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Julian Assange – L’uomo nel mirino

Ancora una volta il giornalismo italiano si è mostrato impreparato alla chiamata del 4 Gennaio 2021, data dalla portata storica per via dell’inattesa sentenza contro l’estradizione negli Stati Uniti di Julian Paul Assange da parte del giudice Vanessa Baraitser.

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Anche in questo caso ha risposto la segreteria telefonica dei corrispondenti nostrani, impegnati a monitorare le vecchiarelle che si vaccinavano a Londra mentre era in corso uno dei più importanti processi nella storia della libertà di stampa.

Gli articoli al termine della sentenza sono caduti a fiocchi dalle maggiori testate italiane: contenuti asettici, privi di analisi su ciò che questa sentenza rappresenta e su come si è svolta l’udienza.

L’udienza su Assange: uno schiaffo al giornalismo

L’inviato speciale sulla tortura delle Nazioni Unite, Nils Melzer, nel maggio 2019 presentava preoccupazioni in merito alla criminalizzazione del giornalismo investigativo in violazione dei principi costituzionali statunitensi e dei diritti umani. Denunciava inoltre il trattamento dedicato al giornalista Assange (con tesserino presso la Federazione Internazionale dei Giornalisti) come una “persecuzione collettiva”.

In questo contesto, nella corte di Westmister il 4 gennaio il giudice Vanessa Baraitser si deve esprimere sul caso che vede il Governo degli Stati Uniti d’America contro Julian Assange.

Già nel Settembre 2020, Amnesty International segnalava le restrizioni di accesso alle udienze come una minaccia ad una giustizia aperta. 

Non sorprendono dunque le denunce dei pochi giornalisti che hanno seguito la diretta della sentenza tramite il link fornito dalla corte. Spiccano quelle della giornalista Mary Kostakidis, Stefania Maurizi e il Consortium News che hanno fornito reportage dettagliati sugli sviluppi della discussione in diretta.

Problemi all’audio segnalati dalla giornalista Kostakidis: “Si sente solo l’eco del giudice

La giornalista del Fatto Quotidiano scriveva su Twitter: “L’audio è terribile: non riesco a credere che una potenza internazionale come il Regno Unito non riesca a garantire una qualità di audio decente in modo che un’udienza così importante possa essere seguita per bene dai giornalisti

Al termine dell’udienza i giornalisti italiani e le testate condividono sui social articoli approssimativi sulla sentenza, cercando di accaparrarsi il surplus di visualizzazioni garantiti dalla tendenza #Assange su Twitter. Sono anni però che non colgono una Trend autoritario e preoccupante per la democrazia: le costanti minacce perpetuate al giornalismo da parte del potere. La scarsa considerazione della corte di Westmister nei confronti dei circa 40 giornalisti internazionali collegati online è la punta dell’iceberg di una minaccia che è ancora in stato fetale.

Il “rischio di suicidio” costituisce un precedente

Il 4 gennaio il giudice ha rifiutato l’estradizione del giornalista australiano pronunciandosi in questo modo: “Comprendo che nella dura condizione cui si trova, la salute mentale del Signor Assange degraderebbe portandolo al suicidio per via della forte determinazione derivante dal suo disturbo dello spettro autistico.”

Nel punto 363 della sua discussione aggiunge poi: “Trovo che la situazione mentale di Assange sia tale da rendere oppressiva una eventuale estradizione negli Stati Uniti

C’è poco da festeggiare dunque, Assange potrebbe essere libero su cauzione tra pochi giorni (mercoledì l’udienza) e il ricorso all’appello degli avvocati statunitensi potrebbe essere vano, ma il futuro del giornalismo è minacciato dal precedente che costituisce la sentenza del giudice Baraitser.

Baraitser infatti sembra sposare in toto le argomentazioni dei legali Statunitensi mentre smonta sistematicamente le difese di Assange.

Il giudice non ha parlato del servizio giornalistico di Assange, sposando su ogni punto le accuse degli Stati Uniti contro il fondatore di Wikileaks (clicca qui per il testo della sentenza). Infatti secondo la Baraitser, le attività di Mr. Assange sono andate ben oltre il mero incoraggiamento di un whistle-blower (con riferimento a Chelsea Manning; dal punto 97 della sua discussione, pag 36). Le accuse di divulgazione del computer hacking vengono a priori confermate: Assange voleva ottenere informazioni tramite metodi di computer hacking, che ha praticato egli stesso ma anche invitando altri individui a questa attività. Ciò è dimostrato ampiamente nelle sue richieste di collaborazione in vari gruppi hacker.

Nel punto 156 della sua discussione, il giudice apprezza anche l’approccio dell’accusa con la seguente dichiarazione: “Sono convinta che l’accusa abbia presentato le istanze in buona fede”.

Eppure l’intero establishment a stelle e strisce non ha mai dato l’aria di bontà sulla questione Wikileaks. Fece scalpore nel 2010 Bob Beckel, analista politico su Fox News e membro del partito democratico: “Illegaly shoot the son of a bitch!

Il giudice ha riconosciuto che le accuse degli USA contro Assange sarebbero considerate come reato anche nel Regno Unito specificando che la pubblicazione di documenti non redatti fu a suo tempo “indiscriminata”. Per il giudice le attività di Assange non sono riconducibili a quelle di un giornalista. Viene spontaneo chiedersi a cosa sia riconducibile il giornalismo per i magistrati inglesi considerato il trattamento dei corrispondenti internazionali nel corso del processo.

Per ricordare una famosa scena da Life Of Brian dei Monty Python, a chi credeva che Assange fosse il “messìa” della libertà di stampa, la common law risponde, Non è il messia, è solo un bambino dispettoso!

Questa sentenza costituisce un precedente su cui la stampa mainstream italiana non ha di che preoccuparsi, ma per chi crede nella verità come strumento di democrazia è una grave minaccia per la società. Baraitser ci dice che il prossimo ricercato sei tu giornalista dispettoso, sei tu lettore, sei tu whistleblower. Siamo tutti nel mirino.

Il giorno dopo

Mercoledì sarà deciso se liberare Julian Assange su cauzione. Intanto gli Stati Uniti hanno quattordici giorni per decidere se fare appello. È auspicabile che Assange possa il prima possibile tornare ad abbracciare la compagna Stella Moris e i suoi due figli, ma il giorno dopo cosa sarà cambiato?

Owen Jones, autore sulla testata The Guardian ha trovato la formula giusta per descrivere il problema della sentenza nel suo ultimo articolo: Giusto risultato, motivazione sbagliata.

Assange potrebbe tornare finalmente libero ma il futuro del giornalismo è sempre più scuro: rivelare la verità sui crimini di guerra è un crimine.

Nils Milzer si è espresso sull’esito del processo ieri nel pomeriggio su Russia Today. In un certo senso il sistema ha vinto grazie all’intimidazione “Questo è quello che vi succederà se doveste pubblicare i nostri sporchi segreti e renderli disponibili al mondo intero”.

Foto: acidpolly/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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