media a diventare il primo potere, un sostituto della responsabilità individuale che pensa per noi, formando il nostro atteggiamento consumistico, favorendo la frammentazione della società (De Fanti). Così “Ogni avvenimento mondiale viene sommerso da un’alluvione di menzogne nei mass media di tutto il mondo. Quanta falsità, quante semplificazioni propagandistiche, quanti silenzi, quanti comunicati idioti… Il 99 per cento dei conflitti nasce dall’ignoranza reciproca!” (Kapuscinski).

Comunque “il reporter è schiavo degli altri, fa solo ciò che questi gli permettono di fare, è nelle mani di chi vorrà dirgli qualcosa, e il suo successo dipende solo dal modo di stabilire il contatto. In questo Kapuscinski possedeva un talento particolare, essendo dotato di una capacità di ascoltare e di sorridere al prossimo che faceva sentire importante chiunque parlasse con lui” (Silvano De Fanti). Per fare questo occorre l’empatia per prepararsi a un viaggio mentale di tipo antropologico, approfondendo diverse letture sul Paese e sulla cultura in cui si andrà a lavorare e vivendo in mezzo alla gente “intrattenendo rapporti il più possibile paritari: in questa maniera si riescono a sapere molte più cose che non rivolgendo mille domande”.

Ma di certo la cosa non è facile: bisogna mimetizzarsi nell’aspetto e nel comportamento e ci vogliono “forza di volontà, resistenza alla depressione, alla fatica, alle malattie, all’assenza di cibo e di acqua. Caratteristiche essenziali sono poi la conoscenza e l’intuizione dello storico: nel buon giornalismo, oltre alla descrizione dei fatti, ci dev’essere sempre la capacità di spiegarne le cause… Comprendere la realtà e immaginare scenari futuri dà un senso di maggiore sicurezza” (De Fanti). Il mestiere di reporter è una missione.

Non dimentichiamo però che Kapuscinski era anche un grande pensatore e uno scrittore pragmatico che quando “si bloccava, era solito prendere un libro a caso, poi un altro ancora, finché non scopriva un testo, un frammento un’immagine che lo ispirasse” (De Fanti). In Africa l’esperienza gli insegnò che durante una rivolta o una rivoluzione, quando si viene fermati dai poliziotti o dai militari è molto meglio rimanere immobili, non protestare e assecondare le eventuali richieste (ad esempio del denaro “per finanziarie un partito”).

Viaggiando si rese conto che la questione islamica andava analizzata senza isterismi, nonostante l’invasione demografica, i circa 50 Paesi governati dai musulmani e le somme sempre più grandi destinate alla propaganda islamica. “Soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo questa offensiva è accolta favorevolmente, poiché i missionari dell’islam promettono ai poveri di quei Paesi non solo la felicità ultraterrena, ma anche un concreto aiuto materiale” sotto forma di cibo e istruzione.

In Iran scopre il turbolento carattere nazionale degli iraniani che “possiedono la rara capacità di mantenersi autonomi anche in stato di dipendenza. Per secoli l’Iran è stato vittima di invasioni… Il talento dello sciita si manifesta nella lotta, non nel lavoro. Contestatori nati, sempre scontenti e all’opposizione, dotati di un forte senso della dignità e dell’onore, appena scoccò l’ora di dare battaglia si sentirono di nuovo nel loro elemento” (p. 279-287). Ma anche in Iran vale la regola base dei regimi dispotici: “Succede spesso che quanti hanno rovesciato un dittatore si comportino, senza volerlo e loro malgrado, come suoi eredi, perpetuando con il proprio atteggiamento e con il proprio modo di pensare l’epoca che essi stessi hanno distrutto. È un processo talmente involontario e inconsapevole che, a farglielo notare, avvampano di sacra indignazione” (p. 354).

