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John Lydon e Pil giganti al Siren Festival. Ovazione da teatro per l’ex Sex Pistols

John Lydon è ancora lui. Non avevamo dubbi, ma una conferma dal vivo fa piacere, soprattutto se arriva dalla sua vera arte, la musica dei Pil. L’ex leader dei Sex Pistols si è esibito l’altra sera a Vasto, nell’appuntamento più atteso del Siren Festival.

Ingrassato ma sempre leggero nello spirito. Autentico, con quella bottiglia di whisky che giace ai piedi della batteria di Bruce Smith, che lui assapora solo un paio di volte ma che non funziona da carburante, quello è ancora frutto della maturità artistica di questo straordinario personaggio. Non solo il re del punk, ma pure uno dei più grandi interpreti del rock indipendente, quello che non ha bisogno di emergere dal sottobosco creativo dove resta incredibilmente confinato per la gioia dei fan più accaniti. Poi il vecchio (62 anni) Johnny Rotten devi prenderlo così, nella sua recita da esperto attore che pare un camouflage per coprire gli inestetismi musicali, che tali in realtà non sono, visto che rappresentano il vero genio del rocker londinese. Sperimentazione e melodramma: i Public Image Ltd sono tutto questo e molto di più. Sopravvivono al tempo che corre, crescono nella considerazione di chi li ama.

La prima volta che li ho visti avevo vent’anni. Ero a Reading, edizione 1992 di un Festival memorabile, dove Nirvana e Public Enemy fecero cose passate alla storia. Quel tardo pomeriggio, suonarono tra Pj Harvey e The Charlatans e non erano nella formazione di oggi, né in quella originale. Il mio orecchio indie dance non era pronto per loro. Conoscevo solo un paio di pezzi di un repertorio che più tardi verifico come assolutamente ampio e notevole.

Ventisei anni dopo me li ritrovo in casa, quasi, e li osservo, proprio a ridosso del palco. Li ho metabolizzati per bene nel corso degli anni. Ho fatto mie le spigolose follie vocali di Lydon, l’incalzare del ritmo, gli incubi sonori del progetto Pil. Così mi esalto per tutto il tempo con quelli della mia età, e pure con gente oltre i 50. Tutti ballano: i più giovani con la testa, quelli di mezza età con tutto il corpo. Johnny butta fuori acqua e muco dal naso, come fanno i calciatori sotto la pioggia. Fa parte degli effetti speciali, piuttosto sgradevoli, ma pur sempre speciali. Fa caldo, beve spesso. Un sorso d’acqua buttato giù, un sorso di whiskey subito sputato via. Intrattiene il pubblico, impreca a volte, sorride e s’impegna come un ragazzo alle prime uscite. Inno all’arte che resta tale. L’ostilità animalesca del punk viene fuori sotto una nuova veste, oggi. Il pubblico del Siren gradisce e applaude. Si gode tutti i pezzi storici dei primi Pil, quelli che impressionarono la critica per qualità e originalità. Pezzi ottimamente riproposti da una band che allora non c’era ma che, per qualità e sostanza, viaggia sempre in prima classe. E’ come essere a bordo di una Jeep sovietica con gli interni raffinati di una Bentley: vento nei capelli e lusso musicale. Una goduria. Anche perché la bravura e l’esperienza di Lu Edmonds (già Damned e Mekons) con il suo magico mandolino elettrico (che a suonare non sembra un solo uomo, ma tre!) e la sezione ritmica con i muscoli di Bruce Smith e Scott Firth, fanno venire voglia di muoversi senza un accenno di pausa.

Quando finisce una struggente versione di Warrior in molti abbiamo la pelle d’oca. Ed è solo il primo brano in scaletta. Lo stesso succede poco dopo con Death disco.

Ogni pezzo si finisce con l’applauso incisivo di piazza del Popolo. Entusiasti i ‘neofiti del genere’ quasi estasiati i reduci della prima repubblica dei Pil. Qualcuno boga, sì, ma in realtà sembra di stare in teatro tanto bravi sono i musicisti e tanta è la voglia di contemplare l’opera artistica da parte dell’audience.

A metà concerto, proprio mentre stanno per arrivare le attese Rise e This is not a love song, brani più noti al grande pubblico, mi giro. E vedo Tom Barman leader dei Deus, assistere pure lui felice alla passerella trionfale dei Pil. Lo raggiungo, faccio un selfie (foto in basso) con lui e condividiamo l’uno accanto all’altro il frangente ispirato di un concerto straordinario. Il rock come piace a noi. Mi complimento con Tom per l’esibizione super dei Deus, finita un’ora prima, e torno al mio posto dove c’è il mio vecchio amico di serate indie Francesco Bibone, che oggi nel tempo libero si diletta sul podcast che ha messo on line www.radiostart.it (ve lo consiglio). Gli dico, beato come una Pasqua, che stiamo assistendo a qualcosa di grande. Lui replica: “E’ sempre al top, Lydon. Da uno che abbandona i Sex Pistols perché vuole cominciare a fare musica seriamente può aspettarti solo il miglio”.

Arriva ‘This is not a love song’ il brano con il quale Lydon rispose con ironia a chi gli contestava di aver preso una piega commerciale. Per dimostrare in maniera leggera ma netta di non essere “una merdosa rockstar” Lydon tirò fuori dal cilindro questo pezzo che, pur essendo più orecchiabile degli altri, non tradisce minimamente l’indole claustrofobica dei Pil.

Il dark rock più sporco lascia spazio anche all’altro pezzo forte: Rise. Due brani targati anni Ottanta per chiudere in baldoria la macabra saga del post punk, tra le più originali che siano mai state prodotte nella storia del rock. Saremmo belli che soddisfatti pure così, ma i Pil sono i Pil. Mancano i ‘bis’, che arrivano puntualmente su richiesta dalla piazza. E loro, che fanno? Accelerano di nuovo con un testacoda micidiale di tre brani che riassumono un po’ la carriera di Lydon: il primo singolo dei Pil, l’inquietante vortice strillato di Public Image e poi Open Up (ritorno di fiamma e popolarità primi anni Novanta con i Leftfield) che sfocia nel turbinio ‘transincalzante’ di Shoom. Delirio poderoso. Chiusura degna di loro. Il cerchio si è chiuso con tutte le fobie ancestrali di Lydon che vagano libere al suo interno. Il pubblico del Siren si emoziona. L’applauso finale conferma la sensazione di aver assistito quasi a un’opera teatrale magistralmente interpretata. Scosciante l’ovazione. Really fantastic, indeed they are!

Hanno suonato più di un’ora e mezzo. Guardo il telefono: sono le due di notte. Fiero di aver pure cantato a squarciagola, mi avvicino al mio amico Goran, grosso intenditore di rock indipendente, ma non così ferrato sui Pil. Gli chiedo un commento sul concerto e sulla band. Lapidario come sempre, dalla sua bocca escono testualmente queste parole: “E’ follia che di un anno a mezzo di Sex Pistols si sappia tutto e che dei Pil così originali e musicalmente ineccepibili si sappia molto meno”. Non avrei potuto concludere con una frase più a effetto questa recensione. In fondo è la storia dell’arte. Osare prima di tutto. Il resto lo dirà il tempo.

Maurizio Cavaliere

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