Invece a riguardo del genocidio ucraino e alla Grande Fame, chiamata ufficialmente collettivizzazione dell’agricoltura, c’è da dire questo: i bolscevichi derubavano del grano e del cibo e imprigionavano i contadini, impedendo la semina e causando la morte di quasi tutto il bestiame. Successivamente diffondevano nelle città dei giornali con le foto del grano e dei contadini, accusandoli di non voler lavorare: “Tutti odiavano a morte i contadini, e quelli morivano di fame”. Oggi la crisi agricola in Ucraina e Russia trae le radici da quei drammatici avvenimenti: “La terra e i contadini si sono presi la rivincita su chi li ha distrutti… La terra ha smesso di produrre e i contadini hanno perso l’amore per il lavoro agricolo: una vendetta terribile, ma giusta” (Maksudov, p. 677). 

Per l’uomo che conviveva con i mali della vita, tre flagelli minacciano il mondo: il nazionalismo, il razzismo e il fondamentalismo religioso. “Le tre piaghe sono unite dallo stessa caratteristica: la più totale, aggressiva e onnipotente irrazionalità… Qualunque tentativo di fare un discorso pacato risulterà inutile… Vogliono che tu sia d’accordo, che tu gli dia ragione, che tu aderisca. Altrimenti per loro non sei nessuno… ti considerano solo in quanto mezzo, arma, strumento. Non esistono individui, esiste solo la causa… con una solo idea fissa: il nemico. L’idea del nemico nutre, permette di esistere” (p. 632). Inoltre, in questo rissoso e spaventoso pianeta tutti “possono sopportare che il mondo sia ingiusto, ma non l’eccesso di ingiustizia” (p. 496). C’è un limite a tutto.

Un’altra grossa problematica è l’esplosione demografica del Terzo Mondo: queste popolazioni “si riproducono a un ritmo tre volte più rapido di quelli dei Paesi ricchi. Ne derivano problemi a non finire, destinati ad affliggere il XXI secolo” (p. 688). Le colpe della povertà non ricadono solo sui ricchi e sugli occidentali, ma anche sull’ignoranza e sulle vecchie abitudini sessuali e religiose.

Comunque “la cultura estranea non si svela a comando… per capirla, occorre una lunga e solida preparazione”: “Siamo l’uno per l’altro pellegrini i quali, per differenti strade, penano verso il medesimo appuntamento” (Antoine de Saint-Exupéry). Purtroppo l’attrattiva dell’agitazione etnica sta tutta nella sua facilità: “il diverso si riconosce a colpo d’occhio, chiunque può vederlo e memorizzare l’aspetto. Non occorre leggere libri, riflettere, discutere: basta guardare” (p. 813). Invece bisognerebbe ricordare sempre che la maggior parte dei bianchi sono stati uccisi da altri bianchi e la maggiori parte dei neri sono stati uccisi da altri neri (p. 869).

Infine è giusto riportare un sintetico autoritratto del libero pensatore polacco, “allevato” dalla guerra, e "poetico" testimone di decine e decine di rivolte, rivoluzioni e guerre in tutto il mondo:

“Io sono una specie di occhio sempre puntato sulle cose che opera automaticamente una selezione: siamo circondati da un’infinità di immagini, ma quasi tutte inutili ai fini di ciò che vogliamo dire. Bisogna concentrarsi su ciò che vogliamo mostrare. Una sola immagine, al punto giusto… Sono un grande fautore delle citazioni. Quando approfondiamo un settore del sapere, ci accorgiamo che su quell’argomento è stata scritta una massa di libri. In ciascuno di essi c’è almeno un pensiero affascinante. Un normale lettore non arriva a quel pensiero. Dovere di chi scrive è rintracciare quelle perle… Ho semplicemente tentato di conoscere e comprendere le persone incontrate nei luoghi dove ho viaggiato e lavorato… Ho cercato di capire cosa significa essere un uomo di un’altra cultura. Forse che questo significa vivere diversamente? Sentire diversamente? Pensare diversamente? Essere qualcun altro? Essere buoni e aperti con gli altri è un atteggiamento naturale e ovvio, ma esige uno sforzo di volontà, un’istruzione, l’acquisizione di una consuetudine, perciò in quest’ambito è grande il ruolo della scuola, dei media, dell’intera società… Il più delle volte l’uomo non incontra direttamente l’altro, e su di lui formula giudizi non sulla base della propria esperienza, ma degli stereotipi a lui trasmessi” (citato dal saggio introduttivo).

Per i professionisti che vogliono saperne di più: www.kapuscinski.hg.pl.

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